Il meticciato come strategia di David Bidussa Francesco Germinario ARGOMENTI PERLO STERMINIO L'antisemitismo e i suoi stereotipi nella cultura europea contemporanea (1850-1920) pp. XXVI -396, €32, Einaudi, Torino 2011 Venerdì 10 giugno 2011 il quotidiano "Libero" ha pubblicato il testo di una lettera dello scrittore Louis Férdinand Celine in cui l'odio razzista, in particolare antisemita, emerge con chiarezza. Che cosa c'è di nuovo in quella lettera tale da giustificarne la pubblicazione? Niente che non sapessimo già. Niente che non sia stato descritto con dovizia di particolari da Francesco Germinario nel suo libro Celine. Letteratura, politica e antisemitismo (Utet, 2010). 11 problema di saperne di più non viene dunque risolto da quella lettera. Per saperne di più, infatti, occorre comprendere come si formi un linguaggio. Le convinzioni, la rabbia e l'intransigenza di Céline in quella lettera non erano figlie di una follia solitaria. Furono il risultato di un processo iniziato prima, che ha una storia dietro le spalle. L'antisemitismo sterminazionistico, a differenza tanto del razzismo generico come dell'antigiudaismo classico, cresce nella seconda metà dell'Ottocento, convinto che per risolvere il timore del complotto ebraico, e dell'invasione che me-ticcerà l'Europa, non ci sia che una soluzione: l'eliminazione fisica degli ebrei. Quello che i nostri nonni hanno visto, a cui alcuni di loro hanno partecipato, altri assistito senza produrre reazione alcuna, altri tentato di contrastare, non è nato improvvisamente in un'Europa che aveva smarrito la ragione. Era nato con i loro nonni e i loro bisnonni. Tutti temi che stanno al centro di Argomenti per lo sterminio che costituisce il testo complementare a Costruire la razza nemica (Utet, 2010) con cui Germinario ha avviato l'indagine sulla formazione culturale e politica dell'antisemitismo contemporaneo. La tesi centrale di Argomenti per lo sterminio è la non coincidenza di razzismo e di antisemitismo contemporaneo. Per entrambi, sostiene Germinario, il tema è l'ossessione del meticciato e il timore della decadenza come conseguenza di una società ibrida. Ma quel fenomeno di mescolamento è letto dal razzista e dall'antisemita in forma diversa: mentre per il razzista "il meticciato determina la fatale mescolanza delle razze e la loro degenerazione, che mette in pericolo l'esistenza stessa della civiltà medesima, nell'immaginario antisemita l'incrocio provoca un Aufhebung [un annulla- mento] a tutto vantaggio dell'e-braicità (...) l'ebreo incrociandosi non si nega, ma radica l'e-braicità in chi ebreo non è. (...) Il che significa che per l'antisemitismo il meticciato è solo apparente, essendo una strategia per l'ebraizzazione dell'umanità". E da ciò discende il nocciolo duro di quella che poi diverrà nel corso degli anni venti e trenta del Novecento la convinzione del nuovo antisemitismo: la necessità non tanto di contenere gli ebrei, o di segregarli, ricreando le condizioni del ghetto, ma quella di eliminarli. Un approccio che non è solo gerarchico o biologico, ma anche culturalista. Germinario non affronta lo sterminio fisico, perché, come precisa nell'introduzione, lo sterminio non è il risultato di una cultura della soppressione del nemico che si definisce nel momento stesso in cui lo sterminio avviene. Alla rovescia, lo sterminio avviene, in un sistema totalitario, perché le categorie culturali, i valori sui quali si legittima, sono già costruiti nelle società politiche liberali che precedono il totalitarismo. Avviene cioè nella lunga stagione che attraversa la seconda metà dell'Ottocento e i primi due decenni del Novecento. E Germinario concentra la propria attenzione su quella stagione perché è lì che si crea la fabbrica mentale e culturale che prepara lo sterminio. Un processo che è caratterizzato dalla metamorfosi culturale dell'antisemitismo e che procede da un codice a carattere prevalentemente religioso a uno che invece che si alimenta di motivi antropologici, scientifici, economici, in cui un ruolo non indifferente ha la visione "medicalizzata" della società e, soprattutto, la psichiatria, la quale contribuisce in maniera decisiva a definire linguaggio, procedure, terapie. Una pista di indagine, quella proposta da Germinario, che contrae un forte debito con Michel Foucault. Nel passaggio tra Ottocento e Novecento la traccia del sangue, di un razzismo scientista, cede il primato (il che non vuol dire che scompaia) agli indizi propri dell'equilibrio mentale: la nevrosi, i tic nervosi, l'isteria, divengono i tratti della devianza pericolosa e soprattutto le tracce dell'ebraiz-zazione della società da cui occorre allontanarsi. In questo passaggio si danno appuntamento molte figure, anche con intenti diversi e con impianti culturali diversi: psichiatri, economisti, pubblicisti, agitatori sociali. La parola d'ordine diviene l'annullamento del percorso inaugurato dalle società liberali. Il cammino verso le pratiche di sterminio come terapie di liberazione si inaugura allora. ■ bidussa@tiscali.it D. Bidussa è direttore della Biblioteca della Fondazione Feltrinelli a Milano Giocavo a tennis con la figlia di Mussolini di Gianpasquale Santomassimo Luciana Castellina LA SCOPERTA DEL MONDO introd. di Lucrezia Reichlin, pp. 296, € 16,50, nottetempo, Roma 2011 Non è un diario, e neppure un libro di memorie, ma un testo che felicemente mescola assieme brani di diario e ricordi che integrano la memoria senza sovrapporsi a essa. Subito il lettore si rende conto della novità: non siamo di fronte all'ennesimo ex dirigente del Pei che si fustiga in retrospettiva, né ci racconta cosa pensa oggi del lontano passato, ma che cerca invece di ricostruire fedelmente quel che allora pensava e sentiva: che è quello che ogni testimone onesto dovrebbe fare perché la sua memoria abbia un senso. Di famiglia borghese molto complicata nelle relazioni e nella geografia, tra Roma, Venezia e Trieste, Castellina scopre il mondo adulto a Riccione, il 25 luglio 1943, quando la partita di tennis con la figlia di Mussolini, sua compagna di scuola, viene improvvisamente interrotta dagli agenti e si diffonde la notizia delle dimissioni del duce. Da allora, a quattordici anni, Castellina registra con curiosità e innocenza tutto quello che accade intorno a lei e che sente avvenire nel mondo: la politica, la filosofia, la letteratura, e soprattutto l'arte, che è la sua prima grande passione. Il cammino verso il Partito comunista si rivela, in questa come in molte altre memorie, un percorso lontanissimo dall'ideologia e dal dottrinarismo, approdo lento ma quasi obbligato per seguire fino in fondo la tensione alla scoperta di tutto quello che di nuovo si agitava in una Italia imprevista e mai immaginata, in un mondo nuovo e inesplorato. Una personalità giovane che sbocciava, assieme alla giovinezza del mondo. I viaggi in Europa ai congressi dell'Unione internazionale degli studenti, e da Praga, nel 1947, verso la Jugoslavia di Tito, con una variopinta compagnia di giovani di tutte le nazioni per costruire la "Ferrovia della Gioventù" da Samac a Sarajevo, sono il preludio all'iscrizione vera e propria al Partito comunista e all'impegno nel partito romano, che la vedrà impegnata soprattutto nelle periferie e nelle borgate, molto lontana dal mondo in cui era vissuta, e lontana anche dall'immaginario costruito attorno a quel partito, allora e ancor più a posteriori. "Infatti il partito del Nord a noi non piaceva, perché ci appariva rigido, musone, tutto operaio. Da noi c'era invece questa umanità variopinta e allegra, anche qui disciplinata, ma in un modo che dava spazio alla stravaganza". Verso quel partito, da cui pure venne radiata, conserva un atteggiamento di gratitudine: "A me, innanzitutto, il Pei ha evitato di restare stupida, come sarei stata se non fossi uscita dal mio ghetto di provenienza, se non avessi avuto la possibilità di condividere con i miei compagni 'diversi' la passione più bella: quella di cercare di cambiare il mondo". Diario e ricordi si arrestano alla soglia degli anni cinquanta, al termine di un percorso iniziale ormai compiuto, e sempre vissuto con l'atteggiamento descritto in un appunto del 15 aprile 1946: "Sono felice di vivere, di discutere, della natura, di scoprire le particolarità del mio animo e di quello degli altri, di vedere il mondo, di esprimere quello che provo, di dipingere. Sono felice di tutto. Il mondo è mio e lo voglio tutto". Novatores e reazione di Federico Trocini IL MODERNISMO IN ITALIA E IN GERMANIA NEL CONTESTO EUROPEO a cura di Michele Nicoletti e Otto Weiss pp. 498, €33, il Mulino, Bologna 2011 Facendo rientrare nella controversa categoria di modernismo un insieme estremamente vario di tendenze accomunate tra loro solo in virtù di una presunta frenesia di rinnovamento, nel 1907, con la pubblicazione del decreto Lamentabili sane exi-tu prima e dell'enciclica Eascendi dominici gregis poi, Pio X condannò come eresia ogni tentativo di conciliazione tra l'annuncio evangelico e il mondo moderno e, insieme, ogni sforzo teso a trasformare il cattolicesimo romano in una sorta di cristianesimo liberale. Tra le pagine di questo denso volume, che trae spunto da un convegno svoltosi a Trento, sono quindi ricostruite non solo alcune porzioni decisive della cosiddetta crisi modernista, ma anche alcuni segmenti di quel particolare clima culturale che, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, registrò l'emergere all'interno della chiesa cattolica di un complesso insieme di istanze di rinnovamento, nel cui ambito rientrarono sia l'appel- lo per la libertà di coscienza sia la critica verso ogni dogmatismo. Inizialmente avviatasi in quanto condanna delle posizioni dottrinali espresse dell'esegeta francese Alfred Loisy (1857-1940), la polemica, che scosse le fondamenta del cattolicesimo romano per oltre un decennio, finendo per condizionarne la storia almeno sino alla metà degli anni sessanta, fu presto estesa a tutti coloro che, a torto o ragione, furono accusati di farsi portavoce di posizioni in qualche misura vicine all'agnosticismo, all'immanentismo e all'evoluzionismo. Al minaccioso incalzare della modernità plurale (espressione non solo dei valori della borghesia liberale europea, ma anche dei paradigmi del "nuovo romanticismo" incarnato, ad esempio, dalla Lebensre-formbewegung tedesca), modernità che al possesso di un'unica verità immutabile contrapponeva un'inquieta ricerca della verità e una nuova sensibilità religiosa, fortemente segnata dall'incertezza, la chiesa reagì scatenando una vera e propria controffensiva generale. Il maggior merito dei contributi qui raccolti consiste però non solo nell'aver ripercorso i termini fondamentali di tale con- troffensiva, o nell'aver offerto un'ampia panoramica dei diversi contesti geografici, culturali e dottrinali entro cui si sviluppò lo scontro tra modernismo e antimodernismo o nell'aver ricostruito i complessi profili biogra-fico-intellettuali di alcuni dei principali novatores - si pensi ad Ambroise Gardeil (1859-1931), George Tyrrel (1861-1909) e, tra gli italiani, a Ernesto Bonaiuti (1881-1946) e Romolo Murri (1870-1940) -, ma soprattutto nell'aver messo in luce come tale scontro necessiti di essere letto alla luce di quella crisi du fin de siècle, nel quadro della quale paradigmi apparentemente inconciliabili tra loro furono talora destinati anche a fondersi gli uni negli altri. Particolarmente efficaci, in tal senso, sono le analisi di Carlo Fantappié, che, esaminando il Codex Juris Canonici del 1917, ha dimostrato che il netto rifiuto da parte cattolica del modernismo teologico non si accompagnò al rifiuto della modernità tout court: sul piano del diritto ecclesiastico, per esempio, la modernità statuale, cioè la razionalizzazione della struttura di potere della chiesa, fu altresì assunta come valido strumento in funzione di un controprogetto riformatore. ■ federico.trocinigtin.it F. Trocini è dottore di ricerca di studi politici europei ed euroamericani all'Università di Torino