[INDICE 4 dei libri del mese ■■ VILLAGGIO GLOBALE da BUENOS AIRES Francesca Ambrogetti Di libri su Evita ne sono stati scritti tanti, ma il più recente, pubblicato in Argentina in occasione del sessantesimo anniversario della morte della mitica moglie di Perón, è stato ac- colto con particolare interesse. L'autore, Feli- pe Pigna, è un noto storico che ha approfon- dito uno degli aspetti più appassionanti del personaggio: quello dell'impegno politico. Il libro Evita. Jirones de su vida, è comunque un ritratto completo della donna che ancora og- gi è la più amata e la più odiata dagli argenti- ni. L'autore riproduce testi, testimonianze e documenti per fare luce sulla vita della "por- tabandiera degli umili", come Eva Perón amava farsi chiamare. "La storia non è stata molto giusta con Evita - sostiene Pigna - per- ché l'ha presentata sempre come un'appendi- ce di Perón, mentre ha avuto un ruolo molto più importante e in alcuni periodi il suo pote- re era paragonabile a quello del marito". Nel libro la voce del personaggio è spesso presen- te attraverso lettere, stralci di discorsi e altri testi. L'autore non sfugge alla tentazione di paragonare la protagonista del suo saggio al- l'attuale presidente Cristina Kirchner: vite e circostanze diverse, ma un comune impegno con il movimento politico creato da Perón. "Per Cristina, come per qualsiasi donna pe- ronista - afferma l'autore - Evita è un punto di riferimento ineludibile". Al raffronto tra le due, appena accennato nel libro di Pigna, la giornalista Araceli Bellotta dedica un intero saggio dal titolo Eva y Cristina. La razón de sus vidas. Somiglianze e differenze vengono accuratamente analizzate. Tra le prime l'abilità come oratrici, la passione politica, l'assoluta femmini- lità e il segno della tragedia: nel caso di Evita la malattia e la morte prema- tura; l'improvvisa scomparsa del ma- rito per Cristina, che due anni dopo porta ancora il lutto per il compagno. Oltre a queste due novità editoriali, il quotidiano "Clarìn" ha pubblicato un supplemento speciale dal titolo Las mil caras de Evita con foto em- blematiche e molto note e altre inedi- te e un testo con approcci al perso- naggio da diverse angolature. da NEW DELHI Silvia Annavini L'India nelle librerie italiane si ma- terializza in una miriade di copertine colorate che cercano di attrarre il let- tore attraverso un immaginario laten- temente ma potentemente condizio- nato da un'iconografia che tende a un appiattimento del concetto di "orien- talità". L'India diventa, quindi, sem- plicemente D'Oriente", una geografia vaga e un'indistinta identità "altra". In realtà, tona geografia dettagliata della letteratura indiana riuscirebbe a fornirci un supporto ermeneutico fondamentale a comprendere quella "nuova India" millantata nelle quarte di copertina di tutti quei romanzi che sembrano geminare continuamente sugli scaffali delle nostre librerie. Non è un caso, infatti, che il vasto subcon- tinente ci arrivi soprattutto attraverso quel contenitore cronotopico che è Bombay, oggi più famosa con il nome di Mumbai. La vecchia capitale susci- ta ovviamente innumerevoli remini- scenze e fascinazioni di natura lettera- ria, oltre ad aver da tempo iniziato un lento processo di mineralizzazione della propria immagine di capitale economica del paese. Come ha scritto Jeet Thayl in Narcopolis, recentemen- te pubblicato da Neri Pozza, Bombay è "la città che ha cancellato la sua sto- ria cambiando nome e alterando chi- nirgicamente il proprio volto". Ne è un esempio Lo scrivano di Bombay di Anjali Joseph (Bollati Boringhieri, 2012), che affronta il tema attuale quanto scottante del- l'omosessualità nell'ambito di una società an- cora condizionata da una fortissima pressione sociale sulle tematiche di tipo sessuale. Il ro- manzo di Joseph si distingue da una produ- zione più specifica sull'argomento (i romanzi di Raj Rao, ad esempio) presentandosi piutto- sto come un ricamo attorno a una speculazio- ne più profonda sulle chiavi intermittenti che regolano i legami e i rapporti umani in India, anzi, a Bombay, finalmente una Bombay lon- tana dai lustrini con cui da anni viene decora- ta dalla letteratura mondana alla Shobhaa De e dalle lacrimose rappresentazioni macchietti- stiche degli slum. Il titolo originale, Saraswati Park, era certamente più atto a collocare l'a- zione del romanzo all'interno di un tessuto ur- banistico e sociale medio in cui vengono scan- dagliate le routine di un lungo matrimonio combinato, il fiorire delle prime esperienze di un giovane omosessuale mentre sullo sfondo della metropoli si ramificano le problematiche e i cortocircuiti di classe, casta e sessualità che, come ha spiegato John D'Emilio in un suo ar- ticolo dal titolo Capitalism and Gay Identity, provengono da pulsioni direttamente gestite dai nuovi mercati. Probabilmente, la traduzio- ne non rende merito al romanzo di Joseph, che ha il pregio di presentare una notevole fruibilità sull'argomento, ma che spesso disse- mina la scrittura di un'attenzione ossessiva al dettaglio descrittivo decentrando l'attenzione dal tema principale. Quest'ultimo sembra in- fatti perdere incisività e forse avrebbe merita- to un impatto più nitido, soprattutto staglian- dosi sullo scenario di una città che rappresen- ta il centro propulsore del riassestamento di nuove gerarchie ed egemonie sociali oltre che economiche. da LONDRA Florian Mussgnug Negli ultimi anni abbiamo assistito a un'on- data di rinnovato interesse per la religione e il potere della religione nella sfera pubblica. Se- condo alcuni illustri pensatori laici, questa "svolta religiosa" è stata soprattutto una ne- cessità politica. Definire postmetafisica la no- stra epoca appare inappropriato dinanzi a una realtà dominata dalla guerra religiosa. Ma co- me risponde la filosofia davanti a una siffatta realtà? Per uno dei pensatori viventi più inte- ressanti, Simon Critchley, non basta né il se- colarismo tradizionale né un ritorno al teismo premodemo. Piuttosto, propone Critchley, dobbiamo riconsiderare la nozione stessa di fede e la sua profonda im- portanza per ogni atto di autorealiz- zazione. Né la religione, né la morali- tà, né la ragione, scrive il filosofo in- glese, possono esistere senza l'espe- rienza della fidelitas (l'essere leali a una qualsivoglia credenza), e questo accomuna agnostici, atei e credenti. L'ultimo, importante libro di Critch- ley esplora la condizione apparente- mente contraddittoria descritta nel ti- tolo: The Faith ofthe Faithless (Verso, 2012). L'autore parte dall'assunto, già discusso in lavori precedenti, che la filosofia trae origine dalla delusione religiosa. Questo, tuttavia, è solo lo sfondo della sua ultima, attualissima indagine. Qui Critchley ritoma a san Paolo, Agostino, Rousseau, Kierke- gaard, Heidegger e Lévinas, e defini- sce la fede, nell'assenza di dogmi o certezze metafisiche, come la nostra risposta a un'incolmabile esigenza d'amore, senza garanzie né sicurezze. La fede, dunque, è particolarmente importante per coloro che non sono sostenuti dalla chiesa o da altre istitu- zioni; coloro che "non sanno crede- re" (Oscar Wìlde), ma che aspirano a rivendicare dalle spoglie della religio- ne l'autorità morale e il radicalismo politico. Come suggerisce Critchley, con forza e poeticità, la fede è la for- za che tiene uniti gli esseri umani: of- fre un mezzo potente per formulare domande sul significato e il valore della vita umana in modi che non so- no riducibili al naturalismo. In cosa consiste dunque l'esperienza della "fede dei senza fede"? Per Critchley, è una chiamata a cui non si può rima- nere sordi, ma che impone un impe- gno nel mondo. È la credenza in un amore più forte della morte. Tale fe- de, ci ricorda Critchley, può essere proclamata senza le apparenti garan- zie del battesimo, del dogma o della pratica religiosa, né, al limite, la cer- tezza che la virtù sarà prima o poi premiata. La fede dei senza fede, dunque, non è l'opposto del senti- mento religioso, ma la sua essenza. E forse tale esperienza - ardua e priva di ogni protezione - è quella che più si avvicina alla natura della fede pro- clamata da Cristo? Appunti di Federico Novaro Prima dell'estate i banconi delle librerie di catena davano l'im- pressione che una mareggiata co- stante vi avesse gettato senza sosta dei detriti, resi indistinguibili gli uni dagli altri dal lavorio delle cor- renti. La coincidenza dell'arrivo dei reader e della crisi economica ha avuto sulle case editrici, soprat- tutto le grandi, effetti defatiganti. Proprio la nascita delle librerie di catena come le conosciamo ora, tasselli di una filiera di cui ogni ganglio risponde allo stesso pro- prietario, meno di una manciata di anni fa, anni già lontanissimi, sem- bravano il modello per sempre vin- cente, e tutte le energie economi- che e societarie delle proprietà era- no tese a occupare e presidiare ogni spazio possibile: prima il con- trollo, si diceva, poi avremo i pro- dotti, l'efficienza. Questo ha com- portato però una sostituzione forte del proprio panel di clienti. L'effi- cienza produttiva e distributiva mal si coniuga con il profilo vaga- mente maniacale di chi consuma li- bri oltre una certa soglia, di più con chi ne consuma forse meno, ma rispondendo a un profilo più semplice, basato su risposte e atte- se meno mediate. Era una tenden- za consolidata e sperimentata e no- ta (Nora Ephron, morta quest'an- no all'inizio dell'estate, l'aveva già resa racconto con C'è posta per te- You've Got Mail nel 1998) e, come sempre capita alle idee apparente- mente vincenti, sembrava l'unico modello possibile. Intrecciato al consolidarsi del modello, il dibatti- to - molto più vecchio - sull'essere o meno i libri prodotti come gli al- tri ("Le case editrici sono imprese come le altre, soggette soltanto al nero dei bilanci" si diceva da un la- to, "I libri sono mica detersivi", si rispondeva); ora, non solo, più o meno, si sa che i comi del proble- ma erano mal posti, ma l'oggetto del contendere, in un attimo, si è dissolto. Li si chiamava libri, ma l'avvento dei reader, e soprattutto dei tablet, con la loro possibilità di essere uno e infinito, privato e pubblico nel medesimo istante, ha chiarito che in realtà si parlava di entertainment, che, ancora, stava dentro degli oggetti chiamati libri. E le storie (lo storytelling, coeren- temente venuto di moda come re- torica intesa in modo egemonico nello stesso lasso di tempo) si rac- contano intomo al fuoco, sono puntellate di sospensioni e com- menti, si arricchiscono e modifica- no a ogni ripresa, accadono social- mente, come succedeva, si immagi- na, laddove i libri non c'erano, pri- ma dei libri, attorno ai libri. Non servono i libri per questo, e ora, dopo tanto tempo, c'è di nuovo la possibilità che ì'entertainment sia più compiutamente collettivo. Il pubblico vuole gridare la sua av- versione a un personaggio, salvar- ne un altro, raccontare lui. Perciò, sta per andarsene altrove. Non che le grandi case non si stiano attrezzando a comprare il fuoco, le pietre sulle quali sedersi, e le toffolette, e soprattutto il bi- glietto d'ingresso, ma faticano. La grande novità dell'estate è che da Feltrinelli si può comprare, e con- sumare, alimenti. La comunicazio- ne che è stata fatta intomo al nuo- vo marchio, RED, ha avuto tratti lirici, e profondamente rivelatori; meriterebbe citare interamente il lungo e antifrastico comunicato stampa, a tratti ima excusatio non petita: "Read, Eat, Dream... Perché il libro resta il centro anche di que- sti nuovi negozi, il motore primo, il cuore identitario, culturale ed eco- nomico dell'impresa. È dai libri e nei libri, qualsiasi forma decidano di assumere, che si elabora, depo- sita, conserva, vi ve l'insieme di idee, storie, pas- sioni, che fanno dell'essere umano un animale culturale. E quindi l'as- sortimento di RED sarà 'parlante', giocato più che mai sulla capacità di proposta, segnalazione, scoper- ta, dei librai Feltrinelli. Andare in libreria sarà un'esperienza, più pia- cevole, più fruttuosa, più ricca, più necessaria". La retorica, consueta per cosi tante generazioni, della lettura come silente via per la co- noscenza, strumento di compren- sione del mondo, come fatica, si è spenta; lo studio dei testi, parte im- portante del consumo librario, è sopravanzato dall'esperienza emo- zionale. D'altra parte si può osser- vare che se chi legge è schiacciato sul suo molo di consumatore, bi- sogna che questo consumi sempre più, pena l'implosione del sistema. Come conciliare questo con una pratica che richiede tempo, molto tempo, cura, impegno, fru- strazione? Per i grandi marchi editoriali sembra esserci una sola strada: cercare il profitto altrove. Sostituire alla merce l'uso della merce e riuscire a mettere a reddi- to il lavoro dei clienti. Per chi sia ancora legato alle vecchie retori- che: lo spazio, infinito, del com- mercio e consumo dell'usato. Per i piccoli marchi: un modo nuovo e da inventare di prossimità fra chi produce, chi edita, chi legge. La crisi spunta gli strumenti in mano ai grandi editori, che sbuffando come vecchi diesel per ora danno una mano di vernice alle vecchie carrozzerie, ma presto caleranno drasticamente il prezzo dei reader senza i quali è inutile arruolare un esercito che sarebbe disarmato, e consegneremo alla cassa, gaia- mente intrattenuti, la nostra, mai così assediata, solitudine.