N. 11 28 Letterature U dolore come carburante della memoria di Chiara Lombardi Philip Roth INDIGNAZIONE ed. orig. 2008, trad. dall'inglese di Norman Gobetti, pp. 137, € 17,50, Einaudi, Torino 2009 4 4 ti ndignazione" è una pa- rola non troppo abusata che trasmette ancora una sua risonanza potente. Fa pensare alle invettive dantesche contro la chiesa corrotta, e a episodi evangelici come quello in cui i farisei negano ai bambini l'a- moroso contatto con Gesù (Mar- co, 10,2-16). Indignazione è il titolo dell'ulti- mo romanzo di Philip Roth, una storia che si dipana "sotto morfi- na", nella memoria ancora lucida del soldato morente Marcus Messner, colpito a diciannove an- ni nella guerra di Corea. E l'effet- to dell'analgesico oppiaceo, infat- ti, ad alimentare "il serbatoio del suo cervello con una sorta di car- burante mnemonico, riuscendo nello stesso tempo a mitigare il dolore procurato dalle ferite di baionetta che gli avevano presso- ché reciso una gamba dal torso e fatto a pezzi intestini e genitali". Entrando così nella memoria del protagonista e lasciandolo al momento delia sua morte, il letto- re rivive le vicende di questo stu- dente americano di origini ebrai- che nei campus del New Jersey e dell'Ohio, nei primi anni cin- quanta. Figlio di un macellaio ko- sher di Newark, Marcus trascorre l'adolescenza ad aiutare il padre nel difficile e, a volte, disgustoso lavoro di preparare le carni per la vendita secondo le norme della legge rabbinica. Un mestiere che gli ha insegnato, però, una regola dignitosa-, "Si fa quel che va fat- to". Non altrettanto dignitoso è per Marcus sopportare l'appren- sione del padre, che si inasprisce Flapper disinibita al compimento del suo diciottesi- mo anno, al momento di uscire dal guscio familiare ed entrare nel mondo. Per questo il ragazzo sce- glie di allontanarsi dal tranquillo campus di Robert Treat per cer- care libertà altrove, e finisce nella "retriva, apolitica Winesburg", nel cuore di un'America luterana e conservatrice, sospettosa e pre- venuta verso gli ebrei. Marcus, impegnato con ardore nello stu- dio e iscritto al corpo d'addestra- mento per gli ufficiali di riserva, fatica a sopportare i suoi compa- gni di stanza: prima lo sprezzante, distruttivo scocciatore Flusser, che gii presta la lussuosa automo- bile del padre per uscire con una ragazza, salvo poi etichettare que- st'ultima come "mignotta" quan- do l'amico gli racconta i partico- lari delia loro sosta notturna in un parcheggio. In realtà, quella prima, seppu- re incompleta, iniziazione ses- suale, sconvolge anche Marcus, il quale esita a innamorarsi di Olivia, ragazza affascinante, sen- sibile e intelligente, ma per lui forse troppo disinibita, e con i polsi segnati dalle cicatrici di un tentato suicidio, "figlia di geni- tori divorziati, e per giunta non ebrea". Non è facile, per un giovane abituato a fare il suo dovere nel- la macelleria paterna dissanguan- do e dissezionando polli e agnel- li, crescere districandosi tra que- ste contraddizioni, che pure non lo distolgono dal pensiero rivolto alia storia, alle tensioni tra Tru- man e MacArthur, agli squilli di tromba dei soldati cinesi "che ri- suonavano nel buio", ai soldati americani "raggomitolati nei sac- chi a pelo in cerca di un poco di calore". E quando il decano del campus lo convoca per chieder- gli spiegazioni sui frequenti cam- bi di stanza, il disagio di Marcus gonfia fino a esplodere. Perché in questo romanzo l'indignazio- ne assume spesso il significato di Giuliana Olivero Zelda Fitzgerald LASCIAMI L'ULTIMO VALZER ed. orig. 1932, trad. dall'inglese di Flavia Abbinante, prefaz. di Luca Scarlini, pp. 266, € 19, Bollati Boringbieri, Torino 2009 Più di mezzo secolo dopo la sua morte, avvenuta nell'incendio dell'ospedale psi- chiatrico di Asheviile, in North Carolina, do- ve da anni era ricoverata, Zelda Sayre Fitz- gerald (1900-1948) suscita ancora e sempre il medesimo interrogativo: era la Southern Belle, l'icona dei ruggenti anni venti, la musa della Jazz Age, la flapper disinibita e folle (le definizioni si sprecano... molte da lei stessa coniate) che con- dusse il marito all'alcolismo distruggendone il talento, oppure fu la vittima sacrificale dell'ego sovradimensionato di quello stesso marito, al se- colo Francis Scott Fitzgerald? Anziché sempli- cemente "moglie di", non era lei stessa un'arti- sta dotata, con una propria identità separata da quella del marito e dalla loro immagine di "cop- pia dorata", che è poi entrata a far parte di un mito cristallizzatosi nella memoria comune? In altri termini, possiamo domandarci se dare ragione a Hemingway, che, come ricorda Scarlini nella prefazione, "le dichiarò pronta ed eterna inimicizia", sparlando di lei in Festa mobile e "af- fermando il suo nefasto influsso sul marito, di cui Zelda sarebbe stata la rovina", oppure, ad esem- pio, alla sua biografa Sally Cline (Zelda Fitzgerald. Her Voice in Paradise, Arcade, 2003), la quale, dopo aver consultato le cartelle cliniche di Zelda e parlato con un suo psichiatra, si dichiarava con- vinta che ad alterare il suo equilibrio mentale fos- se stata la relazione con il marito, il quale viveva i disperati tentativi di Zelda di trovare una propria identità nella scrittura, o nella danza o nella pit- tura, come attacchi frontali alla sua virilità e al suo genio, mentre lei, da parte sua, era appesa a una devastante dipendenza emotiva da Scott, di cui non fu mai in grado di liberarsi. Il romanzo (qui nella traduzione di Flavia Ab- binante, che sa abilmente dare ritmo ai mulinel- li di una scrittura molto discontinua, che alla di- sperata ricerca dell'originalità alterna tratti di opacità) non dà ovviamente risposte certe sulle capacità artistiche di Zelda, che peraltro si de- dicò non solo alla narrativa, ma anche alla pittu- ra e, soprattutto, alla danza, quella sua ossessio- ne della vita reale che è l'effettiva protagonista del romanzo. Se non altro, 0 testo contribuisce quantomeno a sfatare la leggenda dell'intensa e romantica storia d'amore dei Fitzgerald, che in realtà fu per entrambi un inferno fatto di furio- si litigi, gelosie, ripicche, rancori, una sorta di guerra familiare, insomma. Guerra che peraltro si riverberò anche sulle vicende editoriali del ro- manzo stesso. Pare infatti che Fitzgerald, che, com'è noto, era solito utilizzare le loro vicissitu- dini coniugali come materiale letterario, non vo- lesse accettare che anche la moglie facesse lo stesso (a dargli fastidio, in particolare, era che nel libro Zelda raccontasse di averlo tradito), e quindi chiedesse e ottenesse che al manoscritto di Save me the Waltz venissero apportate note- voli revisioni: il risultato fu un volume con mol- ti refusi che ricevette una ben scarsa attenzione dalla critica, e che dovette attendere decenni una nuova pubblicazione americana. Quindi, proprio quello che era il tratto comune della coppia, cioè l'elaborazione di fatti reali nella fic- tion, fu forse il più grave, e per Zelda definitivo (visto che proprio allora iniziava il suo dramma- tico confronto con l'internamento psichiatrico), motivo del loro allontanamento. dell'esplosione, del traboccare di sentimenti e pensieri per rivendi- care una dignità troppo a lungo negata. Nell'incontro con il decano Caudwell, Marcus non riesce a difendere fino in fondo il proprio bisogno di impegno e di verità; ripetendo nella mente i versi del- l'inno nazionale cinese ("In pie- di, voi che rifiutate di essere schiavi!" e "L'indignazione riem- pie i cuori di tutti i nostri compa- trioti"), cita gli scritti di Bertrand Russel e la sua conferenza Perché non sono cristiano. Una posizione che non è contro la concezione cristiana di Dio, ma contro le concezioni di Dio espresse da tutte le grandi religioni del mon- do; contro il principio delia pau- ra che si accompagna alla cru- deltà e alla religione. "Conquista- te il mondo con l'intelligenza, e non fatevi sottomettere come schiavi del terrore che deriva dal vivere in esso. L'intera concezio- ne di Dio è indegna di uomini li- beri". L'indegnità rivendicata da Marcus non scalfisce minima- mente il "fariseo" Caudwell e trova il suo epilogo in un conato di vomito che lo sottrae all'avvi- lente interrogatorio. Quella costante corrisponden- za tra indignazione ed esplosione ha infatti come correlativi simbo- lici il vomito e l'eiaculazione, en- trambe intese come parossistiche espressioni corporee di una li- bertà di pensare, di agire e di co- municare repressa e violata. Non è un caso che la storia si concluda proprio con l'episodio feroce- mente simbolico dell'Assalto alle Mutande Bianche, durante il qua- le gli studenti di Winesburg inva- dono le residenze femminili, ab- battono le porte a pugni e a calci, aprono i cassetti dando la caccia a tutte le mutande bianche, in un crescendo di provocazione e di violenza che culmina in un grotte- sco exploit finale: "Si masturbaro- no in men che non si dica, dopo- diché ognuno di loro gettò le mu- tande defiorate, bagnate e fra- granti di sperma giù fra le mani tese verso l'alto del giubilante as- sembramento di studenti (...) con le guance paonazze e incappuc- ciati dalla neve che li incitavano sbuffando vapore come dragoni". Elwyn muore quella notte stessa e Marcus, partito per la Corea, sarà poi ferito a morte. Da questo punto comincia la narrazione "sotto morfina" che leggiamo. Anche Indignazione, quindi, come i romanzi più riusciti di Roth, è scritto da una prospettiva anomala, da quello spazio inter- medio che in II fantasma esce di scena (Einaudi, 2008) è rappre- sentato dal passaggio tra la vita e la morte, e in Everyman (Einaudi, 2007) dalla morte stessa. Non si tratta soltanto di un punto di vista rintracciabile a ritroso, riavvol- gendo il racconto alla luce del fi- nale. Ma di un rovesciamento di prospettive che ridisegna la morte (e la vita) nel rapporto con la let- teratura, e viceversa. Che cosa succederebbe se la morte fosse non un infinito nulla, ma "un eterno rimuginare della memoria su se stessa"? Dove non è la me- moria a cedere nell'oblio, ma il tempo. E dove l'unica direzione "(per ora?) è all'indietro". In que- sto senso, se nella morte l'unica cosa che esiste è il passato ricor- dato, "non ritrovato e - attenzio- ne alla differenza - non rivissuto nell'immediatezza del regno sen- soriale, ma semplicemente ritra- smesso", allora si stabilisce un'e- quazione possibile tra la morte e la letteratura, che di quel passato si appropria. Anche la morfina, in fondo, rappresenta qualcosa di si- mile: un carburante mnemonico che attutisce il dolore di un corpo fatto a pezzi (anche simbolica- mente), e che lo ri-racconta senza alcuna remora né pudore. Non è un caso che Marcus ci affidi queste riflessioni a metà delia storia, quando riflette sul suo primo, "sconvolgente", in- contro con Olivia. E continui a ri-narrarsi quella storia, di giovi- nezza e indignazione, come un Orfeo smembrato, come un al- tro fantasma: "Continuerà dav- vero così? I miei diciannove an- ni per l'eternità, mentre tutto il resto è assente, i miei diciannove piccoli anni inesorabilmente qui, persistentemente presenti, men- tre tutto ciò che ha reso reali questi diciannove anni, mentre tutto ciò che ci situa pienamente nel 'qui' e 'ora' rimane un remo- to, remoto fantasma?". ■ chiaralombardi?libero.it C. Lombardi è ricercatrice in letterature comparate all'Università di Torino La Scimmia nuda Storia naturale dell'umanità mostra 3 Aprile 2009/10 Gennaio 2010 evoluzione astronomia clima programma di iniziative culturali 2009 17 marzo/11 dicembre 2009 \ ■m v m Museo Regionale di Scienze Naturali Via Gieditti 36 - 10123 Torino numero verde 800 329329 teletono 01 1 43 26 354 www.regione.piemorrie.it /museoscienzenaturali www.mrsntorino.it