1 x 00 i "/ ss t*" Zì* i (i 1 L V/Ar1 'v? Indifferenza e aperto fastidio per la musica contemporanea T <- 1 * . t- Dolori e sperarle dell'avanguardia di Elisabetta Fava Uno dei problemi più spinosi della musica con- temporanea è il suo distacco dal pubblico, ma- turato poco per volta, ma cresciuto poi fino a scava- re un solco preoccupante; quando Schòenberg, non- ostante la radicalità delle sue svolte, si considerava ancora erede della tradizione di Beethoven e di Brahms, non sapeva che invece proprio a lui sarebbe toccata la sorte di patire per primo le conseguenze di un radicale cambio nelle abitudini di ascolto: quel ca- polavoro di forma e di coerenza che sono le Variazio- ni op.31 restano una rarità, e nel repertorio sono en- trati sì i brani giovanili di Schòenberg, ma quasi per nulla quelli atonali e dodecafonici: con eccezione del Sopravvissuto di Varsavia, dove il potere coinvolgente della voce narrante e la commozione prodotta dal coro finale catturano lo spettatore e compensano le sprezzature uditive. Quel che si cominciò a intuire col caso Schòenberg divenne ben chiaro e inoppugnabile con l'avanguardia degli an- ni Settanta: la spaccatura ri- spetto alla tradizione prece- dente era ben più forte del previsto e dovuta non sol- tanto a ragioni tecniche, ma a una crisi spirituale che produceva il divorzio fra compositore e pubblico in modo più radicale di quan- to sia mai avvenuto nelle al- tre arti: nel caso della musi- ca si è davvero rotto qualco- sa e il pubblico si è rifugia- to nel grande repertorio del passato, manifestando in- differenza o aperto fastidio nei confronti delle produ- zioni di musica contempo- delie loro numerose e regolari committenze); a Bre- ma la compresenza di orchestra, università, alta scuola di musica incentiva un vero e proprio ap- prendistato nell'avanguardia e fa crescere così nuo- ve generazioni che praticano e comprendono questo aspetto della civiltà musicale. Un caso importante è quello di Malmò, in Svezia, dove l'Accademia di Musica promuove regolari workshop in cui compo- sitori ed esecutori lavorano fianco a fianco, così co- me nella vicina Vàxiò, dove si può provare per una settimana con l'orchestra Musica Vitae; a Lisbona arte e musica si incontrano nelle stagioni dense e ar- ticolate promosse dalla Fondazione Gulbenkian. ranea. L'avanguardia degli anni Settanta si compiaceva, di questo ripudio, e prendeva di mira il pubblico con ve- re aggressioni uditive; che l'aria oggi sia molto cam- biata si nota anche dalla tendenza attuale, invece, al sussurro se non al silenzio, alla pausa, all'ellissi; ma non è cambiata l'abolizione della sintassi musicale, e questo continua a fare della musica contemporanea un fenomeno nuovo, che ha abbandonato la coerenza linguistica e smontato l'i- dea stessa che la musica sia un linguaggio formalizzato; senza smettere tuttavia di cercare un uditorio, un dia- logo, un canale di comuni- cazione per farsi capire. E anche vero che nel nostro iter scolastico la musica si insegna troppo poco, e spesso molto male: sicché quando si può far qualcosa, non resta che precipi- tarsi a colmare vistose lacune storiche, tralasciando forzatamente un'introduzione alla modernità. Quel che la scuola è impotente a fare, tenta di farlo la vita musicale nelle sue varie dimensioni di concertismo, promozione dei talenti, laboratori di formazione. Certo, fuori dall'Italia le occasioni sono più numero- se: basti pensare al mondo di corsi, laboratori, workshop che ruota intorno a Parigi, Monaco di Ba- viera, Berlino, Darmstadt, per dirne solo alcune: ci sono orchestre che prevedono collaborazioni regola- ri con compositori attuali (citiamo le orchestre ra- diofoniche tedesche, tutte attente ai giovani e fiere Uno Stato per amico Tarcisio Tarquini, conservatorio. ieri, oggi, domani, pp. 232, € 10, Ediesse, Roma 2012 Tarcisio Tarquini, Presidente del Conservatorio di Frosinone, ha scritto un libro pieno di passio- ne, usando il cannocchiale di un piccolo osserva- torio (i Conservatori italiani sono soltanto 58) e la minutissima conoscenza di queste istituzioni, avendo avuto modo di vedersi sfilare davanti ge- nerazioni di studenti di tutto il mondo, messi a confronto nell'ambito di una formazione di nic- chia: quelli che infatti studiano la musica, in Italia, sono davvero pochi. Accade spesso che l'appren- dimento della musica sia tanto caro quanto indi- spensabile a chi lo in- traprende: tutti quelli che si dedicano a que- sto studio (strumento, canto o armonia), non- ostante la fatica di un percorso lungo e terri- bilmente difficile, si sentono in qualche mi- sura dei privilegiati e ne fanno una ragione di vi- ta. Tarquini ci dice che sono stati fortunati i ra- gazzini che per essere "conservati" (siamo in pieno Cinquecento) in una società che li avreb- be buttati via, vennero chiusi in un luogo, qua- si una sorta di prigione, dove la loro condanna era lo studio rigoroso della musica e di uno strumento - dal lunedì al sabato, tutti i mesi dell'anno per otto-dieci ore al giorno - e che grazie a questa disciplina hanno ottenuto un posto nella vita, il senso di appartenenza a un gruppo sociale, forse anche qualche soldo per il loro so- stentamento, una volta entrati nella professione a servizio di eventi pubblici e privati, ricorrenze re- ligiose e civili. Sono fortunati i ragazzi che grazie al Conservatorio possono far esperienza diretta con la "presenza contemporanea di antico e mo- dernissimo perché qui s'incontra la musica allo stato più naturale ma anche il suono prodotto dai computer": una promiscuità che aiuta il mondo a migliorarsi. In più di un Conservatorio i direttori Brough to Heel, "New Yorker" settembre 2004 illuminati non si sono limitati a preservare e dare valore alla musica antica o del passato ma hanno capito che anche il linguaggio musicale contem- poraneo (a partire dal jazz che ormai di contem- poraneo ha ben poco) è utile, se non al mercato che non lo desidera affatto, almeno allo sviluppo della creatività, fantasia, conoscenza. Ma ci dice anche, in modo più o meno diretto, che tutti quelli, docenti e studenti, che si aspetta- no, entrando in Conservatorio, di poter abitare un luogo atto a far parlare la musica in quanto parte fondante della nostra cultura, rimangono spesso delusi. Perché lo stato in cui i Conservatori si tro- vano, nel mezzo di una riforma ricca d'indecisioni diseducative, mette quei privilegiati nella condizione di vivere in un paese dove cultura e musica non sono tenute in seria considerazione. Qui in Italia, la musica non conta davvero niente (come il teatro, la scienza, l'arte) non- ostante gli accorati ap- pelli di grandi persona- lità che urlano il pro- prio sconforto, quando assistono allo spreco di un patrimonio immen- so. La più grande azien- da mondiale a cielo aperto sa produrre sol- tanto sterilità. E in que- sta sterilità i nostri Conservatori cercano di resistere difendendo il loro piccolo spazio di nicchia, scovando stra- de vecchie e nuove per riempire di significato il percorso di chi sceglie la musica con velleità pro- fessionali e allo stesso tempo per riempire il vuoto formativo di una scuola che non ha mai sentito il dovere d'inserire l'insegnamento della musica co- me disciplina fondamentale alla crescita di un in- dividuo. Il tutto cercando di far fronte a una serie infinita di ostacoli burocratici che si presentano con fattezze dolci, ma che costringono a vivere in un luogo che "ingabbia la nostra vitalità, la nostra voglia di fare, i nostri propositi migliori". Uno Stato per amico. Lorenza Codignola Santa Cecilia, i corsi della Chigiana. In linea di mas- sima, però, il discorso si colloca nella dimensione del- l'istituzione musicale consolidata; mentre sarebbe bello che qualche volta l'iniziativa sorgesse libera- mente, affrancata dall'aspetto della scuola, della com- petizione, dello specialismo. Questo senso di medita- ta ricerca e di creatività collettiva, che si può indivi- duare anche nell'ormai storico Cantiere di Monte- pulciano voluto da Henze, è alla base di una manife- stazione che si tiene presso la Fondazione Spinola- Banna, nata per sostenere l'arte visiva contempora- nea, ma dal 2006 aperta anche alla musica. Ogni an- no si individua un compositore di fama internaziona- le (con regolare alternanza di italiani e stranieri, si so- no già susseguiti Fabio Vacchi, Luis De Pablo, Lu- ca Francesconi, Toshio Ho- sokawa, Ivan Fedele, Hu- gues Dufourt), a cui si chie- de di segnalare due allievi meritevoli di attenzione e al tempo stesso di proporre un organico strumentale, anche questo diverso ogni anno, per il quale commis- sionare ai due giovani un lavoro apposito. La scelta dell'organico, cui corri- sponde la ricerca degli ese- cutori, nasce anche in rap- porto a una composizione del maestro-mentore, che viene presentata a fianco di quelle dei due allievi, e di un brano 'classico', for- mando così un programma che possa attrarre anche il pubblico consueto delle stagioni di concerti. Su questo punto ci sono sem- pre state due diverse scuole di pensiero: presentare la musica moderna da sola, con il vantaggio di concepi- re programmi linguistica- mente coerenti e di attrarre un pubblico particolar- mente interessato e prepa- rato; oppure inserire le no- vità dentro il repertorio abituale, cercando di farle recepire a piccoli passi an- che al pubblico non previa- mente orientato. Il rischio del programma 'ibrido' è soprattutto che durante le prove il brano d'avanguar- dia venga sacrificato a van- taggio dei brani già noti al pubblico; ma in questo ca- so non si corre pericolo, perché il progetto culmina in una settimana di studio presso la Fondazione, dove il maestro di riferimento, gli allievi e gli esecutori si trovano per studiare e pro- vare insieme, in un clima di In Italia resistono con tenacia alcune esperienze prestigiose, come la Biennale Musica di Venezia, il festival di Milano Musica, che intreccia concerti e conferenze, Rai Nuova Musica a Torino, un mese di avanguardia ritagliato dentro la stagione normale. Da ricordare il caso del Divertimento Ensemble, che promuove lavori nuovi, inscrivendoli dentro un qua- dro di tavole rotonde, corsi di specializzazione e con- corsi. Non si fa più invece già da qualche anno il la- boratorio EARlab di Stresa, che si avvaleva di presti- giose collaborazioni con ensemble come il BIT20 e dava ai giovani la possibilità di provare e sperimenta- re con loro; ma restano le Accademie di Pescara e di serenità e concentrazione. Sentendosi assicurata l'esecuzione e liberi dal proble- ma del successo, i giovani esecutori si sono espressi fi- nora nella sperimentazione più radicale, estrema, mostrandosi bene agguerriti in tutte le novità dell'a- vanguardia. Quindi la musica nuova c'è, cresce, atti- ra un pubblico non necessariamente di adepti e invi- ta a tornare, magari con dubbi, preferenze, idiosin- crasie, ma con il gusto di saperne di più e con la li- bertà mentale di dar spazio a opere nuove, a giovani che crescono e collaudano. ■ lisbeth71@yahoo.it E. Fava insegna storia e critica della musica all'Università di Torino