L'INDICE ■■□e! libri del me5e^| Gaetana Mazza, streghe, guaritori, isti- gatori. Casi di inquisizione diocesana in Età Moderna, presentaz. di Adriano Prospe- ri, pp. 222, € 23,20, Carocci, Poma 2009 Il volume, che studia alcune vicende in- quisitoriali documentate fra il 1680 e il 1759 dall'Archivio diocesano di Sarno, è divìso in due parti. La prima, sulle tracce dei fondamentali studi di Adriano Prospe- ri, disegna un profilo esauriente dell'Inqui- sizione nella tarda età moderna come "tri- bunale della moralità quotidiana": non più concentrato sulla minaccia ereticale o sul- la stregoneria, ma in grado di estendere la propria competenza a crimini come la bestemmia, il concubinato, l'istigazione ad turpia, le pratiche superstiziose. In questa nuova strategia un elemento im- portante erano i confessori, che esercita- vano uno stretto controllo sulle coscienze dei penitenti (soprattutto le donne), indu- cevano alla denuncia o all'autodenuncia e spesso venivano meno al segreto sacra- mentale della confessione. Nella seconda parte la studiosa presenta una serie di ca- si concreti, sulla base di un'attenta disa- mina dei documenti processuali. Sono in- nanzitutto dei "bellissimi racconti" animati da "straordinari profili di donne", che met- tono in luce nello stesso tempo una ricca serie di testimonianze sulla vita quotidia- na, sull'economia e sulle relazioni sociali e sessuali dell'epoca, con un accento parti- colare su "riti e credenze locali" ancora vi- vi e operanti (si pensi alla figura della gua- ritrice o "janara"). Che la prima edizione di queste ricerche storiche, mai giunta in li- breria, sia stata oggetto di censura da parte della curia diocesana, è certo un episodio dal "carattere grottescamente regressivo" e rispecchia il "senso di ver- gogna di una istituzione per i comporta- menti del clero del passato" (come scrive Prosperi). Ma non tutti i mali vengono per nuocere: l'esistenza "tempestosa" del li- bro lo ha trasformato in un paradossale "documento della storia che racconta". Rinaldo Rinaldi le. La ricca tradizione di scrittura sulle donne offre insomma una prospettiva di largo respiro alle indagini sulla politica culturale delle reggenti, realizzando un ideale progetto interdisciplinare opportu- namente applicato alla complessa età ba- rocca. (R.R.) In assenza del re. Le reggenti dal XIV al XVII secolo (Piemonte ed Europa), a cura di Franca Varallo, pp. 610, € 65, Olschki, Firenze 2009 Organizzato nel 2006 per il quattrocen- tesimo anniversario della nascita di Maria Cristina di Francia, prima Madama Reale e reggente dello stato sabaudo nei de- cenni centrali del XVII secolo, il convegno di cui questo volume raccoglie gli atti ha unito in modo esemplare ricerca letteraria e ricerca storica. Tema dell'incontro sono state le due reggenze sabaude di Maria Cristina e Maria Giovanna Battista, ma an- che la figura stessa della donna gover- nante nelle società di Antico Regime: mo- gli e madri, che in assenza del re reggo- no lo stato nell'interesse del figlio in mino- re età, pur essendo escluse formalmente dal potere in quando donne. A lungo tra- scurato dagli studiosi o liquidato come momento di decadenza, questo periodo della storia piemontese è ora oggetto di attenta riconsiderazione, anche alla luce dei più grandi esempi di governo femmi- nile in Europa fra Cinque e Seicento (da Caterina de' Medici a Elisabetta Tudor). In tal modo gli studi sollecitati dal convegno hanno messo in rilievo sia le complesse scelte diplomatiche in chiave dinastica, sia soprattutto un'accorta strategia del- l'immagine in chiave di autocelebrazione, attuata dalle Madame Reali con moderni strumenti letterari e artistici. Proprio al re- troterra letterario di questa propaganda in chiave femminile è dedicato un nutrito gruppo di saggi, che vanno dalle donne del Decameron a quelle di pieno Cinque- cento (fra Castiglione e Tasso), passando attraverso le rassegne quattrocentesche de mulieribus admirandis e giungendo al barocco di Marino, Chiabrera e Della Val- Roma e la campagna romana nel Grand Tour, a cura di Marina Formica, pp. 387, € 24, Laterza, Roma-Bari 2009 Nata in Inghilterra fra Cinque e Seicen- to, la consuetudine del "Grand Tour" o del viaggio in Europa come esperienza di for- mazione della classe dirigente, si diffonde su tutto il continente nei secoli successivi, fino a diventare tappa obbligatoria o idea- le coronamento degli studi per i giovani rampolli dell'aristocrazia. Diventato con il tempo "interclassista" e codificato nei suoi itinerari a finalità didattica, il Grand Tour prevedeva la visita delle città d'arte italiane, e Roma, con II suo patrimonio monumentale antico e anche rinascimen- tale e barocco, aveva un ruolo di primo piano. I contributi del volume curato da Marina Formica sono appunto dedicati a Roma e ai suoi dintorni, come meta di viaggio soprattutto per turisti non italiani e nordeuropei. Come sottolinea Cesare de Seta, l'effetto del Grand Tour "non si risol- ve nell'esperienza personale di chi lo vive, ma diviene un fattore essenziale nella tra- sformazione del gusto dei paesi d'origi- ne". Ed è proprio il trasferimento delle "im- pressioni di viaggio" in prodotti differen- ziati (descrizioni letterarie, ma anche do- cumenti visivi come stampe, disegni, og- getti, souvenir) a determinare l'onda lun- ga di questo "effetto di ritorno". L'Italia e Roma ricevono così una forma culturale attraverso gli occhi, la parola e la memo- ria dei visitatori, dando origine a un mito destinato a lunga fortuna; sia che venga privilegiata la variante urbana o artistica dell'itinerario (Les promenades dans Ro- me di Stendhal ne rappresentano il punto culminante nel 1829), sia che la preferen- za vada ai paesaggi e alle rovine della campagna romana o alle pittoresche lo- calità del Lazio (si pensi alla Italienische Reise goethiana o a certe pagine di Cole- ridge). E in questa riscoperta delle pro- prie radici l'Europa comincia a fare i conti con la propria identità. (R.R) Steven Nadler, Il migliore dei mondi pos- sibili. Una storia di filosofi, di Dio e del male, ed. orig. 2008, trad. dall'inglese di Fran- cesco Piro, pp. 300, € 24, Einaudi, Torino 2009 Nadler ricostruisce il dibattito intorno al male sviluppatosi in Europa, e a Parigi in particolare, negli ultimi decenni del Sei- cento. Come conciliare il fatto che nel mondo esiste la sofferenza e che il mondo è stato creato da un Dio buono e saggio? Questo, in sintesi, l'interrogativo principa- le, dietro cui si celavano però questioni più generali riguardanti il senso stesso dell'esistenza: l'universo è frutto di sag- gezza oppure è privo di significato? Tre furono i protagonisti indiscussi, di cui si analizzano libri, articoli ed epistolari: il lu- terano Leibniz e due cattolici, ossia l'ora- toriano Malebranche e il giansenista Ar- nauld. La discussione non era certo inedi- ta: aveva trovato spazio nella filosofia pa- gana antica e nella teologia medievale, per non ricordare la riflessione biblica af- fidata al Libro di Giobbe. Tuttavia, essa esprimeva allora le tensioni di un'Europa definitivamente divisa dopo la crisi religio- sa cinquecentesca e le domande di una cultura rinnovata dalla rivoluzione scienti- fica. Per Leibniz l'universo, pur imperfetto, è il migliore che Dio avrebbe potuto crea- re. A Malebranche il mondo non appare il migliore dei possibili in assoluto, ma certo il più perfetto in relazione alle leggi natu- rali che lo regolano (in tal senso il male esiste perché Dio lo permette come un prodotto del corso della natura). Stando ad Arnauld, secondo il quale la compren- sione del volere divino è comunque im- possibile, le imperfezioni sono dettagli che sembrano difetti a causa dell'incapa- cità umana di osservare la realtà in una prospettiva più ampia (messe insieme, le singole cose costituiscono invece una splendida totalità). Diversi per formazione e pensiero, i tre autori offrirono dunque ri- sposte differenti, che non hanno mancato di alimentare il successivo dibattito. Patrizia Delpiano Luca Di Vito e Michele Gialdroni, lipari 1929. Fuga dal confino, pp. 382, € 18, La- terza, Roma-Bari 2009 Le sì sarebbe potuto chiamare "La grande beffa al fascismo". Questo è un li- bro singolare, un "documentario a paro- le", per dirla con i suoi stessi autori. Vi si racconta l'evasione da Lipari di Emilio Lussu, Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti nel luglio 1929. Se il verbo "racconta- re" fosse impiegato a commento di un saggio di storia, il saggista in questione si altererebbe assai. Ma qui non siamo di fronte a un saggio storico, né storici pre- tendono di essere Di Vito e Gialdroni, il cui intento è quello di tornare su una vicenda già ampiamente nota, facendo parlare fonti disparate (carte d'archivio, epistolari, memorie), riprodotte fedelmente e in se- quenza così da dare forma a un flusso narrativo i cui argini vengono di continuo rinforzati dalla corsìvata voce fuori campo degli autori. Di meno, rispetto al lavoro dello storiografo, c'è la contestualizzazio- ne politica e sociale dell'evento: come in un documentario o in un film d'avventura, la narrazione tiene in scarso conto gli ante- fatti e in due paginette conclusive, non indi- spensabili, liquida i destini che attende- ranno gli attori dopo il 1929. Di più, sempre rispetto al lavoro dello storiografo, c'è la cura per la ricostruzione del profilo psicologico dei personaggi, osservati non tanto nel loro ruolo di esponenti dell'antifascismo, quanto semmai come coatti ingiustamente tratte- nuti, che progettano la propria fuga, la or- ganizzano con il concorso di parenti e compagni di fede (Gioacchino Dolci, Al- berto Tarchiani, Gaetano Salvemini ecc.) e si allenano da provetti nuotatori affinché il piano abbia successo. La fuga: ecco la vera protagonista di un libro avvincente in vari passaggi, specie se si riesce a ri- muovere il ricordo di un regime, qui splen- didamente irriso, che per tre lustri ancora avrebbe continuato a confinare, torturare e uccidere i suoi oppositori. Roberto Giulianelli 1925 - fino alla caduta del regime. Al fianco di operazioni criminali, come l'uc- cisione dei fratelli Rosselli nel giugno 1937 (richiesta al Servizio da Galeazzo Ciano), che valsero la condanna di molti suoi elementi nel marzo 1945 da parte dell'Alta Corte di Giustizia a Roma, il Sim ne compì altre di utili; ad esempio, nel giugno 1942 preannunciò un attacco in- glese presso Malta, evitando il disastro a tedeschi ed italiani. La novità del libro consiste da un lato nei nuovi documenti consultati, dall'altro nell'approccio alla materia, che non pretende di abbraccia- re le attività dei Servizi italiani global- mente intesi. In modo analogo, è grazie ai documenti originali ritrovati nel 2004 da Mario Cereghino nel Maryland, frutto, a loro volta, delle indagini commissiona- te dai Servizi americani all'agente Lada- Mocarski per comprendere le ragioni del fallimento alleato nel tentativo di sottrarre Mussolini ai partigiani, che la ricostruzio- ne della fine dell'uomo di Predappio è oggi finalmente possibile: fino al momen- to in cui Walter Audisio gli sparò alla schiena due colpi di revolver mentre si approssimava al muro di cinta di villa Belmonte. Il volume, molto dettagliato nel presentare il capolìnea della vita di un uomo ormai ridotto all'impotenza, offre anche il resoconto dell'autopsia del ca- davere. Daniele Rocca Giuseppe Conti, una guerra segreta. Il SlM nel secondo conflitto mondiale, pp. 540, €33, Il Mulino, Bologna 2009 Giorgio Cavalieri, Franco Giannantoni, Ma- rio J. Cereghino, La fine. Gli ultimi giorni di Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani (1945-1946), pp. 273, € 16,60, Garzanti, Milano 2009 Docente di Storia contemporanea e Sto- ria militare presso "La Sapienza", Conti ricostruisce la storia del Servizio di Infor- mazioni Militare Italiano - fondato nel Roberto Chiarini, L'ultimo fascismo. sto- ria e memoria della repubblica di salò, pp. 143, € 18, Marsilio, Venezia 2009 Chiarini pone a premessa del suo di- scorso la volontà di chiarire le ragioni dei "vinti", la cui ghettizzazione avrebbe non solo minato le sorti della repubblica, ma alimentato una "guerra civile permanen- te", i cui deleteri effetti sulla tenuta dell'opzio- ne democratica sareb- bero oggi sotto gli oc- chi di tutti. Benché da circa vent'anni storici e divulgatori non siano nuovi a quest'ordine di problemi, si sente qui il bisogno di ritornare sulla ricostruzione del 1943-1945, indicando, come snodi cruciali, eventi largamente noti: lo sbandamento dell'e- sercito dopo l'armisti- zio, le difficoltà orga- nizzative del governo repubblichino, l'antisemitismo esacerba- to dal controllo tedesco, il sostanziale afascismo della popolazione, la svolta in senso sociale. Senza contare che viene presentata, come propria della retorica di Salò, la pratica, già adottata nel Venten- nio, di strumentalizzare la storia in chiave eroico-patriottica. Si ammette che molti ex fascisti hanno violentemente attaccato la Resistenza, sostituendola con il mito di Salò. Le varie anime moderate, disposte a convergere sulla parificazione delle morti partigiane e repubblichine, per cir- ca sessant'anni hanno però dovuto fare i conti con quella movimentista, che in Salò ha sempre visto un episodio onore- vole. La strategia centrista della De, di- sposta alla creazione di una "grande de- stra" in funzione anticomunista, avrebbe messo solo temporaneamente a tacere una divisione, pronta a riesplodere in chiave terroristico-eversiva negli anni set- tanta. Se l'autore si sforza di individuare in eventi politici esterni la responsabilità della metamorfosi pseudoliberale e con- ciliante della destra di Fini, è pur vero che non può ritenerla in grado di miscono- scere la propria identità storico-ideologi- ca. Si corre il rischio di scontentarne i so- stenitori. Alessia PedIo * «à k o GQ o GQ