'tY 00 ' «C Ce. » l Uriauctoritas per la tradizione europea e uno studioso non amato Un maestro in salsa piccante di Silvia De Laude V E un fatto noto che Curtius, in vita, non ha godu- to di grandi simpatie. Anche Aby Warburg, fu- turo dedicatario di Letteratura europea e Medio Evo latino, non ne aveva avuto sulle prime una buona im- pressione. Si erano conosciuti alla fine del 1928, alla Biblioteca Hertziana, punto di incontro degli stra- nieri che a Roma, anche allora, facevano un po' co- lonia. Nel diario a due mani redatto con la sua assi- stente, Gertrud Bing, Warburg aveva fatto il 18 no- vembre un elenco delle sue nuove conoscenze, in- contri a un ricevimento organizzato dal direttore dell'Hertziana, Enst Steinmann: "L'altro ieri sera as- sieme a circa sessanta persone da Steinmann: forze capaci, ma anche intellettualmente attive, della colo- nia tedesca. Steinmann ed io eravamo i più vecchi. (...) Tra i tedeschi si trovano alcuni elementi parti- colarmente validi: Baethgen (giovane successore di Kehr), il giovane Harnack (Istituto Archeologico), Bormann (Legazione Bavarese), Ernst Robert Cur- tius (Narciso) come ospite romano" (Diario romano, 1928-1929, a cura di Maurizio Ghelardi, Aragno, 2005). Evidente, da questa pagina, che Curtius do- veva aver dato a Warburg un'impressione di suppo- nenza (Warburg e Bing si sarebbero però ricreduti presto, e sarebbe nato proprio a Roma, città chiave della geografia spirituale di Curtius, un legame pro- fondo, interrotto solo dalla morte di Warburg). Simpatico, Curtius non lo è del tutto neppure nel romanzo giovanile del suo amico e protetto Stephen Spender, The Tempie, apparso nel 1988 ma scritto fra il 1929 e il 1931, dove figura con il nome di Ernst Stockmann, anche se il poeta inglese, che lo aveva conosciuto a Bonn nel 1929, lo teneva in grande considerazione, come risulta dal diario (Journals 1939-1983, a cura di John Goldsmith, Faber & Fa- ber, 1992), in cui alla data del 19 settembre 1939 no- ta "Con Curtius entravo in contatto con la Germa- nia di Goethe, Hòlderin e Schiller. Cioè con una Germania apollinea, una Germania solare, non la Germania dionisiaca di Hider". In Italia, è documentato dal carteggio il rapporto di stima e amicizia con Guglielmo Alberti, outsider di genio, frequentatore come lui negli anni trenta delle Décades di Pontigny (proprio Alberti, aveva in- trodotto Giacomo Debenedetti alla Recherche, of- frendo lo spunto a uno dei maggiori romanzi critici del Novecento). Anche questa volta, però, nel pano- rama italiano Alberti è un'eccezione, come lo è più tardi Lea Ritter Santini, curatrice appassionata di tanti saggi di Curtius usciti dal Mulino. Casi isolati che non bilanciano 2 clamoroso ostracismo di cui è stato oggetto anche 2 grande libro suUa sopravviven- za dei topoi di ascendenza greco-latina, uscito nel 1948 ma tradotto da noi dada Nuova Italia solo nel 1992 (.Letteratura europea e Medio Evo latino, a cura di Roberto Antonelli), quando esistevano già edizio- ni in francese, inglese, spagnolo, portoghese, rume- no, e addirittura giapponese. Un ritardo che impres- siona, dovuto in parte a una paralizzante stroncatura crociana (Dei filologi che hanno "idee", del 1950), in parte alla diffidenza marxista: quasi cinquantanni, che hanno contribuito a far leggere l'opera come un classico del "moderno" e deUa "Crisi" (così Anto- nelli, nel bellissimo saggio introduttivo), e non solo come un repertorio di topoi, da usare come strumen- to di consultazione. Ha scritto Cesare Segre: "Appa- rendo con un ritardo di mezzo secolo, e quando co- munque è entrata nel novero deUe indagini indi- spensabili e sempre citate, l'opera può essere letta con spirito diverso. Tanto più che sinora la si è usa- ta soprattutto come repertorio prezioso per chiun- que studi temi diffusi nel Medio Evo, e non come la- voro organico" ("Corriere della Sera", 24 dicembre 1992). Era, 2 1992, 2 momento in cui l'edizione ita- liana aveva dato avvio a un ripensamento dell'opera di Curtius. Di un altro, giusto vent'anni dopo, offre ora l'occasione 2 volume Ernst Robert Curtius e l'i- dentità culturale dell'Europa. Atti del XXXVII Con- vegno interuniversitario (Bressanone-Innsbruck 2009; a cura di Ivano PaccagneUa ed Elisa Gregori, pp. 386, € 36, Esedra, Padova 2011). E convegno aveva come pretesto un quasi anni- versario (i quasi sessantanni di Letteratura europea e Medio Evo latino), ma si poneva soprattutto, nelle intenzioni degù organizzatori, come terza tappa di una riflessione stEla grande triade deUa filologia te- desca del Novecento, composta da Auerbach, Spit- zer e appunto Curtius. L'edizione a cura di Antonel- li, autore negli atti di Bressanone (Curtius, Auerbach e la modernità, ricordando Warburg), ha certo cam- biato molte cose nella ricezione italiana di Curtius. Un dato che si impone subito con evidenza, però, negli atti, è 2 permanere di una mancata empatia nei confronti di Curtius, vistosa soprattutto se si con- fronta con l'entusiasmo e l'adesione riservati nel cor- so dei precedenti incontri di Bressanone aU'opera di Auerbach e di Spitzer. Curtius, non c'è niente da fa- re, è visto con ammirazione ma con riserva. Un mo- numento, forse, un'auctoritas di cui soprattutto in materia di topoi e tradizione europea non è possibi- Ernst Robert Curtius, L'ABBANDONO DELLA CULTURA, in- trod. di Angelo Genovesi, postfaz. di Daniela Marcheschi, pp. 80, € 10, Aragno, Torino 2010 Nel 1931 Ernst Robert Curtius pubblica Abbau der Bil- dung. un grido d'allarme provocato dai veleni di inizio se- colo, dall'emergenza di un massificato pangermanesimo e dal cielo nebuloso, che si addensa sull'esperienza umanisti- ca di Weimar (1919-1933). L'anno seguente è la volta di Deutscher Geist in Gefhar, "Lo spirito tedesco in pericolo", estremo tentativo di difendere l'umanesimo contro il dila- gare del nichilismo nazionalsocialista. Poi, l'ascesa di Hit- ler costringe il filologo tedesco, all'arretramento strategico nel medioevo: non è fuga, né rimozione, bensì ritorno alla vagheggiata pangea dell'Europa, sola humus nella quale la Zivilisation poteva ritrovare le proprie ragioni seminali. Ab- bau der Bildung è così una stazione di transito nel percorso gravitazionale che Curtius ha intrapreso all'indomani della prima guerra mondiale e che lo attrae, ineluttabilmente, verso l'opera maggiore, Europdische Literatur und lateni- sches Mittelalter (1948); una stazione dove "per tutto nel mondo è novembre", ormai avvolta dalle spire di un cre- puscolare Zeitgeist, nel segno spengleriano del tramonto della cultura europea. Curtius, tuttavia, è un controdeca- dente: da sostenitore guglielmino dell'aristocrazia avverte 0 precipitare dello spirito tedesco, critica l'imbarbarimento romantico, socialista e nazionalista della civiltà, di "chi cre- de di poter ricostrùire la cultura tedesca dal basso", cer- cando "un accordo con l'uomo gotico o col carattere na- zionale tedesco", dimenticando che "tale idea è resa ostag- gio di masse radicalizzate il cui sentimento nazionale può essere ridotto alla formula primitiva dell'odio antigiudaico e del mito della razza"; ma Abbau der Bildung non è solo una denuncia, è una speranza: "Dobbiamo aver completa- mente patito la problematica della nostra cultura per avere il diritto di credere al suo futuro". Curtius, nel 1931 come nel 1948, crede ancora al futuro della cultura europea. Vi crede nel modo della Rivoluzione conservatrice di Hof- mannsthal (1926); vi crede alla luce della continuità e della tradizione del classicismo, dello spirito dell'antichità nella prospettiva universale di Goethe, e dell'umanesimo come antidoto contro il processo di disumanizzazione in atto. Abbau der Bildung è il primo segmento di una complessa reazione in tre fasi, maturata nella tempesta; ha un forte ra- dicamento storico e contestuale, ma ciò non significa che il testo sia relativo. In fondo, come scrisse Italo Calvino, "i classici servono a capire chi siamo e dove siamo arrivati". Francesco Mosetti Casaretto le non tenere conto, ma non un maestro da amare, o a cui ricollegare la propria esperienza. Non è sempre così, ma l'impressione è che a Cur- tius si continuino a non perdonare troppe cose: la ri- cerca di una continuità a tutti i costi fra 2 mondo an- tico e 2 presente (europeo), l'indifferenza per la sto- ria, 2 culto fideistico della Tradizione, la mancanza di una definizione precisa di topos, e ancora, l'ambi- zione a porsi come praeceptor Germaniae, 2 cattivo carattere, 2 fraintendimento deUa lettura "tipologi- ca" auerbachiana, la scelta della cosiddetta "emigra- zione interna" invece dell'esilio, l'interesse tiepido per fenomeni letterari precipuamente romanzi come la lirica trobadorica o la chanson de geste, e ancora la sottovalutazione deE'influenza celtica, araba, bizan- tina, scandinava, lo snobismo o la scarsa sintonia con i prodotti deUa "mescolanza degli stili". La tenden- za sembra ancora queUa messa a fuoco da Lorenzo Renzi nel suo contributo: "Pochi autori come Cur- tius hanno collezionato un tale numero di stroncatu- re, in vita e in morte, e per ragioni molto diverse, qualche volta addirittura opposte". C'è qualcosa, evidentemente, che si fatica a digeri- re, e non sono molti a essere conquistati senza resi- stenze daUo sforzo di ridare un corpo alla tradizione cercandone i pezzi di qua e di là, come fa Iside con 2 corpo di Osiride, per riportarlo in vita, con la di- sperazione di non riuscirci davvero, perché manca sempre un pezzo. Un progetto troppo ambizioso? È come se Curtius fosse punito dalla sua ambizione (non per niente le critiche che gli sono state mosse sono soprattutto in negativo: quello che non ha det- to, quello che non ha fatto). Negli atti comincia, con intelligenza, Mario Man- cini che nel saggio di apertura (Il giardino dei topoi), coglie benissimo nella mole apparentemente algida e marmorea di Letteratura europea e Medio Evo latino la vertigine di scorci inattesi, domande, esitazioni, grovigli, passaggi avventurosi. Ma introduce subito deUe riserve; eppure, "chi prenda in mano oggi, a sessantanni daEa sua pubblicazione, credo non pos- sa nascondere di imbattersi, proprio nella ricchezza dei materiali, in zone opache, in valutazioni e inter- pretazioni, numerosissime, con cui non si sente di essere d'accordo". Troppo resta fuori dal "giardino dei topoi", "perché è diffic2e far entrare nel giardi- no, neEa House of Beautiful, le scritture che raccon- tano 2 mutevole, 2 paradosso, l'altro lato del mondo. Kafka, per fare un solo esempio, è un autore che non compare mai neUe sue pagine". Lo aveva fatto notare, del resto, già Zumthor, in Leggere il Medioevo (1980): queUo che non rientra neUa sua idea di Tradizione, Curtius lo lascia fuori dal libro; i "buchi", i passaggi che non tornano, Curtius li occulta, o cerca di rattopparli con un mastice tutto ideologico. Jauss, nella prolusione Perché la storia della letteratura? (1967), era andato anche più in là: i "buchi" forse Curtius neanche li vede, come se si sen- tisse esonerato dalla fiducia neUa "continuità deE'e- redità antica" da una reale comprensione deUa storia. Persino più duro è Carlo Donà (Lo spirito tedesco e la crisi della mezza età), che concentra la sua atten- zione sul pamphlet del 1932 sullo "spirito tedesco in pericolo" (in cui Curtius, fra l'altro, cita per la prima volta come possib2e modello 2 Warburg di Mne- mosyne-pamphlet a lungo rimasto nell'ombra). A Donà, 2 Curtius vessillifero di un "nuovo umanesi- mo", che potrebbe salvare daUa barbarie, proprio non convince. "E diffìc2e, credo, non valutare Deut- scher Geist in Gefahr nel modo più severo. Io, alme- no, lo trovo insopportab2e per 2 tono tronfio e let- terario; inaccettabfie per le idee, nazionaliste e setta- rie; completamente sbagliato neUe previsioni e nella diagnosi; presuntuoso e inutile, nocivo e fatuo. In- somma, un vero disastro". Troppo ingeneroso, direi, come imputare la svolta che ha portato Curtius dal- la contemporaneistica allo studio deU'eredità antica nel medioevo ("Uno degli enigmi più grandi per chi studi la sua straordinaria carriera letteraria", già nel necrologio firmato da Spitzer) principalmente al ti- more di urtare i nazisti, che non avevano gradito le sue rampogne. (Checché se ne dica, la posizione di Curtius nel libretto è di chiaro rigetto nei confronti del nazismo, come avevano visto subito i pruni let- tori tedeschi; e troppo altro è in gioco in queUa svol- ta, come Curtius stesso riconosce nel 1945 in una prefazione al suo opus magnum ancora in fieri, ap- parsa sitila rivista "Die Wandlung" e riproposta nei Kritische Essays zur europàischen Literatur, del '54). II volume è ricchissimo, e rappresenta una tappa importante neEa storia deEa (difficEe) ricezione di Curtius in ItaEa. Lo diceva Giorgio Pasquali: i mae- stri vanno mangiati in salsa piccante (e lo citava Pa- solini, in uno dei carteEi del Corvo in Uccellacci e uc- cellini, consigli a Totò e Ninetto). Mangiare i mae- stri è la condizione per digerirli (per questo la salsa piccante, che aiuta), e una volta digeriti usarli traen- do forza, magari, daEe loro contraddizioni. ■ s.delaudeStiscali.it S. De Laude è filologa romanza