N. 12 19 Letteratura e mistica Il vero segreto del chassidismo di Laura Mincer Martin Buber STORIE E LEGGENDE CHASSIDICHE a cura di Andreina Lavagetto trad. dal tedesco di Andreina Lavagetto, Maria Luisa Milazzo, Gabriella Bemporad ed Elena Broseghini, pp. CLXXXII-1309, €55, Mondadori, Milano 2009 fon riesco a ricordar- ; " mi, né c'è chi sappia dirmi, se fu quel nostro giova- ne Rabbino a portare a scuo- la La leggenda del Ba'al-Shem Tov di Martin Buber, oppure per quale altra via quel libro sia caduto come la manna dal cielo (...) a farmi sognare una patria dell'anima nelle énclave chassidiche dell'Europa Orien- tale": così Giacoma Limentani ricorda, nel romanzo La spirale della tigre, le sue prime letture buberiane, ancor prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Si trattava allora del- l'edizione proposta da due gran- di protagonisti dell'ebraismo ita- liano, Mosè Beilinson e Dante Lattes, apparsa nel 1925. Se quella prima traduzione rimase allora quasi senza seguito, altret- tanto non si può dire dei volumi seguenti, apparsi già dopo la guerra, in una temperie comple- tamente mutata. In particolare i Racconti dei Chassidim, pubbli- cati da Longanesi nella traduzio- ne di Gabriella Bemporad nel- l'ormai lontano 1962, e ripropo- sti da Garzanti nel 1979 con una fulminante introduzione di Fu- rio Jesi, hanno certamente con- tribuito al nascere prima e all'af- fermarsi poi della moda per l'e- braismo e in particolare per lo Ostjudentum, ancora ben diffusa nel nostro paese. In parte inter- no a tale interesse, si conferma anche in tempi recenti lo straor- dinario successo editoriale del- l'opera di Buber in Italia: dal 2000 a oggi, fra ristampe e nuo- ve edizioni, le traduzioni del fi- losofo viennese contano ben venti posizioni. Il prestigioso volume dei "Me- ridiani" comprende Le storie di Rabbi Nachman (1906), La leg- genda del Baalschem (1908), La mia via al chassidismo (1918), I racconti dei chassidim (1949), e il finale Esposizione del chassidi- smo (1963). Ogni testo è corre- dato da un'introduzione di An- dreina Lavagetto, nota germani- sta e studiosa di Kafka, che ha curato l'intero progetto editoria- le e che firma altresì il fonda- mentale saggio introduttivo Bu- ber: i libri chassidici. Com'è be- nemerita consuetudine dei "Me- ridiani", il volume è corredato da una dettagliata bibliografia, anch'essa a cura di Lavagetto, e da un'assai estesa Cronologia re- datta da Massimiliano De Villa. L'opera di Buber, la sua ri- scrittura del materiale chassidico va inserita all'interno di un arti- colato progetto di rinascita ebraica che, agli inizi del Nove- cento, coinvolgeva studiosi ebrei di tutta l'Europa centro-orienta- le. In particolare, Lavagetto sot- tolinea il contrastato ma fertile rapporto di Buber con lo scritto- re e critico Micha Josef Berdyc- zewski e la collaborazione con il più giovane Shemuel Yosef Agnon, futuro premio Nobel per la letteratura, suo unico in- terlocutore nell'opera di trascri- zione e antologizzazione dei rac- conti chassidici. Nella ricerca di possibili strade per l'elaborazio- ne di un patrimonio culturale ed etico in grado di equipaggiare gli ebrei nel difficile incontro con la modernità, lo scopo di Buber si delinea esplicitamente come la creazione del mito dell'ebraismo incorrotto dell'Europa centro- orientale; va peraltro ascritto so- stanzialmente a suo merito che tale mondo sia entrato stabil- mente a far parte del patrimonio culturale europeo. Uno dei fili rossi che uniscono i numerosi apparati critici pre- senti nel volume è il contrasto che separa Buber da Scholem, ovvero l'inconciliabilità fra stori- cismo e riscrittura romantica. E una (piacevole) sorpresa la re- cente palinodia di Steven T. Katz, già irriducibile critico di Buber, riportata da Lavagetto nella prefazione a Esposizione del chassidismo: "Buber, e non Scholem - ha scritto Katz nel 2006 - è forse giunto più vicino a comprendere il vero segreto del chassidismo come fenomeno vivente". Pur senza nulla togliere al va- lore di un'opera molto merito- ria, va annotata quella che ne costituisce forse l'unica pecca, ovvero la trascrizione dei termi- ni ebraici e yiddish e dei nume- rosi toponomi, generalmente polacchi e ucraini. È infatti un peccato che non si sia provve- duto da una parte a un adegua- mento dell'antica trascrizione tedesca fatta da Buber, ripropo- sta immutata nelle traduzioni, e che nei testi critici si sia optato per la traslitterazione scientifica dall'ebraico, coinvolgendo an- che termini ormai entrati nell'u- so corrente, e riportati da un vocabolario della lingua italiana come lo Zingarelli, rendendoli di ardua lettura e sottolinean- done anche graficamente una completa estraneità dal conte- sto linguistico italiano, v E una scelta che avrebbe for- se lasciato perplesso lo stesso Buber, che tanto agogna- va elaborare per i tedeschi e per gli ebrei tedeschi un linguaggio letterario bello e fluido, in cui, come notava Sander L. Gilman, "si esprimessero le differenze ma anche le somiglianze fra la percezione del mondo ebraica e quella tedesca", un "linguaggio ponte" che, grazie alle sue qua- lità estetiche, rendesse accetta- bile l'alterità ebraica ai tede- schi, e che agli ebrei offrisse una patria o almeno un anco- raggio all'interno della lingua tedesca; un messaggio, questo, che avrebbe potuto mantenersi inalterato anche nella trasposi- zione in altre lingue. ■ laura.mincer@ gmai1.com L. Mincer insegna storia e cultura ebraica nei paesi slavi all'Università La Sapienza di Roma Corruttore dello spirito di Marco Dotti SULLA "TRACCIA" DI MICHEL DE CERTEAU Interpretazioni e percorsi a cura di Barnaba Maj e Rossana Lista "Discipline Filosofiche", XVIII, n. 1, pp. 214, € 18, Quodlihet, Macerata 2008 Michel de Certeau FABULA MISTICA XVI-XVII secolo ed. orig. 1982, a cura di Silvano Bacioni, con un saggio di Carlo Ossola, pp. 432, € 34, ]aca Book, Milao 2008 Alla prima opera propria- mente storiografica di Michel de Certeau la critica non riservò particolare atten- zione. Pubblicata nel 1970, la ricerca sui "fatti" di posses- sione demoniaca che, dall'e- picentro "provinciale" della diocesi di Poitiers, scossero la Francia di Luigi XIII e Richelieu (La possession de Loudun, Juil- lard-Gallimard, collection "Ar- chives") venne alternativamente accolta con indifferenza o con fortissime riserve. Le critiche mosse da uno dei maggiori espo- nenti del gruppo delle "Anna- les" fecero il resto e, in qualche modo, possono ancora oggi spie- gare le ragioni e il perché della ricezione molto tardiva dei lavo- ri di Certeau in ambito storio- grafico. Il 12 novembre del 1971, sulle pagine culturali di "Le Monde" era infatti apparsa una recensio- ne non proprio benevola di Em- manuel La Roy Ladurie che, in un pezzo maliziosamente intito- lato Le diable archiviste, pur ri- conoscendo alcuni meriti alla ri- cerca sulle indemoniate di Lou- dun, palesava tutta la propria in- sofferenza per il ricercatore spesso chiamato - ricordando con una punta di sarcasmo la sua appartenenza alla Compagnia di Gesù - «pére de Certeau». Per La Roy Ladurie, Certeau era fra- te e diavolo e, al pari del mite li- bertino Urbain Grandier chia- mato da Jeannes des Anges a di- rigere il suo convento di clausu- ra (fatto che scatenò l'intera vi- cenda delle "indemoniate di Loudun"), incautamente mesco- lava lo zolfo con l'acqua santa, mascherando l'eccesso di licenza dietro una patina di buone ma- niere. Certeau si mostrava abilis- simo nel districarsi fra una quan- tità indefinibile di campi e no- zioni del sapere psicoanalitico, medico, teologico e filosofico, ma il risultato non pareva diffe- renziarsi troppo da un'accozza- glia di elementi maldestramente amalgamati, tra fonti d'archivio, verbali di interrogatorio e tagli, lacune o peggio ancora cesure. Anche per questo, proseguiva La Roy Ladurie, quanto più Mi- chel de Certeau era maestro nel toccare corde e aprire repentina- mente registri inconsueti, tanto più risuonava irritante e "indeci- frabile" per i lettori, specialisti o meno che fossero, tutto il suo saltare repentinamente da un re- gistro all'altro, anche nella scrit- tura. La Roy Ladurie non esitava infine a etichettare quello del- l'ingegnoso e "astuto" gesuita come "il libro più diabolico del- l'anno". A questo proposito, in un den- sissimo saggio raccolto nell'ulti- mo numero di "Discipline filo- sofiche", numero interamente dedicato al lavoro storico e sto- riografico di Michel de Certeau (con un suo prezioso inedito sul- le Storicità mistiche, interventi di Silvana Borutti, Andrew Baird, Massimiliano Mazzini, Christina Antenhofer, Stefano Selu e Bar- naba Maj, curato con grande scrupolo dallo stesso Maj e Ros- sana Lista), Hayden White os- serva che il lavorio del "diavolo archivista" inizia proprio con il rovesciamento di alcuni fra i pa- radigmi più cari alla scuola delle "Annales" di Braudel. Dopo la "frattura instauratrice" del 1968 e il suo ingresso in quell' "inebriante mondo dell'attività in- tellettuale francese", in cui Greimas per la semiotica, Foucault per l'analisi del discor- so, Derrida con il de- costruzionismo, Bar- thes nel campo della critica letteraria (ma non solo: basti pensare al suo decisivo II di- scorso della storia che è del '67), Lévi-Strauss per l'etnologia e Lacan con la sua revisione della psicoanalisi stavano offrendo "varie versioni di ciò che sareb- be divenuto collettivamente no- to come post-strutturalismo", Michel de Certeau elaborò "un'idea caratteristicamente po- stmodernista di storia" sosti- tuendo le categorie spaziali a quelle temporali per l'ordina- mento dei processi storici, ela- borando le nozioni di "distanza" e "assenza" e, soprattutto, po- nendo in discussione la nozione stessa di "écriture" come segno distintivo fra "civilizzazione" e "culture", con o senza storia. Il lavoro di cui "padre de Cer- teau" si fa carico è quello di prefigurare una storia in cui la- cune, tagli, ferite, silenzi e assen- ze si ritroveranno "evocati in qualche equivalente storiografi- co della 'via negativa' seguita dal mistico nella sua ricerca dell'in- conoscibile", senza descrivere o spiegare, ma semplicemente re- stando in ascolto e aprendosi al- la questione capitale dell 'altro. In questo senso, rimarca Maj nel suo saggio dedicato a "Les traces de l'autre": Robinson Crusoe e il problema della storia, le teorie di Michel de Certeau riguardano sì lo statuto della storiografia ma, al tempo stesso, investono so- prattutto lo statuto della storia e la sua vera o presunta discorsi- vità e/o scientificità. Eppure, proprio perché insiste senza re- quie sul carattere discorsivo del- la storiografia, la concezione di Michel de Certeau - osserva an- cora Maj - "non dissolve la realtà storica" riducendola all'o- perazione discorsiva della storio- MICHELDECCKTEW fabula mistica XVIXVII SECOLO grafia, al contrario, proprio met- tendo incessantemente in luce "il carattere di finzione (nel sen- so istituzionale del termine) di questa operazione, le pone sem- pre di fronte il problema dell'al- terità irriducibile". Un'alterità scoperta proprio nel confronto con le pratiche del misticismo seicentesco, oltre che in certa letteratura (da qui il richiamo al- l'opera di De Foe che è al centro dell'analisi di Maj, ma de Cer- teau fu al tempo stesso un accor- to lettore di Jules Verne). Nel suo libro sulla disputa re- lativa al caso delle orsoline inde- moniate - disputa che, il 18 ago- sto del 1634, condusse Urbain Grandier al rogo con l'accusa di essere il loro "corruttore" spiri- tuale - Certeau ritematizzava, se così si può dire, alcune questioni già emerse nel decennio prece- dente, quando i suoi studi, ecce- zion fatta per La prise de la paro- le (La presa della parola, Melte- mi, 2007), che solo apparente- mente muoveva lungo l'unica di- rettrice ispirata ai fatti e dal mo- vimento del Maggio francese, lo avevano condotto sulle tracce di un altro religioso, il gesuita Jean- Joseph Surin. Così, dopo la pubblicazione della sua tesi su Pierre Favre (Le Mémorial de Pierre Favre, Desclée De Brouwer, 1960), Michel de Certeau si era buttato nell'este- nuante lavoro di cura- tela della Guide spiri- tuelle e delle lettere di Padre Surin, il gesuita che nell'inverno del 1634 fu inviato a Loudun per "occuparsi" dei casi di posses- sione e, soprattutto, per esorciz- zare Jeanne des Anges, finendo con l'identificarsi nel diavolo. Esorcista posseduto, sconvolto dai demoni stessi che aveva con- tribuito a scacciare, costretto a una continua straniazione da sé, ciò nonostante Surin era riuscito a vivere e a scrivere sulla propria esperienza in un modo tale che ne attestasse la "realtà", dando corpo a quella "via mistica" che nei suoi testi intenderà nei ter- mini di una vera e propria "scienza sperimentale". Il confronto con Jean-Joseph Surin offriva quindi a de Cer- teau l'occasione per un rifles- sione sull'"altro" e sul caso-li- mite rappresentato, per l'analisi storica, dall'esperienza e dal "discorso" dei mistici. Dal lavoro su Favre, fino al capolavoro del 1982 La fable mistyque (da poco riproposto da Jaca book, in una nuova ver- sione curata da Silvano Facio- ni, dopo l'edizione risalente a venti anni or sono apparsa presso il Mulino), il misticismo si rivela dunque un test di pro- va capace di mandare in crisi una certa impostazione della conoscenza e della "verità" sto- rica, così come si sono articola- te dalla fine del XIX secolo, nella loro incapacità di rendere conto o di farsi carico di quelle zone d'ombra, di quei grovigli inestricabili e di quei buchi ne- ri che la mistica assume come tratti determinanti della pro- pria presenza. ■ dotti@tysm.org M. Dotti insegna professioni dell'editoria all'Università di Pavia