; N. 11 Idei libri del mese| 45 Marco Portaluppi, Tra l'Appennino e l'America. Una rete di affari lungo il XIX secolo, pp. 115, € 15, Diabasis, Reggio Emilia 2011 Basato su un prezioso fondo di circa ottocento carte conservate presso il genovese Archivio ligure della Scrittura popolare, questo libretto si colloca nella scia dei lavori pionieristici di Antonio Gibelli e del compianto Marco Porcella sulle migrazioni liguri verso le Americhe, il fondo apparteneva alla famiglia di contadini e commercianti Zanone di Borzonasca, nelle vicinanze di Chiavari, circondario che "diede il maggiore apporto all'emigrazione transoceanica regionale". Al centro vi sono un centinaio di missive provenienti dagli Stati Uniti e quasi quattrocento dal suolo nazionale, fra gli anni settanta dell'Ottocento e gli anni trenta del Novecento. Destinatario è Giovanni Battista Zanone, nato nella frazione di Sopralacroce nel 1847 e, a parte breve parentesi, lì rimasto a gestire risparmi, beni e relazioni con i membri della famiglia emigrati a Chicago, in California e a St. Louis. Il volumetto sconta purtroppo l'inadeguata competenza storiografica dell'autore e la fretta con la quale è stato tratto da una tesi di laurea, tanto che è stato omesso in bibliografia persino l'utile dizionarietto I primi italiani in America del Nord. Dizionario biografico dei liguri, piemontesi e altri. Storie e presenze italiane tra Settecento e Ottocento, uscito dallo stesso editore a fine 2009. Ma resta il paziente lavoro di catalogazione di materiali svolto da Portaluppi. Lavoro che è auspicabile venga ripreso da studiosi più maturi, con opportuni strumenti, in una vera ricerca tra le due sponde sulla "rete di affari" in queste pagine per ora solo adombrata. Ferdinando Fasce dai fuoriusciti antifascisti cattolici italiani tra il febbraio e il maggio 1945. Articoli dedicati al totalitarismo, alla guerra d'Etiopia e alle vicende spagnole, alla politica britannica, ai rischi di un'imminente conflagrazione, ai temi della democrazia e della libertà, all'organizzazione territoriale dello stato elvetico, alla chiesa e alla De, che, a differenza dell'opera omnia, sono qui presentati nella versione in cui furono pubblicati, e cioè dopo gli interventi censori tesi ad ammorbidire espressioni considerate poco adatte ai lettori ticinesi. Anche su questi aspetti si sofferma l'introduzione, che peraltro ricostruisce i rapporti fra Sturzo e i sacerdoti ticinesi Francesco Alberti, direttore di "Popolo e Libertà" tra il 1921 e il 1928 e poi dal 1935 al 1939, Giuseppe Daldini, che agì da corriere clandestino permettendo a Sturzo di mantenere rapporti con gli ex popolari in Italia, Luigi Del Pietro (direttore di "Il Lavoro") e l'esule val-tellinese Giovanni Gatti, senza trascurare il soggiorno in terra elvetica dell'estate del 1933 e gli incontri con altri esuli antifascisti. Alfonso Botti del sorgere e dell'evolversi di uno stato corporativo che, pure, si giovò di uno status di neutralità durante la guerra mondiale. Daniele Rocca Lorenzo Planzi, Luigi Sturzo e il cantone Ticino. La terra che gli diede voce sfidando il fascismo (1929-1947), pp. 417, Chf. 30, Dado, Locamo 2011 Sturzo scrisse articoli per la stampa libera europea e americana, prediligendo quella di orientamento cattolico democratico, senza disdegnare i fogli conservatori. Anche al di fuori di questo ambito Sturzo continua però a esercitare attrazione. Lo conferma la pubblicazione dei suoi articoli sulla stampa elvetica, preceduti da un'ampia introduzione del ticinese Planzi. Si tratta dei 104 articoli pubblicati dal marzo 1933 al marzo del 1940 sul quotidiano del Partito conservatore-democratico di Bellin-zona "Popolo e Libertà", ai quali si aggiungono i quattordici che apparvero dal gennaio 1939 al maggio del 1940 sul settimanale dell'Organizzazione cristiano-sociale "Il Lavoro" e gli otto su "La Libertà", edito Daniele Serapiglia, La via portoghese al corporativismo, pp. 252, € 22,50, Carocci, Roma 2011 "Il Portogallo è attualmente un cataclisma in marcia. Ci sveglieremo? Ci salveremo?", scriveva l'economista Antonio Oliveira Sala-zar sul giornale cattolico "Imparcial" del 14 marzo 1912, a nemmeno due anni dall'avvento della repubblica, seguito da un ventata di laicizzazione, e poco prima della riscossa cattolica. Quest'ultima, per Daniele Serapiglia, attivo presso l'Università di Bologna, si alimentò del cosiddetto miracolo di Fatima (1917), ma quasi paradossalmente trovò in un tecnico come Salazar, che divenne ministro delle Finanze, la propria figu-ra-traino: conclusasi la breve parabola del regime di Sidonio Pais, fu lui a mediare fra monarchici, fascisti e repubblicani conservatori, riuscendo infine a varare ì'Estado Novo con la Costituzione del 1933, anche se lo iato fra teoria e pratica ne impedì un'effettiva realizzazione; fino al 1956 non esistettero le corporazioni, ma solo un Consiglio corporativo. Molte le sorgenti di quell'esperienza: fascismo (Salazar fu un ammiratore di Mussolini, citandone la Carta del Lavoro fin dal primo articolo dell Estatuto do Trabalho Nacio-nal), istanze d'ordine (non a caso restò a lungo presidente il generale Carmona), maurrassismo (propugnato nell'avamposto iberico soprattutto dall'Integralismo lusitano, ma noto ai più), cattolicesimo sociale (Sala-zar apparteneva al Centro Académico de Democracia Crista; l'opera di Giuseppe To-niolo era moneta comune fra le élites antisocialiste portoghesi) e tradizionalismo entrano a vario titolo in quest'attenta ricostruzione L'altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico. vol. 2. il sistema e i movimenti. europa 1945-1989, a cura di Pier Paolo Poggio, pp. 808, € 48, Jaca Book, Milano 2011 Giunto al secondo tomo dei cinque previsti, lo studio del comunismo eretico nel Novecento, a cura di Pier Paolo Poggio (direttore della Fondazione Micheletti), mantiene una struttura per aree tematiche, affrontando il contesto europeo postbellico. Si documenta l'impressionante vitalità di un mondo caratterizzato da un triplice radicalismo critico, verso il sistema capitalista, il socialismo reale e alcuni aspetti del pensiero stesso di Karl Marx. Inutile dire che in questa sede la ricchezza dell'opera (oltre quaranta contributi, ognuno con in calce una bibliografia essenziale) si può evocare solo in minima misura: i contesti analizzati sono vari, i piani d'analisi numerosi, decine gli intellettuali passati in rassegna. Si va dal richiamo alla dialettica fra economia ed ecologia nella storia dell'Urss, rilevato da Poggio, allo studio del dissenso come attività clandestina di coordinamento degli oppositori nei paesi socialisti europei (è ricostruito il proliferare di iniziative portate avanti in Urss, in Polonia e altrove), dalla "rivoluzione copernicana di Operai e capitale", presa in esame nel saggio di Cristina Corradi su Tronti e altri, al Sessantotto francese e italiano, per Luisa Passerini sempre più oggetto di una semplicistica tendenza alla de-stori-cizzazione. L'abbondanza dei materiali, malgrado l'inevitabile brevità di molti contributi, è straordinaria, anche senza contare l'aggiunta decisa dal correttore automatico, cui, con buona pace del fabianesimo inglese, a p. 270 dobbiamo la miracolosa apparizione, nei già affollati cieli del riformismo, dei "socialisti fagiani". (D.R.) La Germania rosso-verde. Stabilità e crisi di un sistema politico (1998-2005), a cura di Elia Bosco e Josef Schmid, pp. 402, €43,60, FrancoAngeli, Milano 2011 Già curatore una decina di anni fa di un'accurata analisi della realtà sociale, politica e istituzionale tedesca del dopo riunificazione (La nuova Germania. Società, istituzioni, cultura politica dopo la riunificazione, FrancoAngeli, 2001), Bosco offre ora un nuovo importante contributo all'esame del cosiddetto Modell Deutschland così come esso è venuto configurandosi negli ultimi anni: se il principale obiettivo del precedente lavoro era stato infatti quello di verificarne la tenuta all'indomani della caduta del Muro, questo lavoro, frutto della collaborazione con Schmid, consiste invece nel-l'indagarne le più recenti trasformazioni di fronte alle sfide della globalizzazione. L'arco di tempo preso in esame ricade a cavallo dei due governi guidati dal cancelliere Schrò-der e coincide pertanto con gli anni in cui, con il varo del pacchetto di norme raccolte sotto il nome di "Agenda 2010", è stato avviato uno dei più ambiziosi, nonché impopolari, progetti di riforma del mercato del lavoro e del sistema sociale tedesco dagli anni del dopoguerra a oggi. Con una sensibilità storica rivolta a ricostruire il contesto e il complesso profilo dei vari soggetti collettivi in campo, i diversi saggi affrontano da un lato il piano politico-istituzionale, con l'analisi dei partiti di governo e d'opposizione, e dall'altro il piano socio-economico, con l'analisi delle principali organizzazioni sindacali e industriali, ponendo in conclusione la questione dell'eclissi della socialdemocrazia e, più in generale, del declino dei partiti popolari. Rientrano infine all'interno di questa panoramica anche due saggi rispettivamente dedicati all'esame della politica estera tedesca nel nuovo ordine globale e del modello bavarese, esempio di sintesi fra modernità e tradizione. Federico Trocini o • fO HO Maurizio Ferraris, Filosofia per dame (Guanda) «5 Ci) O co Elena Scantamburlo e Luca Casagrande, cuba graffiti. La politica al muro, pp. 256, €25, Sassi, Schio (Vi) 2011 Il testo della storica dell'arte veneziana Elena Scantamburlo descrive e commenta con efficacia un fenomeno onnipresente a Cuba: dipinti e scritte su muri, steccati e cartelloni, di grande impatto propagandistico. Ne rintraccia gli influssi, dalla tradizione locale delle insegne alla scuola dei muralisti messicani, dalla grafica sovietica (e poi quella cilena dei primi anni settanta) alla pop art. E racconta la difficile convivenza della creatività con la gabbia di controllo del partito unico, cui interessa una pubblicità ideologica a basso costo ed eseguibile capillarmente sul territorio. Se nell'epoca d'oro, a fine anni sessanta, non mancarono la sperimentazione formale e una certa vivacità satirica, oggi le pitture murali (eseguite con pennelli e rullo, giacché gli spray sono costosi o irreperibili) stentano ad arrivare a esiti artisticamente apprezzabili. Tra le poche eccezioni, le opere del gruppo Camaleón. Lo slancio storicamente più significativo fu quello del gruppo d'avanguardia Arte Calle, che nella seconda metà degli anni ottanta si riappropriò della strada con performance nelle piazze, invase asfalto e intonaco. Ma l'esempio non prosperò. Con la penuria della crisi economico-sociale degli anni novanta e la ricentralizzazione del nuovo millennio, si è tornati a gestire le sgargianti parole d'ordine come paraocchi consolatori e autocelebrazione sempre più lisa, mentre langue la satira dettata dall'alto. Per dare un senso a una realtà durissima, bisogna riportare costantemente il popolo all'interno dell'univoca epopea rivoluzionaria: "L'obiettivo primo e ufficiale di questo vero e proprio bombardamento segnico e cromatico è il non creare una distanza oggettivante e statica tra l'oggi e quei giorni: la scrittura murale, mezzo espressivo certo effimero, ma capace altresì di suggerire una lunga durata, diviene così, nella volontà statuale, una pratica tesa a promuovere una sorta di rito apotropaico (fors'anche funebre) mediante il quale la società cubana, o parte di essa, esorcizza la propria morte latente". Scantamburlo sottolinea che l'iconografia è calcata su quella religiosa (sia di matrice cattolica che derivante dai culti sincretici afrocubani). Lo stile è plasmato sugli usi oratori del messia Castro. Attorno a lui compaiono gli eroi santificati (Marti, il Che, Cienfuegos). Questo codice immutabile, con il suo corredo di fucili spianati, ciminiere e cazzuole, viene bersagliato dalle barzellette popolari e non di rado arriva da solo al caricaturale, come il "Vamos bien" con cui il lider màximo rassicura un paese in rovina. Ma, soprattutto, non è certo più il linguaggio dei giovani, che sentono la retorica di regime come un "disturbo di fondo", un "rumore" in senso fotografico, che "sporca" la comunicazione e l'immagine del reale. Proprio il contrario del graffitismo semilegale, irriverente e di protesta. Fallita l'illusione pedagogica, i cubani tendono a non vedere nemmeno più questa "colonizzazione grafica legale dello spazio urbano e rurale". Saggiamente, nelle oltre 200 foto di Luca Casagrande, gli slogan sono spesso relativizzati da contesti e contrasti: profili, persone, ombre, giochi e sfaceli. Danilo Manera