r~ Antonio Tabucchi nel ricordo del suo traduttore francese Un geniale ladro di storie di Bernard Comment Bernard Comment Antonio Tabucchi: un geniale ladro di storie Demetrio Volcic Guardando all'Urss, senza testa o senza cuore Roberto Alciati Il silenzio (assenso) del Vaticano e la doppiezza della Chiesa argentina Leonardo Spanò Perché l'ideologia riparativa dell'omosessualità va confutata sul piano scientifico Sara Marconi Famiglie perniciose e figli autonomi Mauro Francesco Minervino I cordoli delle strade calabresi non arginano il dilagare degli abusi Carlo Donolo L'olismo politico è sempre reazionario Francesco Ciafaloni La favola dell'età dell'oro Enrico Grosso Le pessime scelte del popolo sovrano e il problema democratico Luigi Pingitore I filmaker greci di fronte alla crisi Rossella Milone Alice Munro: scrivo racconti perché non ho tempo per i romanzi Che cos'è un grande scrittore? Qual- cuno che rivela realtà nascoste o tra- scurate, che porta alla luce con le parole le forze oscure in gioco nella società o nei rapporti tra le persone. Qualcuno, anche, che plasma una forma e un lin- guaggio personali. Antonio Tabucchi è un grande scritto- re. Un grandissimo scrittore. Se ne va la- sciandosi dietro un'oeuvre majeure, che continuerà a vivere (risuonare) nella testa dei lettori passati, presenti e futuri. Ciò che colpiva, immediatamente, in lui, era la sua intelligenza, la sua cultura. Aveva letto enormemente e conservava nella sua testa frasi e versi che nutrivano i suoi scritti senza mai appesantirli. Era la sua eleganza. E il suo genio: perché c'era del genio, in Tabucchi, un'in- credibile lucidità e un ascolto del mondo, degli altri. Si definiva volentieri come un ladro di storie, e molti dei suoi racconti fanno riferimento a que- st'idea di costruire la nar- razione usando brani di frasi captate dalla strada, prese al volo da una con- versazione . Pezzi di desti- no anche, che nel loro concatenarsi finiscono per dar forma a un personag- gio il cui percorso si perde nella nebbia del dubbio e delle ipotesi aperte, In fondo, Tabucchi credeva nella sua buona stella. E l'ispirazione apparteneva per lui all'ordine della visi- tazione: degli angeli, bene- fici o malefici, che veniva- no verso di lui per conse- gnargli delle storie. Nato nell'autunno del 1943, a Pisa, Antonio Ta- bucchi ha sentito molto presto i rumori della guer- ra, quelli degli aerei e dei bombardamen- ti. Venne quindi nutrito dai racconti del tempo del fascismo e della Resistenza da suo nonno e da suo zio - quello che gli porta dei libri quando è inchiodato a letto da una frattura all'età di dieci anni, e che più tardi lo porterà a Firenze, agli Uffizi a vedere dei dipinti di cui gli regala le ripro- duzioni in cartolina. L' immaginario dello scrittore si è formato proprio negli anni dell'infanzia, anni che nutriranno in segui- to la sua opera e le sue tematiche. Il film di Fellini La dolce vita è uno choc per il giovane Tabucchi: scopre i lati vele- nosi del suo paese e prova il bisogno di al- lontanarsene. Studente brillante, ottiene una borsa di studio per la Cité Internatio- nale Universitaire a Parigi. I corsi di Jan- kélévitch alla Sorbona lo colpiscono mol- tissimo, ma passa i momenti migliori nel buio delle sale cinematografiche. Al momento di tornare in Toscana col treno della notte, compra, alla stazione di Lione, un piccolo libro di un poeta poco noto, la cui traduzione è appena stata pubblicata: si tratta del Bureau de tabac di Fernando Pessoa. Una folgorazione. Que- sta lettura sarà per lui decisiva e darà un orientamento alla sua vita. Decide di im- parare il portoghese e si reca a Lisbona, dove incontra quella che sarà sua moglie, Maria José de Lancastre. Insieme porte- ranno a termine un importante lavoro di analisi critica su Pessoa e lo tradurranno splendidamente in italiano. Formatosi alla Scuola Normale Supe- riore di Pisa, Tabucchi ha condotto una carriera universitaria internazionale; il suo lavoro è stato riconosciuto e celebra- to. Ma qualcos'altro sobbolliva nella sua testa: la letteratura. Il suo primo roman- zo, Piazza d'Italia, lo pone sin dall'inizio fra i grandi scrittori, quelli che sanno tes- sere più fili insieme e mettere a paragone gli individui con la grande storia. Dipin- ge un secolo d'Italia, da Garibaldi alla caduta del fascismo, in un affresco estre- mamente inventivo, moderno, ispirato alle teorie di Eisenstein sul montaggio ci- nematografico (in cambio, il cinema si è occupato di molti suoi libri, adattati per il grande schermo, come il magistrale Notturno indiano di Alain Corneau, o il Autoritratto 1990, olio su tela, 70x70 Requiem di Alain Tanner). Oltre ai ro- manzi, anche i racconti di Tabucchi, per esempio quelli di II gioco del rovescio o di Piccoli equivoci senza importanza, la cui sottile meccanica sa far spirare con forza il vento delle tragedie, hanno nu- trito l'immaginazione dei suoi lettori. Nel 1986, al ritorno da un breve viaggio di qualche settimana in India, scrive un meraviglioso romanzo sulla perdita d'i- dentità e la dissoluzione del proprio sé, Notturno indiano (Prix Médicis Etranger nel 1987). Un libro cupo, abitato dalla morte che vi si aggira, che parla dell'India bene quanto L'impero dei segni di Roland Barthes parlava del Giappone. Non c'è bisogno di un lungo soggiorno, qualcosa di essenziale è stato afferrato. Il filo dell'orizzonte imbocca la strada del giallo metafisico (come più tardi La testa perduta di Damasceno Monteiro) per evocare gli anni di piombo che han- no insanguinato l'Italia col delirio terro- rista e i complotti di stato. Poi viene lo strano e affascinante Requiem, una gior- nata torrida in una Lisbona deserta, do- ve i vivi e i fantasmi si incrociano, si af- fiancano e parlano tra loro. Un vero ca- polavoro, sorretto da una fragile grazia. Un racconto catartico, scritto in porto- ghese, che sembra liberare l'autore da un periodo molto buio a cui dà forma lette- raria in Vangelo nero. Nel 1994 l'Italia cade improvvisamen- te nelle mani di Berlusconi, di cui Ta- li. Comment è scrittore e traduttore bucchi capisce immediatamente il peri- coloso potere. Vi risponde da cittadino, pagando il prezzo della sua lucidità e trovandosi a volte stranamente solo nel- la sua battaglia contro il tiranno mediati- co-politico. Perché non è un oppositore da salotto, uno di quegli intellettuali mondani che conoscono il limite oltre il quale non è opportuno spingersi. Tabuc- chi non è prudente. Ma risponderà in- nanzitutto da scrittore, attraverso un ro- manzo potente e metaforico, Sostiene Pe- reira che si svolge a Lisbona, nel 1939, sotto la dittatura di Salazar, ma funziona anche per l'Italia alla deriva. Arriva, nel 2004, l'altro capolavoro, Tri- stano muore, libro cupo, crepuscolare, forse premonitore. Un vecchio scrittore chiama al suo letto di morte un giovane ambi- zioso, che ha dedicato uno studio alla sua opera. Lo farà entrare, nel corso dei loro colloqui, nel tur- bine di una vita mai sem- plice come vorrebbero i biografi o i critici. Una vi- ta fatta di atti eroici che sono allo stesso tempo tradimenti, di grandezze che sono anche debolez- ze. Le contraddizioni so- no conservate in tutta la loro forza e la loro tensio- ne. Bisogna leggere o ri- leggere Tristano muore come un testamento. Nell'ultimo libro pub- blicato in Francia, Il tem- po invecchia in fretta, Ta- bucchi torna alla forma del racconto, in una pro- fonda meditazione sul tempo e sulla storia, sulla vita e le tracce che lascia, sugli individui messi a confronto con i clamori della storia, o ancora sulle manipolazioni della memoria. Grazie a tutti questi libri, Antonio Tabucchi è uno dei grandi scrittori contemporanei. Ma è stato anche un amico meraviglioso, atten- to, generoso, complice, divertente, mai scontato. Con lui, ci si sentiva più forti, più intelligenti. Ci si sentiva protetti (dal- la stupidità, dalla mediocrità). Ed è stato, sopra ogni altra cosa, un uomo coraggio- so. Molto coraggioso. Conosceva troppo bene la natura reale delle tirannie, fasci- ste e non, per non attribuire il valore più alto alla democrazia, agli equilibri istitu- zionali, al rispetto del simbolico. Ha pro- testato a gran voce contro le tendenze at- nidemocratiche che hanno macchiato l'Europa in questi ultimi vent'anni. Ha denunciato le violenze e gli scandali. Sì, ha gridato forte. Troppo forte per le orecchie di qualcuno. Su molti punti ha avuto la sensazione di non essere capito. O di esserlo troppo tardi. Vale la pena di rileggere oggi Loca al passo. Sfortunata- mente la diagnosi non fa una grinza. Co- me del resto non fanno una grinza i suoi interventi a favore dei rom. Antonio Ta- bucchi è morto. E una perdita enorme. Ma i suoi libri restano e resteranno anco- ra per molto tempo. E ci permettono di vedere meglio il mondo. ■ (Tratto da "Libération" del 26 marzo 2012 traduzione dal francese di Elide La Rosa)