i dei libri del mese Gd Perché la comunità scientifica, un tempo latitante, disdegna oggi le proprie radici storico-culturali? Mafia: la letteratura desaparecida di Nando dalla Chiesa 1 ■ «ì e £ tuo CO Raccontiamola così. Un professore universitario che si è occupato a lungo di mafia e criminalità organizzata lascia temporaneamente la vita accademica. E inizia un lungo viaggio nelle istituzioni politiche del suo paese per continuare a occuparsi - da lì - di mafia, di giustizia e di legalità. Dopo circa quindici anni E professore torna all'università. E, avendo avuto modo di misurare la drammatica impreparazione della classe dirigente su una materia che considera cruciale, decide di dare vita a un corso di sociologia della criminalità organizzata, forse il primo nell'università italiana. Si accinge perciò con entusiasmo a preparare il nuovo corso. Obiettivo: dare ai propri studenti la formazione Giuseppe Alongi, La maffia nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni, Bocca, 1886; Sellerio 1977. Anton Blok, La mafia in un villaggio siciliano, Einaudi, 1986 (ed. orig. 1974). Ignazio Buttitta, Il poeta in piazza, Feltrinelli, 1974. Ignazio Buttitta, La paglia bruciata, Feltrinelli, 1976. Luigi Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, in L'isola del sole, Giannotta, 1903. Napoleone Colajanni, Nel regno della mafia, Sandron, 1900; E1 Bagatt, 1988. Napoleone Colajanni, La delinquenza nella Sicilia e le sue cause, in "Giornale di Sicilia", 1885. Antonino Cutrera, La mafia e i mafiosi, Reber, 1900; Forni 1984. Giuseppe De Felice Giuffrida, Maffia e delinquenza in Sicilia, Società Editrice Lombarda, 1900. Dando Dolci, Banditi a Partinico, Laterza, 1955. Danilo Dolci, Spreco. Documenti e inchieste su alcuni aspetti dello spreco nella Sicilia occidentale, Einaudi, 1960. Danilo Dolci, Chi gioca solo, Einaudi, 1966. Giuseppe Fava, Processo alla Sicilia, Ites, 1967. Giuseppe Fava, Gente di rispetto, Bompiani, 1975. Franco Ferrarotti, Rapporto sulla mafia, Liguori, 1978 (ed. orig. 1966, negli atti della Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia). Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, La Sicilia (1876), 2 voli., Vallecchi, 1925 (ed. orig. Barbera, 1877), prefaz. di Enea Cavalieri; vedi ora: Leopoldo Franchetti, Le condizioni politiche e amministrative della Sicilia, Donzelli, 1993. Henner Hess, Mafia, Laterza, 1973 (ed. orig. 1970). Eric J. Hobsbawm, I ribelli, Einaudi, 1966 (ed. orig. 1959). Carlo Levi, Le parole sono pietre, Einaudi, 1955. Peter Maas, La mela marcia. Joe Valachi, i segreti di "Cosa Nostra", Mondadori, 1970 (ed. orig. 1968). mandabile avventurarsi a cercare autori e letteratura. Qualcosa di simile a quel confine che secondo Henner Hess ci trattiene inconsciamente al di qua della Grande guerra nella considerazione della grande produzione culturale. Ciò che è stato prima viene "disdegnato" in quanto "sorpassato". Hess ne scriveva nel 1977, guarda caso, proprio nella sua introduzione alla nuova edizione Sellerio di un classico dell'antimafia, come La Maffia di Nicola Alongi, funzionario di polizia, pubblicato per la prima volta negli anni ottanta dell'Ottocento. Ecco, quel meccanismo sembra abbia funzionato, in piccolo, per la materia della mafia, fissando un'ideale linea di demarcazione in corrispondenza del 1992-93. Gli anni delle stragi come gli anni di un "nuovo inizio", della nascita di una che contributi di intellettuali come Gaetano Mosca (inizi Novecento) o Salvatore Francesco Romano (anni sessanta). Ne è nata una letteratura autoreferenziale quasi dotata di un suo atto di nascita, al quale contravviene solo - e non sempre - un ristretto manipolo di studiosi di formazione antecedente. Un fenomeno doppiamente paradossale. In primo luogo perché il materiale su cui si erano formati gli eroi dell'antimafia è stato dimenticato proprio da coloro che hanno assunto quegli eroi a simboli e a origine del proprio impegno intellettuale. E vorrà dire qualcosa se il contributo di Leopoldo Franchetti è stato finalmente e debitamen- piu vasta e ngeneratnce coscienza collettiva. Con la repentina moltiplicazione del novero degli appassionati, degli esperti, degli studiosi e la nascita di una nuova generazione di autori, mossa da una inedita attenzione e generosità civile. E il parallelo oblio della produzione realizzata prima di quel tornante della storia. Più sfumato con riferimento agli anni ottanta. Addirittura brutale per il lungo periodo precedente il ciclo dei delitti eccellenti di fi- più sistematica possibile, in linea con l'urgenza che avverte di un radicale salto nella consapevolezza con cui il paese affronta il tema. Si tuffa dunque nella bibliografia lontana (per rinfrescarla) e più recente (per studiarla dopo averla letta o sfogliata sugli aerei e sui treni). Ed è così che fa una scoperta sconvolgente: da più di quindici anni i libri, gli autori sui quali si è formato lui e con certezza si sono formati i suoi migliori colleghi, e soprattutto le figure dello stato diventate eroi, non ci sono più. E tutto sparito. Non sono praticamente esistiti, nessuno li cita. Un po' come rituffarsi nella letteratura infantile e scoprire che sono scomparsi Biancaneve e Cenerentola, Cappuccetto rosso e II gatto con gli stivali. Come studiare la storia del calcio e non trovare più Piola e Meazza, Valentino Mazzola e Schiaffino. Perché sono spariti? Chi ha dato l'ordine di cancellarli? Risposta: l'ordine non l'ha dato nessuno. Non c'è nessun mandante, anche se la materia lo esigerebbe. Si è prodotta semplicemente una (clamorosa) amnesia o rimozione collettiva. Come se si fossero fissate delle colonne d'Ercole temporali oltre le quali è infido e poco Tacco- ne anni settanta-prtmi anni ottanta. Come mai? I congiurati hanno tanti nomi. Senz'altro ha inciso la verginità disciplinare dei nuovi studiosi o ricercatori, spesso privi di formazione precedente e dotati di pochi riferimenti contemporanei, con prevalenza dei principali successi editoriali, dedicati all'analisi e alla denuncia dell'attualità. Ma ha inciso anche il fascino che, nell'era dei giudici, ha esercitato su questi autori il materiale (anche riflessivo) di origine giudiziaria, d'altronde l'unico, almeno per certi aspetti, a fornire dati empirici, trame fattuali, rivelazioni dall'interno dell'universo mafioso. In assenza di percorsi formativi precedenti, questo materiale ha fatto la parte del leone, è diventato il surrogato nobile della letteratura sull'argomento. E di-^^^ ventato talora "la" letteratura. E, in terzo luogo, ha credibilmente inciso, negli anni, anche l'idea che la produzione posta al di là delle colonne d'Ercole fosse fondamentalmente priva di valore scientifico. Non giudiziaria; e nemmeno ancorata alle discipline accademiche, all'interno delle quali le citazioni sarebbero state per il nuovo ricercatore comunque obbligatorie. Certamente eterogenea. Fino al secondo dopoguerra inchieste parlamentari (Franchetti e Sonnino), analisi di pubblici funzionari (Alongi appunto), o vigorosi pamphlet di denuncia (Colajanni, De Felice Giuffrida), con un picco febbrile della produzione tra fine Ottocento e inizio Novecento, sull'onda dei Fasci siciliani - e della loro repressione - e del delitto Notarbartolo. Poi, nel dopoguerra, inchieste sul campo (DanEo Dolci) o denunce politiche (Pantaleone), per non parlare della narrativa civile (Carlo Levi), della narrativa tout court (Sciascia), del giornalismo d'inchiesta (Giuseppe Fava) o addirittura della poesia (Ignazio Buttitta). Non solo. Il fatto che la mafia non sia stata per più di un secolo oggetto sistematico degli studi accademici ha messo in un angolo an- Denis Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna, 2 voli., Laterza, 1970 (ed. orig. 1968). Cesare Mori, Con la mafia ai ferri corti, Mondadori, 1932 Gaetano Mosca, Che cos'è la mafia?, in "Giornale degli economisti", 1900, serie II, n. 20, pp. 236-262; Laterza, 2002, con saggio introduttivo di Giancarlo Caselli e Antonio Ingroia. Michele Pantaleone, Mafia e politica, Einaudi, 1962. Michele Pantaleone, Mafia e droga, Einaudi, 1966. Michele Pantaleone, Antimafia occasione mancata, Einaudi, 1969. Michele Pantaleone, Il sasso in bocca, Cappelli, 1970. Giuseppe Pitré, Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, L. P. Lauriel di C. Clausen, 1889. Mario Puzo, Il Padrino, Dall'Oglio, 1970. Francesco Renda, I Pasci siciliani 1892-94, Einaudi, 1977. Salvatore Francesco Romano, Storia della mafia, Mondadori, 1966. Jean Schneider e Peter Schneider, Classi sociali, economia e politica in Sicilia, Rubbettino, 1989 (ed. orig. 1976). Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, Einaudi, 1961. Leonardo Sciascia, A ciascuno il suo, Einaudi, 1966. Emilio Sereni, Il capitalismo nelle campagne (1860-1900), Einaudi, 1947. Corrado Stajano, Africo, Einaudi, 1979. Giuseppe Tornasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli, 1958. Nota. La bibliografia giunge sino alla fine degli anni settanta, fermandosi alla soglia del ciclo dei delitti "eccellenti". Comprende anche autori, come Pitré o Capuana, che si sono segnalati per una certa indulgenza verso il fenomeno mafioso. E include autori come Blok o gli Schneider che, per il loro taglio accademico e la maggiore vicinanza della loro traduzione italiana alle colonne d'Ercole del 1992-93, si trovano saltuariamente citati nella produzione più strettamente scientifica sull'argomento. (N.d.C.) te valorizzato proprio da un giudice, Roberto Scarpinato, nel suo libro-intervista con Saverio Lodato (Il ritorno del principe, Chiarelettere, 2008, mentre quello di Mosca (Che cos'è la mafia) è stato ripubblicato da Laterza con l'introduzione di due altri giudici, Giancarlo Caselli e Antonio Ingroia. Paradossale, in secondo luogo, perché la pretesa scientifica sembra volere annullare proprio le radici storico-culturali della disciplina. Come se l'università o la ricerca extrauniversitaria o la stessa denuncia civile, anziché sapere riconoscere la fondamentale funzione di supplenza svolta dalla letteratura precedente, volessero distaccarsene. Disdegnandola, per usare il verbo di Hess. Forse è giunto il momento di restituire al lettore più giovane o a quello maturo che ha iniziato a occuparsi solo recentemente di mafia il merito e il valore di un'intera produzione alla quale, in fondo, si deve il merito di avere raccontato e denunciato il fenomeno mafioso quando la comunità scientifica era latitante. ■ N. dalla Chiesa insegna sociologia della criminalità organizzata all'Università Statale di Milano