N. 11 k S SO o k So so Ci) o CQ • io tì & OS Ci) O CQ Morgan Perdinka, Malapunta, a cura di Danilo Arona, pp. 354, € 17,50, Edizioni XII, Torre de Busi (Le) 2011 Cominciamo con il dire che l'opera in questione è uno pseudobibliori, cioè uno dei principali romanzi dell'ipotetico scrittore Morgan Perdinka suicida nel 2007 (redizione originale" è del 2003), ma in realtà frutto della fantasia di Danilo Arona, saggista e romanziere tra i padri nobili del fantastico italiano contemporaneo, che qui appare come curatore. Edito dalle giovani e attivissime Edizioni XII, con un bel catalogo attento alla produzione immaginifica e visionaria soprattutto nostrana, e volumi di particolare eleganza grafica, il romanzo compenetra horror e fantascienza in una declinazione originale del tema dell'orrore cosmico. Tutto ruota attorno a Malapunta, isola ipotetica e semideserta tra Corsica e Arcipelago toscano: e dopo una prima parte più tradizionale, sullo straziato autoesilio in loco del vedovo Nico Marcalli e i misteri lì incontrati, la storia assume il ritmo del sogno. A condurre a risultati inattesi è stato in effetti un esperimento di un po' fuori dalle righe, una sorta di trekking di sopravvivenza onirica condotto appunto sincronizzando i sogni lucidi di più persone: e il tutto non farà che accelerare la corsa verso una più ampia crisi planetaria. Specialista in romanzi-saggi, Arona gioca fascinosamente le sue carte mischiando angosce da lutto e druidi, miti del mare e realtà parallele, geografia fantastica e frontiere della neurologia: volti, eventi, cause ed effetti si sovrappongono e trascolorano continuamente in altro, con risultati quasi sperimentali che rappresentano un esempio di particolare interesse delle nuove frontiere del genere. Indubbiamente chi cerca un fantastico più tradizionale resterà spiazzato: ma la colpa o il merito, ammicca sornione il curatore, è di Morgan Perdinka, o delle platee del mondo parallelo che l'hanno acclamato autore di culto. Franco Pezzini Maurizio Ferraris Anima e iPad (Guanda) Pierre Gagnon, Il mio vecchio e io, ed. orig. 2009, trad. dal francese di Tommaso Gurrieri, pp. 85, € 10, Barbès, Firenze 2011 Un uomo, dopo una vita passata come dirigente nella pubblica amministrazione, si ritrova in pensione senza una compagna e senza figli. Unico legame famigliare, una zia che va a trovare regolarmente in una casa di riposo; gli amici sono quasi tutti ex colleghi ancora in servizio. Ed è proprio durante le visite dalla zia che l'uomo, nonché narratore in prima persona, conosce Léo, un arzillo no-vantanovenne anch'egli ospite della casa di riposo. Il legame fra i due si fa ogni giorno più stretto e alla morte della zia l'unica decisione possibile sarà quella di adottare Léo. Pierre Gagnon racconta in questo piccolo libro l'anno di convivenza tra i due uomini, uno anziano e uno molto anziano. La morte è l'angosciante sottofondo di un rapporto che si evolve in funzione dei bisogni di Léo, a cui il protagonista si mette al totale servizio, mosso dal bisogno di condividere un'esistenza troppo a lungo solitaria. Gagnon, con una descrizione asciutta e struggente, ma mai consolatoria, esplora quello spazio esistenziale in cui la memoria decade e il corpo non è più controllabile e gestibile. È un narrare delicato che coinvolge e scuote, la storia assume su di sé la fisicità fragile e leggera di Léo, il cui passato ci è sostanzialmente ignoto, ma il cui futuro è concentrato riga per riga nei pochi gesti disordinati e confusi che riempiono le sue giornate. Il rapporto fra i due si fa giorno dopo giorno sempre più claustrofobico, le esigenze di Léo occupano interamente le giornate del suo "padre adottivo" fino a quando la separazione tra i due diviene inevitabile. Non sarà la morte a separare i due compagni, ma l'impossibilità del protagonista di assistere Léo, ormai sempre più perso in uno stato di semi-incoscienza. Léo vive ormai con l'unico desiderio di poter morire. La giovinezza si è allungata fino alla soglia dei capelli grigi e la vecchiaia contiene un tempo nuovo, quasi parallelo alla morte. É il tempo nuovo in cui i figli si fanno padri dei propri stessi padri. Giacomo Glossi Guido Quarzo, Ritorno al mittente, ili. di Lorenzo Terranera, prefaz. di Alberto Cava-glion, pp. 55, €10, Lapis, Roma 2011 Attraverso gli occhi curiosi di un bambino di quasi sette anni, Marioiino, sfollato in Val di Susa con la mamma e i nonni, Guido Quarzo, supportato da un nutrito apparato iconografico e dai disegni di Lorenzo Terranera, ripercorre gli ultimi mesi della seconda guerra mondiale fino alla Liberazione. Marioiino, che non ricorda più il padre ed è ormai affezionato a Domenico, che non ne ha preso il posto, ma ruota attorno alla sua famiglia, assiste prima ai bombardamenti, poi alle attività clandestine della mamma e alle vendette naziste. Affascinato dal linguaggio oscuro degli adulti, si ripromette di chiedere alla mamma il significato di parole come Sap e Gap, continua ad andare a scuola, nonostante le difficoltà della vita quotidiana, e a studiare le poesie di Angiolo Novara, che costituiscono il Leitmotiv della narrazione. Secondo le fantasie infantili di Marioiino, i nemici sono giganti, la guerra è un gioco da imitare, la mamma-è un'abile dissimulatrice di paure, ma tutto è destinato a infrangersi di fronte alla realtà, ben più complessa. L'incontro con un soldato tedesco gli permette di scorgerne l'umanità, anche lui è un padre lontano dalla famiglia, ma scopre anche che la guerra non è un gioco, glielo dimostrano i cadaveri di partigiani impiccati lungo la strada. La tensione per l'approssimarsi del 25 e del 26 aprile è narrata con particolare efficacia e partecipazione. La gioia collettiva che si consuma il 1° maggio in una festosa Torino è contagiosa e restituisce alla mamma e al piccolo Marioiino Domenico, arrestato qualche tempo prima, e forse anche il padre, ma di questo nulla ci dice l'autore. Il racconto è corredato da alcune schede storiche scritte con linguaggio semplice, ma esaustivo, che possono aiutare i piccoli lettori e gli insegnanti a inquadrare storicamente la vicenda di Marioiino e della sua famiglia Dai dieci anni. Donatella Sasso Andrew Clements, uno per due, ed. orig. 2008, trad. dall'inglese di Serena Piazza, pp. 192, € 7,90, Rizzoli, Milano 2011 Primo giorno di scuola alla Taft Elemen-tary School, vicino a Cleveland, dove i Grayson si sono trasferiti. Jay, impacciato ma bravo in matematica, inizia l'anno senza il gemello Ray, scaltro con le ragazzine e appassionato di hockey, che si è ammalato. Un'assenza "illuminante" che gli permetterà, svincolato dal suo doppio, di percepirsi in modo diverso: "Essere uno e basta era un bel cambiamento. (...) Sarebbe stato unico come gli altri ragazzi. E in effetti la cosa funzionò: per tutto il tempo si sentì alla grande". È' un disguido scolastico (la perdita di un fascicolo di iscrizione per cui Ray non risulterà negli elenchi) a dare il via al romanzo: i gemelli continueranno a fingere che uno dei due non esista, andando a scuola un giorno Marilù Oliva, Fuego, pp. 253, €16, Elliot, Roma 2011 C'è l'ombra di un piromane, nella Bologna afosa delle sere d'estate, vivacissima e multiculturale; ma anche uno strano omicidio, un giro di droga, il padrone-boss di un locale che dispensa punizioni brutali a tutela del proprio chihuahua. Ci sono gli dei convocati dal Congo e dalla Grecia antica, dal Messico azteco e dalle steppe siberiane per svelare i misteri del fuoco, ipostasi del divino e forza di trasformazione, attraverso voce e tarocchi della dolcissima amica Catalina (per l'occasione invaghita di un ambiguo pompiere). E soprattutto, a plasmare il racconto in ritmo, odori e visionarietà, c'è il mondo della danza latinoamericana, insieme grido di riscatto e teatro della realtà in gioia e miserie: un contesto che non si consuma nel dato ambientale (i sordidi conflitti tra scuole di ballo, la gestione delle serate, gli incontri pittoreschi o conflittuali che segnano il corso dell'avventura), ma riguarda linguaggio profondo e identità. Quell'identità per cui lotta in effetti la protagonista Elisa Guerra, detta La Guerrera, contro una condizione di precarietà del lavoro e dei sentimenti: e coinvolta nel nuovo caso poliziesco insieme al sensibile ispettore Basilica, in crisi coniugale e sempre più attratto da lei, tra vecchi amori e sfortunate avventure editoriali, pastiglie d'acido e ammaestratrici di serpenti, conoscerà un inatteso volo sciamanico e troverà infine la chiave per risolvere il caso. Dove l'indagine procede in realtà su tre piani, cioè il ben gestito intreccio poliziesco, l'itinerarium simbolico per mano a Catalina sul senso del fuoco trasmutatore, e quello di meandri e trasformazioni interiori della protagonista. Aspirante criminologa e combattente di ca-poeira, instancabile danzatrice di salsa, pronta a spendersi nel rum e nel sesso ma capace di trovare nei versi, che conosce a memoria, di un Dante sostituto paterno un rifornimento quotidiano di sollievo e saggezza, La Guerrera attraversa questa seconda avventura (dopo il riuscito jTu la pagaràs!, Elliot, 2010) senza sciogliere tutti i nodi del difficile passato e di un complicato presente. Come succede in fondo, ben sappiamo, nella nostra vita. (FR) per uno. Si spacceranno entrambi per Jay, sperimentando entrambi una nuova unicità. Se all'inizio l'esperienza è esaltante, ben presto, nel gioco di scambio di ruoli anche agli occhi dei genitori, la situazione si complicherà arrivando, sul finale, a un paradosso chiarificatore: "Invece di poter esser finalmente se stessi, si erano ritrovati a dover assomigliare sempre di più l'uno all'altro". Paradosso obbligato per prendere coscienza della propria effettiva individualità al di là delle apparenze. Con una scrittura necessariamente essenziale ai fini dell'intreccio narrativo, l'americano Andrew Clements (una cinquantina di libri al suo attivo, molti ambientati nella realtà scolastica), tra colpi di scena e ironia, sfrutta il tema del doppio per esaltare la ricerca di quel sé che a dodici anni rivendica già a piena voce il suo posto nel mondo. Dai tredici anni. Elena Baroncini Andrea Bouchard, magica amicizia, ili. di Giovanni Manna, pp. 183, € 13, Salani, Milano 2011 Si parte con quattro parti: quattro bambini molto speciali nascono lo stesso giorno. La prima è una bimba che vede la luce tra medici che usano l'aranciata come disinfettante. Il secondo smette di vagire perché dei cagnolini gli leccano il viso. Il terzo nasce già nel lettino della sua stanzetta. L'ultima bimba nasce in un bosco mentre dei fiori le sbocciano attorno. Die- Philippe Djian, Vendette, ed. orig. 2011, trad. dal francese di Daniele Petruccioli, pp. 145, € 14, Voland, Roma 2011 Il suicido di Alexander, durante una festa pochi giorni prima di Natale, apre, con tutta la forza materica di cui è capace il controverso scrittore parigino, l'ultimo romanzo di Philippe Djian. Il suicidio è di fatto l'avvio di una sempre più sfrenata corsa alcolica, condita da cocaina e sesso occasionale, che coinvolge Marc, padre di Alexander, e scultore di successo, Anna, Michel, suoi cari amici, e la giovane Gloria, ex fidanzata del figlio. Sensi di colpa e incomprensioni all'interno di relazioni indefinite i cui limiti si scontrano con le rispettive insicurezze dei protagonisti, saranno il motivo scatenante di vendette trasversali: scintille di follia che attraversano pagine torbide e ciniche. Djian tratteggia i propri personaggi con rapidità, non perde tempo con analisi psicoanalitiche: il dramma è messo in mostra dalla prima pagina, non c'é salvezza né redenzione. Solo a Marc è concessa un'esile sottotraccia di pensieri e considerazioni, brevi prese di coscienza tra l'intontimento alcolico e la posa da eterno dannato utile a mascherarlo nelle occasioni pubbliche come negli incontri occasionali. Lo stereotipo è presente sia nella caratterizzazione dei personaggi quanto nello sviluppo di una storia smaccatamente "americana", tuttavia la vera cifra di Vendette è quella della parodia ironica in chiave noir, che è tutta nello stile icastico che ha reso Philippe Djian tra gli autori francesi più interessanti degli ultimi anni. Vendette corre a capofitto, ma subisce il contrappasso di un ritmo troppo aito che lo condiziona fin dall'inizio, e il fiato viene a mancare troppe volte. L'esercizio di stile prende il sopravvento sulla letteratura, il dolore è esposto, ma poco raccontato, quasi che il terrore si torcesse contro lo stesso autore impedendogli di andare oltre. Forse vinto dalla stessa tragedia che mette in scena e che lo appassiona, Djian, furbescamente, estranea il lettore riservandogli così il ruolo del cinico osservatore. (G.G) ci anni dopo, il giorno del loro compleanno, i quattro ragazzi si conoscono in vacanza. Nasce una magica amicizia. Magica come i poteri segreti che hanno nei confronti delle cose dolci, degli animali, degli oggetti e delle piante. A questo punto il libro di Andrea Bouchard si tinge di nero. I cattivi irrompono sulla scena d'improvviso, forse troppo all'improvviso. Rapiscono centinaia di bambini, tra cui due dei quattro amici, e li riducono in schiavitù, al servizio di un folle progetto per controllare una folle città, che rassomiglia tanto a una delle nostre. Gli amici rimasti intraprendono il viaggio per la liberazione dei bambini. Un'invenzione finale cambie-rà le sorti della loro città. L'autore crea un linguaggio segreto dei ragazzi, per non farsi capire dai genitori, a base di sillabe scambiate. Gli effetti sono buffi e contagiosi (indovinate cosa vuol dire "Alici per seppie"). Le illustrazioni di Giovanni Manna si innestano in modo efficace. Il libro è scritto con un registro di follia giocosa. Frase dopo frase, i confini della razionalità vengono sbriciolati. I piccoli lettori saranno entusiasti perché il flusso narrativo sembra proiettare le loro fantasie. Il bambino non si accorgerà di leggere qualcosa di scritto da un altro e penserà di vivere un suo sogno. Per l'adulto sarà invece necessario del training autogeno iniziale o qualche sessione di fulmine o mosca cieca, insomma un ritorno al bambino che è in lui. Il premio sarà un canale veneziano che sgorgherà in una strada della sua città. Dai sei anni. Federico Jahier