La funzione ideologica dello spirito dell'ovest Un giacimento di damerini e pistolere di Valeria Gennero Valeria Gennero Il cow boy tra ideologia e mito Gian Giacomo Migone I privilegi di casta più insidiosi sono quelli meno visibili Mariachiara Giorda Mafiosi e comunicati Valentina Pazè Ferrajoli, i poteri selvaggi e la deriva italiana Giuseppe Berta La lezione di metodo di Tony Judt Andrea Pagliardi L'Eternauta: un fumetto desaparecido Franco Pezzini Ritorno a casa Baskerville Paolo Di Paolo Francesca Sancitale: una scrittura contraria all'enfasi Carlo Lauro Gatti letterari prio coraggio senza essere assoggettato ai vincoli della "civiltà". L'attacco alle torri gemelle aveva fatto riemergere dall'oblio l'epica western. Nei dieci anni trascorsi dall'11 settembre, la figura del giustiziere al di sopra della legge, campione di quella virilità taciturna e ruvida che proprio in John Wayne continua a trovare il capostipite indiscusso, si è proiettata con forza sul modo di motivare e comunicare la missione militare americana in Medio Oriente. Questo ha portato a rivitalizzare modelli di virilità che sembravano ormai obsoleti, come ha dimostrato Susan Faludi nel volume Il sesso del terrore (Isbn, 2008), un'avvincente analisi della nuova popolarità del mito della frontiera e della figura del giustiziere solitario nella cultura americana di questo inizio di secolo. Di quel mondo leggendario, popolato da banditi e mandriani, cacciatori di bisonti e giocatori d'azzardo, troviamo un'ampia ricostruzione nei racconti e nei saggi inclusi in II grande libro del West americano (a cura di William Targ, ed. orig. 1946, trad. dall'inglese di Natascia Pennacchietti e Costanza Rodotà, pp. 336, € 18,50, Cavallo di Ferro, Roma 2011), un'antologia accompagnata unicamente da un sottotitolo esteso (Racconti, cronache, leggende, canzoni e ballate che compongono l'universo immaginario e reale del West americano) e dai nomi delle due brave traduttrici. Il volume non offre invece molte indicazioni in merito alla curatela e sono così necessa- V. Gennero insegna letteratura anglo-americana all'Università di Bergamo Il giorno di Natale del 2001 la Turner Broadcasting System (società del gruppo Time Warner che controlla una decina di network televisivi, tra cui spiccano Cnn, Tnt e Boomerang) decise di occupare l'intero palinsesto trasmettendo i film più famosi di John Wayne. Lo stesso giorno in migliaia di cinema statunitensi le pellicole in programmazione vennero precedute da un cortometraggio, commissionato dall'amministrazione Bush, intitolato Lo spirito dell'America. Un montaggio serrato condensava in pochi minuti l'indole battagliera di cento eroi del grande schermo, che venivano proposti come manifestazione esemplare dello spirito americano più autentico. La prima e l'ultima scena mostravano John Wayne nel ruolo di Ethan Edwards, il protagonista di Sentieri selvaggi, scelto come incarnazione ideale dell'eroe vendicatore, riluttante ma implacabile, che nei territori dell'Ovest ha la possibilità di dimostrare il pro- ri alcuni controlli incrociati per capire che si tratta della traduzione parziale della poderosa antologia The American West, uscita nel 1946 con la cura di William Targ. Non sorprende, visto l'anno di pubblicazione, incontrare in questi racconti (e nelle brevi introduzioni che li accompagnano) la riproposizione acritica di stereotipi ormai datati: cowboy coraggiosi e taciturni, ricostruzioni "divertenti e folcloristiche" della corsa all'oro, storie di fantasmi gentili e di banchieri generosi, fedeli a "un codice morale del West che ben pochi uomini d'affari dell'altra costa sottoscriverebbero" e quindi pronti ad aiutare gli allevatori in diffi- coltà. La lista degli autori propone alcuni dei nomi più noti della letteratura americana dell'Ottocento: da Washington Irving a Mark Twain, passando per Bret Harte e Jack London. Tuttavia, anche quando una lettura più accorta del testo permetterebbe di individuare delle dissonanze rispetto alle interpretazioni tradizionali, la visione edulcorata e convenzionale del West che emerge dall'impostazione editoriale di Targ è esemplare di quella visione etnocentrica e imperialista da cui prendono oggi le distanze gli studiosi il cui sguardo è stato educato dalla decostruzione e dal femminismo a interrogare premesse e omissioni della cultura ufficiale. La raccolta di saggi L'invenzione del ivest(ern) (Fortuna di un genere nella cultura del Novecento, a cura di Stefano Rosso, pp. 189, € 18, Ombre Corte, Verona 2010) è in questo senso esemplare di un altro modo di leggere il genere western, lontano dai toni celebrativi che esaltano il mito romantico dei cow- boy e dei ranger visti come "uomini duri, spiritosi e pittoreschi" che "amavano viaggiare e amavano la libertà". Il volume, curato da Stefano Rosso, studioso che da anni analizza l'interazione tra ideali di giustizia e idealizzazione della violenza nella cultura americana, rivela le zone d'ombra e la funzione ideologica dello "spirito dell'ovest". I saggi inclusi descrivono come — con la fine della seconda guerra mondiale e, in particolare, nei primi decenni della guerra fredda - l'epopea del West abbia svolto un ruolo centrale nell'immaginario statunitense. Non a caso negli anni sessanta, quando le proteste contro l'intervento americano in Vietnam hanno fatto emergere dubbi e dissensi anche sulla legittimità della violenza nei confronti delle popolazioni native negli anni dell'espansione verso Òvest, il western tradizionale, basato sulla prospettiva dei colonizzatori/ civilizzatori bianchi, è entrato in crisi ed è sfociato in una produzione post-western rinnovata nei temi e nelle strutture narrative. Pur spaziando tra letteratura, televisione e storia, tutti i saggi qui inclusi hanno come premessa condivisa la convinzione che il West e la Frontiera siano delle invenzioni storiografiche recenti, necessarie per diffondere una visione trionfale del progresso della civiltà anglosassone e legittimare lo sterminio di quei popoli che, ostinatamente, ne ostacolavano l'espansione. Larry McMurtry, uno dei romanzieri più noti della narrativa post-western e sceneggiatore di film di culto come IL ultimo spettacolo e Brokeback Mountain, è presente nella veste per lui insolita di saggista con uno studio sul modo in cui il West è diventato nel Novecento un "giacimento di cultura popolare". Da quel giacimento gli altri studiosi raccolgono figure preziose come Kit Carson e Davy Crockett, Buffalo Bill e Rin Tin Tin, il personaggio del damerino (dude) e le pistolere (femministe?) di Bad Girls: di tutti ci viene offerta una rilettura che illumina finzioni e funzioni del western, rivelando meccanismi ideologici potenti e una sorprendente capacità di continuare anche oggi a produrre effetti sociali, come bene illustra nel volume il saggio Heinz Ickstadt sulla frontiera come metafora del cambiamento culturale. ■ Valeria.gennerogunibg.it Franco Matticchio, Fuga da Palazzo Reale (2007)