N. 1 Idei libri del mese| Come si racconta la schiavitù moderna Nella civile Inghilterra di Pietro Deandrea " T Tn ordine infero, qual era il nazionalsocia-t^y lismo, esercita uno spaventoso potere di corruzione, da cui è difficile guardarsi. Degrada le sue vittime e le fa simili a sé, perché gli occorrono complicità grandi e piccole. Per resistergli, ci vuole una ben solida ossatura morale (...): ma quanto è forte la nostra, di noi europei di oggi?". Il timore espresso da Primo Levi in I sommersi e i salvati, sulla possibilità del ripetersi di Auschwitz, si è concretizzato già alcuni anni dopo, nei campi di concentramento della ex Jugoslavia. Ma a cavallo dell'anno 2000 riecheggia con ancora più forza, a fronte delle nuove forme di schiavitù nel nostro continente e soprattutto nel Regno Unito, dove un mercato del lavoro particolarmente deregolamentato crea un humus ideale per i più svariati esempi di sfruttamento e carcerazione di esseri umani. La presenza di questo fenomeno nella letteratura britannica comincia a farsi sentire già nei primi anni novanta, quando la sociologa Bridget Anderson pubblica l'inchiesta Britain's Secret Slaves. Le sue interviste a lavoratrici domestiche migranti, soprattutto filippine, fanno emergere un universo nascosto di sfruttamento, violenze e abusi sessuali, causando scandalo e inchieste parlamentari. I datori di lavoro, uomini d'affari facoltosi soprattutto mediorientali (ma anche inglesi espatriati), possono degradare l'umanità di queste lavoratrici grazie alla legislazione britannica, che permette di trasferirsi in Gran Bretagna con la servitù al seguito segnata sul proprio passaporto come se si trattasse di componenti del nucleo familiare: senza una documentazione autonoma, le domestiche non hanno neanche gli strumenti legali per difendersi da chi le segrega. Un anno più tardi la regina del giallo Ruth Rendell dà una svolta "politica" alla sua produzione pubblicando La leggerezza del dovere, ispirato al volume di Anderson, dove il famoso ispettore Wexford smaschera l'assassino di una giovane donna di colore. Rendell mette al centro della sua narrazione i due concetti fondanti di Britain's Secret Slaves: il primo è il fantasma, perché l'esistenza di questi nuovi schiavi assume spesso connotati spettrali, infatti Wexford non riesce a scoprire quasi nulla dell'identità della vittima, lasciando così un enorme vuoto (anche etico) al centro della vicenda; il secondo è la prigione, in quanto ogni rispettabile casa privata diventa un potenziale carcere, e le sbarre alle finestre, teoricamente una difesa contro il crimine, si rivelano un mezzo per perpetrarlo. L'argomento delle nuove schiavitù in Gran Bretagna acquista progressivamente spazio in letteratura negli anni dopo il 2000, sviluppando un immaginario molto simile. Volumi investigativi come quelli di Gupta e Waugh svolgono un ruolo fondamentale, là dove portano alla luce le voci delle vittime. Si tratta di un recupero non facile, a fronte di esseri umani ridotti a spettri dalla reclusione e ammutoliti dalla vergogna per le brutalità subite. Forse proprio per questo Gupta e Waugh ne riportano le testimonianze in prima persona, in uno stile marcatamente narrativo che cerca di ricomporre le loro personalità spezzate e di riaffermarne la presenza fisica, concreta. Anche il nigeriano Chris Abani, nel suo romanzo Abigail. Una storia vera, rivela la volontà estrema di autoaffermazione della protagonista che, brutalizzata e costretta a vivere nella cuccia del cane dal suo aguzzino, reagisce a questo processo di spettralizzazione e animalizzazione marchiandosi il corpo in maniera ossessiva. Come per Anderson e Rendell, una comunanza di visione e di linguaggi sembra segnare il rapporto tra le arti e il giornalismo d'inchiesta sull'argomento. Hsiao-Hung Pai e Nick Broomfield, poi, instaurano una vera e propria collaborazione. Pai è una giornalista del "Guardian" di origine taiwa-nese. Per cogliere gli aspetti più nascosti di queste vite spettrali, si è resa essa stessa invisibile entrando in incognito nell'esercito di lavoratori cinesi in Gran Bretagna: taglieggiati dalle mafie e dalle agenzie per l'impiego, perseguitati dalle leggi sia cinesi sia britanniche, sono l'ultimo gradino di una forza lavoro che l'indagine di Pai dimostra essere non un'anomalia, ma una colonna fondamentale su cui si regge il benessere britannico. Ma Chinese Whispers porta anche alla luce la galassia dei luoghi di prigionia per questi nuovi schiavi: non solo case private, ma fabbriche, cantieri edili, terreni agricoli, centri di detenzione e ristoranti formano un arcipelago concentrazionario incredibilmente variegato, inafferrabile come il sistema economico che lo ha creato: emblematica la situazione delle schiave sessuali, costrette a spostarsi con cadenza settimanale all'interno di una rete di appartamenti-bordello. Neanche la spiaggia, icona del turismo ricreativo, ne esce immune: il film di Nick Broomfield Ghosts (Channel Four, 2006, www.ghosts.uk.com) racconta la storia dei ventitré raccoglitori di molluschi annegati nella baia di Morecambe nel 2004, perché nessuno li aveva avvertiti della rapidità delle maree. Ghosts è stato ispirato non solo dalle inchieste di Pai, produttrice del film, ma anche dal suo metodo: riprese clandestine hanno permesso la riproduzione degli ambienti di vita e lavoro con una fedeltà documentaristica, accentuata dall'uso di migranti non professionisti come attori - un realismo estremo per raccontare ciò che i più noti Piccoli affari sporchi (Frears, 2002) e In questo mondo libero (Loach, 2007) affrontano con linguaggi più tradizionali. I libri C. Abani, Abigail. Una storia vera (2006), Fa-nucci, 2008. G. Agamben, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, 1995. B. Anderson, Britain's Secret Slaves: An Inve-stigation into the Plight of Overseas Domestic Workers, Anti-Slavery International & Kalavaan 1993. C. Bayley, The Container, Nick Hern Books 2007. C. Cleave, The Other Hand, Spectre, 2009. R. Gupta, Enslaved: The New British Slavery Portobello Books, 2007. P. Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, 1986. H. H. Pai, Chinese Whispers: The True Story behind Britain's Hidden Army of Labour Pen-guin, 2008. D. Popa, Not Natasha, Autograph BP, 2009. I. Rankin, Indagini incrociate (2004), Longanesi, 2007. R. Rendell, La leggerezza del dovere (1994) Mondadori, 1995. R. Tremain, In cerca di una vita (2007) Tropea, 2009. L. Waugh, Selling Olga: Stories of Human Trafficking and Resistance, Phoenix, 2006. In concomitanza con il Bicentenario dell'abolizione della tratta (2007), negli ultimi anni l'argomento ha ricevuto grandi attenzioni e riconoscimenti, come per Indagini incrociate del popolare giallista scozzese Ian Rankin, In cerca di una vita di Rose Tremain e The Other Hand di Chris Cleave (da cui sta per essere prodotto un film con Nicole Kidman). Ma l'interesse sta andando ben oltre i confini della narrativa e del cinema. Nella pluripremiata mostra Not Natasha, della fotografa romena Dana Popa, le schiave del sesso dall'Est Europa sono presentate con immagini parzialmente nascoste, velate da finestre, schermi e tendine, in spazi spesso clau-strofobici. La violenza dello sfruttamento quotidiano negli appartamenti di Soho è accostata alla violenza della povertà dei luoghi d'origine, alle case vuote e cadenti di chi è rimasto ad aspettare, come i bambini che giocano fra i detriti. Altrettanto agghiaccianti, nella loro semplicità, alcune didascalie: "Avevo dodici anni. Non mi va di parlarne". C'è poi il caso dell' opera teatrale The Container di Clare Bayley, presentata al Festival Fringe di Edinburgo nel 2007, e nel cartellone dello Young Vie di Londra la scorsa estate: un container merci sulla strada di fronte al teatro, in mezzo al traffico, e il pubblico sistemato dentro, seduto su casse con la schiena contro le pareti, per assistere a un viaggio disperato verso la Manica pervaso da sopraffazioni e pura sofferenza fisica e psicologica, a pochi centimetri dal proprio naso, con le uniche luci create dalle torce in mano ai clandestini, e un senso di soffocante intrappola-mento che prende alla gola. Un importante riferimento teorico sull'argomento è rappresentato da Giorgio Agamben, che vede nel campo di concentramento il luogo emblematico del Novecento, dove ogni diritto viene sospeso. Certo, Agamben prende come modello la forma più nota, il lager nazista, ma alcune sue conclusioni sembrano descrivere proprio la dispersione nel territorio delle nuove forme di schiavitù, soprattutto quando individua nel campo la "matrice nascosta (...) dello spazio politico in cui ancora viviamo", o quando mette l'accento sul vuoto di diritti umani che da stato di eccezione è ormai divenuto regola. E, di nuovo, non si può non pensare a Primo Levi, e ai treni verso i campi. Ma avrebbe immaginato, Levi, un sistema concentrazionario così differente, in una nazione "civile" dell'Europa? Il monito che chiudeva il suo ultimo libro non pare molto lontano dalla realtà di questo nuovo secolo: "Pochi paesi possono essere garantiti immuni da una futura marea di violenza, generata da intolleranza, da libidine di potere, da ragioni economiche, da fanatismo religioso o politico, da attriti razziali. Occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare dai profeti, dagli incantatori, da quelli che dicono e scrivono 'belle parole' non sostenute da buone ragioni". ■ pietro.deandrea®unito.it £ £ HO £ a so a k so So P. Deandrea insegna letteratura inglese all'Università di Torino e £ co