Romeo e Giulietta contro lo Stato di Domenico Mugnolo Volker Braun LA STORIA INCOMPIUTA E LA SUA FINE ed. orig. 1975, trad. dal tedesco di Matteo Galli, pp. 130, € 15, Mimesis, Milano-Udine 2011 Variando il titolo di una novella di Gottfried Keller (Romeo e Giulietta nel villaggio), un giornale tedesco ha definito questo racconto "Romeo e Giulietta nello stato". In effetti Volker Braun riprende qui il motivo dell'amore contrastato fra due giovani, comune a numerose opere della letteratura di ogni paese, lasciando che a ostacolare i giovani Karin e Frank non siano due famiglie rivali, come in Shakespeare, o un prevaricatore potente (come nei Promessi sposi), ma lo stato stesso, che, facendo strame della legalità, si serve della collaborazione di cittadini acquiescenti, investiti di un piccolo potere e di una qualche autorità. La conclusione non è tragica, ma nemmeno liberatoria: la storia di Karin e Frank - e non solo la loro - resta "incompiuta", giacché essi appaiono inermi di fronte alla perfidia dello stato, sicché il lettore, a ciò spronato dall'autore, non può non porsi interrogativi su di un futuro pesantemente condizionato dalla realtà sociale e politica del tempo. Siamo nella Repubblica democratica tedesca e nei primi anni settanta; i contatti con gli occidentali, e in particolare con i tedeschi, pur non formalmente vietati, sono tuttavia oggetto di "attenzioni" arcigne da parte della polizia segreta: nel caso di Karin e Frank, le "attenzioni" sono dovute alla circostanza che il ragazzo riceve occasionalmente lettere da un conoscente fuggito a Ovest, il quale gli promette aiuto nel caso che decida di seguirlo. VOLKER BRAUN USTORIA INCOMPIUTA E USUA FINE A nulla serve che Frank ignori tali offerte: a Karin non è lecito frequentarlo, pena la rottura con la sua famiglia e la perdita del lavoro (altre, più serie minacce vengono solo adombrate). Intento di Braun, tuttavia, non è tanto "rivelare" al lettore tali pratiche, quanto piuttosto ricostruire i processi che mettono in moto in Karin, che ne è vittima. Partendo dalle dispotiche imposizioni che subisce, la ragazza, figlia del presidente di un consiglio distrettuale e dunque appartenente all'élite politica del paese, "scopre" attraverso un doloroso percorso i mali da cui è afflitta la società in cui vive e che non era abituata a considerare matrigna. Anche l'acquisizione di questa consapevolezza fa del racconto una "storia incompiuta", perché incompiuta considerava Braun la stessa storia del cosiddetto socialismo reale - o almeno sperava che lo fosse: per quanto acquisita a caro prezzo, la consapevolezza di Karin doveva aiutare anche i lettori a compiere un processo analogo e a divenire una forza capace di trasformare lo stato, di vanificare quelle pratiche distruttive e di costruire un socialismo che nel decennio precedente Dubcek, nella vicina Cecoslovacchia, aveva definito "dal volto umano". Speranze, come sappiamo, andate deluse. Chiuso quel capitolo, il racconto di Braun non sarebbe dunque più attuale? Lo si potrebbe leggere soltanto per ricordarsi di come stavano le cose e tirare un sospiro di sollievo, perché per fortuna tutto sarebbe cambiato? C'è chi vorrebbe mettere in giro favole di questo genere, ma basta guardarsi intorno, osservare come la realtà sia segnata dalla violenza, per comprendere quanto la Storia incompiuta conservi una sua attualità e Letterature quanto sia ancora sempre necessario che le vittime affrontino quel processo che nel racconto compie Karin. Il racconto è seguito da due brevi scritti nei quali l'autore dà conto delle circostanze nelle quali era venuto a conoscenza delle vicende che sono alla base del suo racconto: una giovane donna lo aveva contattato per riferirgli una storia molto simile a quella del racconto. Solo dopo il crollo del socialismo reale Braun ha appreso che la sua informatrice era al tempo stesso informatrice della polizia segreta e solo dopo qualche tempo ancora ha appreso che la donna era al tempo stessa confidente e vittima: una vicenda degna di Le Carré o di un vecchio film di Clouzot, come Le spie. L'importanza di Volker Braun non sta soltanto nei temi che affronta, ma nella sua sapiente scrittura, nella sua straordinaria precisione espressiva che gli consente una densità linguistica fuori del comune. La ricezione di questo autore, senza alcun dubbio tra i più significativi di lingua tedesca, avviene in Italia con un ritardo di cui possiamo forse ricostruire, come fa l'ottimo curatore del volume Matteo Galli, le circostanze, ma che resta tuttavia ingiustificabile, se solo si pensa a quanti effimeri fenomeni letterari siano stati tempestivamente proposti ai lettori italiani anche da case editrici di primo piano. Di Braun, se si prescinde da alcuni testi in versi e in prosa apparsi qui e lì in riviste e antologie (impensabile escluderlo da qualsiasi panorama della letteratura tedesca contemporanea), è questo il secondo volume tradotto in italiano: nel 2009, con il titolo La sponda occidentale, era apparso da Donzelli un volume di versi. Non si può che aspettare con ansia la pubblicazione di un secondo volume di racconti annunciata entro la fine dell'anno presso lo stesso editore di questa Storia incompiuta. ■ d.mugnolo®lingu.uniba.it D. Mugnolo insegna letteratura tedesca all'Università di Bari Sadomasochismo da scandalo di Raoul Bruni COLA Régis Jauffret IL BANCHIERE ed. orig. 2010, trad. dal francese di Giuseppe Girimonti Greco e Maria Laura Vanorio, pp. 151, € 14, Barhès, Firenze 2011 o Taurfri juasi sconosciuto in Italia, lo 'scrittore marsigliese Régis Jauffret (classe 1955) è da tempo considerato una delle voci più significative della narrativa francese contemporanea. La sua opera comprende più di venti titoli, tra i quali, per ricordare solo i più recenti, Autobiographie (2005), Microfictions (2007), Lacrimosa (2008), tutti editi Gallimard. Ai quali si è aggiunto l'anno scorso un nuovo romanzo, Sévère, ora tradotto in italiano da Barbès con il titolo II banchiere. Il libro ha suscitato grande clamore al di là delle Alpi perché la vicenda narrata si ispira non troppo nascostamente a un recente e scottante episodio di cronaca: la morte del ricco banchiere Edouard Stern, ucciso dalla giovane amante al termine di un gioco erotico. Tan-t'è che i familiari di Stern, considerando infamante il contenuto del romanzo, hanno intentato un causa contro Jauf-fret chiedendo che siano distrutte tutte le copie del libro e che siano bloccate le riprese del film che Hélène Fillierès ne sta traendo (il ruolo dell'amante di Stern è stato affidato nientemeno che a Laetitia Casta). Ciò ha suscitato l'immediata reazione di un nutrito gruppo di intellettuali e scrittori, tra cui Frédéric Beigbeder, Michel Houellebecq, Bernard-Henri Lévy, Jonathan Littell e Philippe Sollers, i quali hanno firmato un appello in favore di Jauffret, giudicando un'eventuale sentenza a lui sfavorevole "un atto di censura vero e proprio che rovinerebbe l'opera di un autore (...) e che ricorderebbe il tempo in cui si volevano bruciare - per non parlare che dei più grandi - i libri di Jean Genet o di Pierre Guyotat". Siamo quindi di fonte a un romanzo controverso, destinato a suscitare ancora molte discussioni. Tuttavia, per valutarlo adeguatamente, occorre forse liberarlo dall'alone di scandalo che lo circonda, e concentrarsi sui suoi intrinseci contenuti letterari. Jauffret non è infatti uno dei tanti narratori che cercano lo scandalo a tutti i costi, traendo spunto, com'è ormai di moda (in Francia come in Italia), da eclatanti vicende di cronaca così da supplire allo scarso valore intrinseco della propria opera con il clamore da essa provocato; ma è uno scrittore autentico, che ha alle spalle un percorso letterario di tutto rispetto (si pensi, oltre ai titoli già citati, all'importante romanzo Univers univers, caratterizzato da una struttura assai complessa, che rinvia a Perec, uno dei principali modelli di Jauffret). Lo stile di Jauffret - come si può vedere anche nell'eccellente traduzione di Giuseppe Girimonti Greco e Maria Laura Vanorio - è caratterizzato da un linguaggio estremamente disadorno, da una sintassi sincopata e nervosa, con una netta prevalenza della paratassi sull'ipotassi. Vale la pena citare per esteso almeno l'incipit del romanzo, che è anche un efficace condensato del plot narrativo: "L'ho incontrato una sera di primavera. Sono diventata la sua amante. La tuta di latex che indossava il giorno della sua morte gliel'ho comprata io. Sono stata la sua segretaria sessuale. È lui che mi ha iniziato all'uso delle armi. Mi ha regalato una pistola. Gli ho estorto un milione di dollari. Lui me l'ha ripreso. L'ho ammazzato piantandogli una pallottola in mezzo alla fronte. E caduto dalla sedia su cui l'avevo legato. Respirava ancora. Gli ho dato il colpo di grazia. Sono andata a farmi una doccia. Ho raccolto i bossoli. Li ho messi nella borsa insieme alla pistola. Uscendo ho sbattuto la porta". Chi parla è la protagonista-narratrice, una giovane pittrice di scarso talento ma dal fascino irresistibile, che racconta come ha ucciso il suo amante, il facoltoso banchiere nel quale si riconosce una proiezione romanzesca di Stern. Il pensiero della donna è trasmesso da Jauffret nella forma più diretta e immediata, senza nessun tipo di diaframma. La storia è riferita in forma assolutamente non lineare, attraverso un intermittente flusso di coscienza. Ci sono almeno quattro piani narrativi: il presente (il resoconto in presa diretta delle mosse dell'omicida, che, subito dopo aver sparato all'amante, decide di imbarcarsi su un aereo per Sidney), il passato prossimo (la rievocazione delle circostanze dell'omicidio), il passato meno prossimo (la storia di come i due amanti si sono conosciuti e hanno iniziato il loro rapporto sado-masochistico) e il passato remoto (il ricordo dei traumi infantili subiti dalla donna). Tra flash-back e flash-forward si dipana il resoconto del torbido rapporto tra i due amanti, che passa attraverso le più svariate perversioni sessuali: all'inizio si ha l'impressione che il dominatore sia il banchiere, ma ben presto si capisce che è del tutto impossibile distinguere la vittima dal carnefice. Sebbene talora si incontrino situazioni un po' stereotipate o prevedibili, la potenza narrativa del testo rimane quasi sempre costante, sottraendosi a ogni banale psicologismo o moralismo metalettera-rio. E proprio in questo tono radicalmente anti-postmoderno risiede il marchio più peculiare della scrittura di Jauffret. ■ raoul.bruni@unipd.it R. Bruni è assegnista di ricerca in italianistica all'Università di Padova