In queste pagine, oltre al comunicato della giuria, pubblichiamo alcuni brani scelti dall'opera vincitrice Malacrianza di Giovanni Greco Malacrianza di Giovanni Greco Finisci la creanza! Non lasciare la creanza ! Che fai lasci la creanza? La creanza del cafone? Che poi non ha mai capito perché proprio il cafone dovesse essere quello che lascia l'ultima briciola, l'ultimo boccone, l'ultimo cucchiaio di minestra - proprio il cafone che per quanto ne sapeva doveva essere l'affamato numero uno di ritorno dal suo duro lavoro. Come non ha mai capito la storia dell'angelo che passa quando fai gli occhi storti e dice amen e te li fa rimanere per sempre gli occhi storti, se ti trova a fare gli occhi storti, anche se li fai di nascosto e ti pare che nessuno ti vede, rimasto solo davanti al piatto con la minestra ormai gelida... Finisci la creanza! Te ne manca poca... non mi va... non mi va... Ci sono bambini che muoiono di fame... non mi va... Finisci, che diventa colla... Qualche volta si è forzato, qualche volta no, non gli era del resto chiaro che c'entravano la creanza e i bambini che muoiono di fame, la sua creanza, l'avanzo di carne nel suo piatto e questi stranissimi bambini che invece di giochi normali, di capricci normali, di morbilli normali, muoiono di fame. Muoiono-di-fame, come se fosse qualcosa di diverso da morire per il colpo di pistola di un pistolero o per la freccia avvelenata di un indiano. Non capiva che gioco era morire di fame, se era un gioco (sembrava di no), che volevano dire: una di quelle cose dei grandi, che capiscono loro, che fanno ridere solo loro, che piacciono solo a loro (come quando altri grandi si danno i baci in bocca in televisione, che lui si girava dall'altra parte o si tappava occhi e orecchie con le mani per non vedere e non sentire). Una di quelle stranezze che magari s'inventano quando vogliono qualcosa e tirano fuori parole che non esistono, che s'inventano solo per... Finisci la creanza! Che fai, lasci la creanza? La creanza del cafone? Ma cafone non era una parolaccia? Non era come maleducato? Non era un insulto che non si doveva dire a nessuno? Va beh, però e il cafone, per quella volta, ma solo quella, mandava giù l'amaro boccone, controvoglia, trattenendo educatamente il vomito, con l'aiuto di molta acqua, una volta con la coca cola... non ce la faccio... E dai che hai finito; se finisci ti do... e no, lui la mandava pure giù la creanza, però così non aveva finito, era come ricominciare, prima aveva finito, il suo giro nel piatto finiva lì, quello era un altro giro o forse il giro di un altro, ma insomma quello che pareva restare nel piatto, quello che per gli altri restava, non restava davvero, nel suo gioco dell'oca segreto... finisci la creanza era come dirgli: ritorna al numero uno senza essere finito nella casella con l'oca nera; o come dirgli: vai fuori dai contorni ora che sapeva disegnarci dentro ... finisci la creanza, ché diventi grande e... forte... ma molte volte la creanza finiva nella spazzatura, sparecchiata, ammucchiata con il resto delle creanze, dei rimasugli, buttata via con creanze più piccole, crean-zine di creanza, tanto che non si chiedeva al divoratore di turno di finirle, di non lasciarle nel piatto: sotto una certa misura la creanza non è più creanza, è mondezza e ci sono cose che sono mondezza e basta come le briciole, le bucce, i nervetti della carne, i pezzi d'aglio di condimenti vari, le ossa dei polli: nessuno gli avrebbe mai detto finisci le bucce dell'arancia, finisci le briciole sparse sulla tovaglia, mangiati le ossa del pollo, lecca il sugo che è caduto accanto al piatto, no, quella è sporcizia, spazzatura: nessuno gli avrebbe mai imposto di mangiare la spazzatura, di grufolare come un porco tra quel che non arrivava neppure ad essere creanza, la creanzi-na. Quello non rendeva grandi e forti, quello era sconveniente, molto cafone, malacreanza e una volta che lo avevano sorpreso a raccogliere una buccia sbucciata male dalla spazzatura che stai facendo?... Che sto facendo? E sporco, buttalo via... e se per caso gli cadeva uno spicchio di mela, un pezzo di pane a terra... Non raccoglierlo, è sporco, buttalo via... ma perché? Perché? [...] Acaba com a crianga... finisci la crianza... dice uno sbirro che non è vestito da sbirro ad un altro, in un posto dove crianza significa creatura, bambino. Finisci il bambino... che aspetti? dice uno sbirro ad un altro, dopo un inseguimento di quelli rocamboleschi, alla tom e jerry, per stradine di terra e per vicoli melmosi. La crianza è un tredicenne ormai ferito, miniboss del narcotraffico di Recife, ineninho de rua, ragazzino di strada come si dice lì. Ragazzino di strada come il suo compagno di merende, che invece riesce a farla franca e che ora resta vedovo, ma incontrastato. Almeno fino alla prossima retata. La crianza a terra guarda in controluce chi lo deve finire con la pistola puntata verso di lui. Occhi paurosi ma rassegnati. Respira male, è stanco perché ha corso come un pazzo. Stava dormendo, quando hanno fatto la classica irruzione, all'alba. E riuscito a volare giù dalla finestretta della sua palafitta. Da lì gli hanno sparato e lo hanno preso quasi subito. Sul momento non ha rallentato la crianza, gli è sembrato di non avvertire nulla, come se il colpo, anche quello tra i tanti sparati, lo avesse mancato. Ha continuato a correre, la crianza ferita, sentendo dietro di sé la corsa rumorosa dei pistoleros di stato, dello squadrone di pistoleros che volevano finirlo. Poi, senza motivo, è caduta la crianza. Si è rialzata all'istante. Ha ripreso a correre. Si è sentita più pesante. Il suo compagno, l'altra crianza che dormiva con lui ed è Comunicato della giuria La Giuria decide di assegnare il premio a Malacrianza di Giovanni Greco per la temeraria impresa di narrare l'infanzia delle periferie del mondo globale, da Napoli al Brasile ai paesi dell'Est, non rifuggendo di fronte a scene estreme, senza derive nell'autocompiacimento o nel pathos; per la tecnica sperimentale con cui è costruita l'opera avvalendosi di una "parola staffetta" - malacreanza - che lega tra di loro le diverse sezioni; per la trasversalità e la duttilità del linguaggio che sa adeguarsi con efficacia ai diversi contesti. La Giuria decide inoltre di segnalare Le sorelle Soffici di Pierpaolo Vettori per l'originalità con cui svolge il tema dell'adolescenza, nel gioco tra mondo adulto ed evasione fantastica, in un felice amalgama tra manga, influenze gotiche e suggestioni gozzaniane. La Giuria ritiene infine di segnalare Casa Mele di Anna Melis per la ricerca linguistica, lo scintillio dello stile e la capacità di tratteggiare un vivido affresco di vita sarda sulla scia di una consolidata tradizione. La Giuria: Daria Galateria, Daniele Giglioli, Nicola La-gioia, Rosa Matteucci, Michela Murgia saltata dalla finestretta prima di lui, ha cominciato a distanziarlo. Si è girato a guardarlo, il compagno in vantaggio, lo ha visto che arrancava insanguinato, ha avuto una mezza idea di fermarsi, ma poi una voce sconosciuta dentro gli ha ripetuto più di una volta non raccoglierlo, è sporco, buttalo via... non raccoglierlo. Lo guarda, non si sente in colpa, vede in lontananza le sagome di molti pistoleros che si avvicinano nell'aria già afosa. Scappa senza voltarsi più, la crianza non sparata. L'altra crianza cade di nuovo e non riesce più a rialzarsi. Ha anche lui una pistola in tasca. Da sempre. Non la lascia neanche quando dorme, la crianza, è il suo gatto di peluche neroacciaio. L'ha usata anche ieri sera, la sua pistola, con quegli altri bastardi... Dovrebbe essere carica, comunque. Prova a estrarla dalla cinta, ma non ce la fa. Non ha la forza. Tanto lo sapeva che prima o poi... Le urla dei pistoleros sono vicinissime, arrivano dal cielo e dalla terra, acaba com a crianga... finisci la crianza... finisci il bambino... a malacrianga... che aspetti? [...] Che stai facendo?... Che stai facendo?... Che aspetti? Dice un uomo sulla sessantina, calvo, sudaticcio, poco vestito, con il suo coso di fuori in posizione verticale. Che aspetti? Ripete l'uomo. Che aspetti? Silenzio sempre più teso. L'uomo bestemmia tra i denti e sputa la gomma che stava masticando. Che stai facendo?... Gli avevano assicurato un servizio inappuntabile. Bestemmia ancora. Che aspetti? Ancora silenzio e caldo. Prova a cambiare strategia, forse è lui a essere poco pratico, a non conoscere le sofisticatezze esasperanti di queste... Si avvicina alla bambina. O meglio avvicina il suo coso un po' meno verticale a questo punto, un po' più ponte levatoio in discesa e un po' meno scimitarra - lo avvicina goffamente al volto della bambina. Ha fatto migliaia di chilometri, telefonate, giri e raggiri per ritrovarsi in quella squallida stanzetta con quella... che aspetti? Che aspetti? L'uomo si sta irritando. Ha speso molto denaro. Ma non è tanto quello. E che non capisce, gli avevano detto, gli avevano garantito... Prende il volto della bambina con le sue due mani grassocce e cerca di portarlo sul suo coso. La bambina non fa resistenza. Non piange. Non ride - per fortuna. Non c'è bisogno che l'uomo faccia altro, che ripeta un'altra volta che aspetti? Non c'è il tempo per un'altra bestemmia, neppure per trattenersi. Il contatto con il pallido viso di lei lo fa venire in pochi secondi, lo porta allo sputo colloso e violento, come non gli accadeva da anni, le gambe gli tremano, gli occhi si socchiudono. La bambina resta immobile, il viso sporco, l'occhio sinistro semichiuso. Lui comincia a riaversi. Tira su in fretta mutande e pantaloni senza andare troppo per il sottile, allaccia la cinta: è un bagno di sudore, gli hanno detto che c'è una doccia, ma non vede l'ora di andarsene. La bambina è sempre nello stesso punto, ferma, gronda dal viso quella specie di colla che resiste alla gravità. Lui finisce di sistemarsi, si guarda intorno - pagare ha già pagato, la cravatta... eccola lì, tra mezz'ora deve stare dall'altra parte della città e domani... Va verso la porta. Di colpo si gira, mette la mano in tasca, ne estrae un fazzoletto, torna indietro per un momento. Si ferma. Poi fa ancora un passo. Allunga il suo bel fazzoletto con le iniziali ricamate verso di lei e le pulisce sommariamente l'occhio sinistro, lo zigomo, l'orecchio. Poi lo lascia cadere per terra, ai suoi piedi e si stropiccia le mani. Lei si muove per la prima volta di sua iniziativa, con lentezza metodica. Piega le ginocchia, rimanendo sul posto, e sembra che allunghi la mano in direzione del punto in cui dovrebbe trovarsi il fazzoletto senza mai rivolgere lo sguardo verso di lui. Lui la guarda e scuote la testa... non raccoglierlo, è sporco, buttalo via gli esce dalla bocca. Sorride, continuando a scuotere la testa, tanto non può capire, non parlano la stessa lingua, lui e la creatura, lui e... come le chiamano qui? La crianga, sì, lui e la crianga - proprio non parlano la stessa lingua, lui e la crianga... e ridendo apre la porta ed esce senza richiuderla. Non fa in tempo a vedere che la crianga ora sta masticando la gomma che lui ha sputato... ■