N. 11 Idei libri del mese| 43 Edoardo D'Angelo, Maestro Grifone e i suoi allievi. Cultura latina e scuola in Amelia alla metà del Quattrocento, pp. 188, € 30, Fondazione Centro italiano di studi sull'alto medioevo, Spoleto 2011 Amelia a metà del Quattrocento, nel delicato momento, in cui da una scuola di impostazione medievale si svolta verso una scuola "nuova", umanistica: queste le coordinate e questo il libro. Maestro Grifone e i suoi allievi non è solo una monografia, è anche edizione e traduzione di un testo preziosissimo, la Vita Grifonis di Publio Francesco Laurelio. Il ritratto è paragiografico: vir bonus docendi peritus, Grifone condensa dottrina e virtù; la caritas è il suo perimetro esistenziale (muore di peste nel 1476, trasmessagli da un povero, che aveva assistito) e sapienziale, in un quadro bilanciato fra erudizione ed ethos. La premessa perché Grifone esista in Amelia è la trasformazione della società feudale in società urbana e l'emanciparsi dell"'io" (XII secolo); del resto, il rapporto fra medioevo e umanesimo, che si vuole spezzato dal-l'insorgere di preoccupazioni estetiche, è, al contempo, un rapporto di continuità, anche se più nel senso di un'attualizzazione, che non in quello di una mera elaborazione. Così, Grifone è una soglia; in lui si pronuncia un passaggio, si consuma e si perfeziona una civiltà. Studia con Valla, Gaspare da Verona, Odo da Montopoli; poi torna ad Amelia (1453) e cambia tutto: programmi, pedagogia, orizzonti. La formula dei nani e dei giganti nell'umanesimo non funziona più; eppure, ancora troppo poco sappiamo dei percorsi e delle vie dell'istruzione in questo periodo: Maestro Grifone e i suoi allievi è allora un libro necessario, che rivela una scuola, il cui fine non era strumentale, ma guardava allo sviluppo armonico della persona. Un concetto alto, morale di formazione, dal quale il tempo presente, forse, dovrebbe trarre ispirazione. Audite pueri quam sunt dulces litterae / Et nos felices qui litteras studemus! (Alcuino). Francesco Mosetti Casaretto Gervasio di Tilbury, Otia imperialia. Libro III. Le meraviglie del mondo, a cura di Fortunata Latella, pp. 428, testo latino a fronte, € 33, Carocci, Roma 2010 Otia imperialia, "Medioevo del meraviglioso": quasi una prova tangibile del medioevo oscuro dell'Illuminismo, ottenebrato dall'ignoranza e dalla superstizione. In realtà, oggi, nessuno crede più all'esistenza di un medioevo al buio; ma il razionalismo, che ci ha privato della mistica, ci ha privato della possibilità di avere con gli Otia imperialia un rapporto di cospirazione. Li leggiamo senza intuirne la fede, in modo antropologico; divertendoci per il catalogo dei mirabilia, ma senza stupirci; la qual cosa ci rende lettori assai poco collaborativi. Perché è lo stupore la risposta, che Gervasio si attende da Ottone imperatore, cui dedica questa fatica. Gli Otia sono intrattenimento di cose prodigiose, che l'autore vuole certificare credibili benché incredibili: "ho visto", "è dimostrabile", "esiste", "c'è", "lo dice Agostino". Gervasio vive nel XII secolo della riscoperta di Aristotele, ma vi partecipa con un empirismo fantastico, con un'esplosione mistica dell'empiria. Il suo medioevo è quello dell'espansione oltre confine: viaggio, scoperta dell'ignoto, rimappatura del mondo... quando l'austerità monastica si sgrana, tutto diventa urbano ed economico, anche lo stupore. In fondo, il prodigio altro non è che un miracolo laicizzato dal folclore. L'esito scontato è il Decameron: ma per giungere alla "penna dell'agnolo Gabriello" il passo non è poi così breve. Bisogna che tutto si prosciughi in novella e che il prodigio perda ogni contaminazione con il sacro. Gervasio approda a Carocci dopo una precedente edizione per Pacini nel 2009 (Il libro delle meraviglie, a cura di Elisabetta Battoli). I volumi sono omologhi, guidati dalla strategia farmacologica del "principio attivo": si pubblica il libro terzo, gli altri due sono eccipienti. (EM.C.) Antonio Bocchi, Blues in nero, pp. 223, € 13, Salani, Milano 2011 Opera prima del parmense Antonio Bocchi (classe 1958), Blues in nero sfrutta una struttura collaudata del genere hard boiled per narrare una trama classica in un paesaggio italiano. Il protagonista, Bruno Lo-max, è un detective opportunamente stropicciato e "all'americana", inopinatamente inserito nello scenario della Bassa padana. La scomparsa di Riccardo Stinti, nella confusione di un festival estivo di musica blues, sarà per lui l'occasione per iniziare un'indagine che ben presto prenderà una piega avventurosa e drammatica. Il tema è da sempre uno degli inneschi classici dell 'hard boiled, da Ray Chandler a John D. Macdo-nald fino a Richard Crais: la scomparsa e la ricerca della persona scomparsa costituiscono il prologo ideale per una discesa in atmosfere sempre più cupe e pericolose. La scomparsa come preludio all'omicidio, l'indagine sulla scomparsa come preludio al confronto con il male. Bocchi utilizza consapevolmente i cliché della narrativa poliziesca americana, sfruttando al meglio un'ambientazione della provincia italiana che rende curiosamente esotica l'intera vicenda. La narrazione è costruita attorno a personaggi variamente minacciosi e condotta attraverso una buona gestione del dialogo, probabilmente maturata attraverso le precedenti esperienze in ambito cinema- tografico dell'autore. Forse non un romanzo imprescindibile, ma una buona, solida aggiunta al catalogo del noir nazionale. Davide Mana fabula, che, mimeticamente, si dà come rumor udito in Grecia da due vecchi, Blepsidismus e Gurgulio. La Fabula Penìa è una rara commedia umanistica sviluppata oltre il solco della tradizionale sequela plautina e terenziana; eppure, tutto il mondo utopico di Aristofane qui implode e viene sovvertito: Cremilo, che, complice Asclepio, avrebbe voluto restituire la vista a Pluto (dio della ricchezza) e garantire l'avvento di un mondo equo, viene, adesso, condannato da Povertà, che rivendica il proprio ruolo di motore del mondo; l'idea è che l'essere umano progredisca per necessità e per indigenza. Certo, da Aristofane ad Aretino le domande sulla cecità e sull'ingiustizia delle permutazioni(Inf. VII 88) della sorte restano le stesse, non dissimili da quelle, sempreverdi, di Qohèlet "Tutto ho visto nei giorni della mia vanità: perire il giusto nonostante la sua giustizia, vivere a lungo l'empio nonostante la sua iniquità" (Eoi: 7.15); ma Aristofane e Aretino diventano ora estremi di una retta concettuale, che si torce fino a raggiungere esiti speculari. Così, paradossalmente, dal Pluto si genera Penìa, Ricchezza provoca l'espressione della Povertà. Siamo di fronte a un divertisse-ment, naturalmente, che si sviluppa come retorica controversia, ma fa perno sul linguaggio comico di Terenzio. Ludovica Radif approda a Penìa dopo un approccio teatralmente più creativo al testo (Soldo Bifronte, Tilgher, 2004); qui, tutto è diverso: si pubblica l'edizione critica, la traduzione italiana, un ampio ed esaustivo commento. (EM.C.) Rinuccio Aretino, Penìa, a cura di Ludovica Radif, prefaz. di Antonio Stduble, pp. 139, testo latino a fronte, € 15, Cesati, Firenze 2011 Più che traduzione del Pluto di Aristofane, la Fabula Penia (o "Commedia della povertà") di Rinuccio Aretino (1390-1457) è una spregiudicata operazione di repèchage: l'umanista si appropria del testo greco, lo fa suo; non cita né il titolo originale, né l'autore, dileguano entrambi dietro la ricapitalizzazione di una Valter Leonardo Puccetti, fuga in paradiso. Storia intertestuale di Cunizza da Romano, pp. 189, € 25, Longo, Ravenna 2010 Il volume ricostruisce la storia pubblica, poetica e politica, di Cunizza da Romano, sorella di Ezzelino e di Alberico, sullo sfondo del violento avvicendarsi di vecchie e nuove signorie nella Marca trevigiana. Ci riconsegna una figura controversa rispetto a quella che Dante ritrae, in evidente contrasto con le testimonianze a noi giunte e a lui note (nei versi di Paradiso IX, 13-66), che mirano dunque a un vero e proprio riscatto ermeneutico del personaggio storico. Tra Jake Adelstein, Tokyo Vice, ed. orig. 2009, trad. dall'inglese di Anna Martini, pp. 464, € 19,50, Einaudi, Forino 2011 È una strana miscela di (molti) fatti e (poca, ma significativa) fiction il volume di Adelstein sul crimine organizzato in Giappone. Ex cronista presso lo "Yomiyuri Shin-bun", e successivamente collaboratore del Dipartimento di Stato americano e cronista per il "Washington Post", Adelstein racconta con un tono chandleriano le proprie esperienze in Giappone: il lavoro di giornalista della "nera", i rapporti con gli informatori e la polizia, i contatti con la yakuza, la famigerata mafia giapponese. I dettagli procedurali e la storia della yakuza appaiono diluiti nella narrativa dell'avventura personale dell'autore. E se il volume è ricco di dettagli esotici, di momenti di suspense e di osservazioni sul crimine organizzato in Sol Levante, appare tuttavia stranamente asettico e quasi reticente su una quantità di problemi e di avvenimenti. Lo stesso autore lascia intendere di saperne molto di più, e di dover trattenere alcune informazioni per salvaguardare la propria si- curezza, ed è difficile stabilire dove finisca l'amministrazione della propria immagine di aggressivo giornalista investigativo e dove cominci la reale preoccupazione per eventuali rappresaglie. E tuttavia il taglio fortemente narrativo è ciò che rende questo volume piacevole alla lettura, anche grazie a una traduzione solida e accurata. Non strettamente un poliziesco, non un saggio fatto di fredde cifre e annotazioni antropologiche, soddisferà probabilmente di più l'appassionato di noir alla ricerca del primo che non lo studioso di orientalistica alla ricerca del secondo. (D.M.) queste testimonianze spiccano quelle delle due vidas provenzali che Uc de Saint Ciro avrebbe scritto di Sordello da Goito, protagonista con Cunizza dell 'affaire sentimentale del secolo. In entrambe è attestato il rapimento della donna compiuto dal trovatore per espresso ordine di Ezzelino, ma nella seconda le tinte si sfumano e lo stesso rapimento sembra piuttosto una fuga progettata dai due amanti. L'avventura con Cunizza, tuttavia, rimase per Sordello uno stigma da cui egli non si sarebbe più liberato agli occhi dei contemporanei, neppure quando la donna rientrò in seno alla famiglia dei da Romano e l'arbitro ed educatore del gusto letterario alla corte al-bericiana, Uc (se anche la seconda vida è sua), gli si fece di fatto più benevolo. Il bersaglio polemico di rivali come Peire Guillem de Tolosa, Granet e soprattutto Peire Bremon diviene allora "quell'ideologia platonica che Sordello ha costruito in Provenza per l'amor cortese". Su un piano parallelo si muove l'ancor più radicale progetto di screditare Cunizza e anch'esso fa capo a Uc, il quale nella tenzone con Peire Guillem de Luserna avanza il sospetto, poi smentito da Dante, di una futura dannazione della donna. La damnatio memoriae inflitta da Uc era conseguenza dello spregiudicato comportamento di Cunizza, la cui volubilità alterava la distanza con i fedeli d'amore e metteva in dubbio il principio stesso del servizio amoroso, così come, sul piano politico, quello della lealtà verso la famiglia, un aspetto questo che accomunava Cunizza ed Ezzelino, fratello maggiore e nemico di Alberico. In questi termini, "la storia di Sordello e di Cunizza, insomma, rischia di essere la più riuscita delle modellizzazioni di Uc". Sarebbe dunque Dante a raccogliere la sfida lanciata da Uc a Peire Guillem assumendo la difesa di Cunizza e il compito di riscattarne l'immagine terrena, difesa e riscatto che si estendevano, mentre il poeta scriveva l'ultima cantica a Verona, allo stesso Ezzelino, che tanto Dante quanto il guelfismo patavino vedevano collegati a Cangrande. Con la sua storia intertestuale di Cunizza, Puccetti ci mostra come si possa fare storia della cultura medievale muovendo dalla voce come dal silenzio dei personaggi del poema e come nessuno di questi possa dirsi minore. Igor Candido Giorgio Scerbanenco, nebbia sul naviglio e altri racconti gialli e neri, a cura di Roberto Firani, pp. 207, € 13, Sellerio, Palermo 2011 Scerbanenco. Riflessioni scoperte proposte per un centenario 1911-2011, a cura di Roberto Pirani, pp. 285, € 28, Pirani Bibliografica Editrice, Moino del Piano-Pontas-sieve (Fi) 2011 Sellerio continua nella riscoperta della produzione dispersa del "Simenon dei Navigli". Quest'ultima raccolta presenta un gruppo di brevi testi del 1936-37, di ambiente americano, che mimano alla perfezione lo stile della hard-boiled schoof, alcuni racconti del 1942-43 pubblicati sul "Corriere della sera"; infine un più variegato gruppo di narrazioni del 1946-48, tra le quali spicca il romanzo breve che dà il titolo al volume, ambientato in un realistico hinterland milanese. Ogni volta che ri: emergono nuovi racconti dimenticati di Scerbanenco si resta abbagliati dalla concisione, dall'asciuttezza, dalla piana modernità di una scrittura inimitabile, e si prova ii desiderio di conoscere meglio questo autore così lungamente snobbato, con pari supponenza, da accademie e avanguardie del secolo scorso. Un ottimo strumento per orientarsi nella sterminata produzione scerbanenchiana è il volume che Roberto Pirani ha curato in occasione del centenario della nascita del romanziere. Raccoglie le belle testimonianze di due figli dello scrittore, Cecilia e Alberto, e saggi di vario argomento: sul giovane Scerbanenco (dello stesso Pirani e di Massimo Carloni), su Scerbanenco autore di fantascienza (Luca Crovi), su Scerbanenco e il cinema (Giulidori), sulla produzione narrativa "maggiore" (Paccagnini, Oliva), insostituibile è poi la bibliografia che lo "conclude e che repertoria una novantina di romanzi, quasi 1400 racconti, articoli, rubriche, radiodrammi. Roberto Pirani, che l'ha stilata, si scusa perché non è probabilmente completa, e si prepara a completarla in futuro, con una tenacia appassionata degna di ammirazione. Mariolina Bertini o •fO SO CO •fO e e a e • IO so SO o •io I Ci) o GQ