. % 00 . /'l'i * t a* j .ol F, 'a*1^ _ Una riflessione sull'intreccio tra finzione e storia Eppure ti amo, mio Venezuela di Vincenzo Latronico In questo testo vorrei parlare del rapporto fra la letteratura d'immaginazione - la letteratura "fantastica", per qualche senso del termine - e l'obbligo o la volontà o l'impegno, da parte di uno scrittore, di descrivere la realtà. Vorrei farlo trac- ciando un arco sudamericano, che da Jorge Luis Borges passa per Adolfo Bioy Casares e sfocia in Roberto Bolano (ma, rispettivamente, seguirà l'or- dine 3-1-2). E una traiettoria senza esplicite prete- se storico-letterarie, ma che vorrebbe sottolineare, per dir così, una somiglianza di famiglia: o, piutto- sto, una mutazione, forse anch'essa ereditaria, for- se no. Mi sono accorto dell'esistenza di questa muta zione leggendo La letteratura nazista in America di Roberto Bolano. È un libro, in parte inspiegabile - metà raccolta di rac- conti, metà affabulazione postmoderna - che arriva al lettore, credo, come omaggio disperato all'eredità di Borges nella lette- ratura mondiale, l'omaggio di qualcuno che Borges lo ha amato così tanto da non poterne più, da non riuscire a sopportare la chiusura a ogni imperfezione che la sua perfezione comporta: e che ha finito per assassinare l'oggetto di questa passione come un giovanotto decadente poteva strangolare l'amata al primo segno dell'in- vecchiamento. Si presenta come una storia della letteratura, di impostazione biografi- ca, concentrata sugli scrittori di estrema destra operanti perlopiù in Sudamerica nella seconda metà del Novecento. E, na- turalmente, una raccolta di racconti, a te- ma letterario, a sfondo sudamericano, ad ambiente, beh, nazista. L'enciclopedismo barocco e l'amore per il sorprendente di Borges sono evidenti sin dal primo paragrafo. Che è questo: "Edel- mira Thompson Mendiluce. Buenos Aires, 1894 - Buenos Aires, 1993. A quindici an- ni pubblicò il primo libro di poesie, A pa- pà, che le permise di conquistare una dis- creta posizione nell'immensa galleria di poetesse dell'alta società bonaerense. A partire da quel momento fu un'assidua frequentatrice dei salotti di Ximena San Diego e di Susana Lezcano Lafinur, ditta- tóri della lirica e del buon gusto su en- trambe le sponde del Piata agli albori del secolo XX. Le sue prime poesie parlano, com'è logico, di sentimenti filiali, di pen- sieri religiosi e di giardini. Civettò con l'idea di far- si monaca. Imparò a montare a cavallo". Questi primi momenti di meraviglia segnano il passo del resto del libro: che, sotto la forma della storia letteraria (con tanto di stile biografico, rigi- dissimo), infila una sequela di torturatori e nobil- donne, ruffiani, capopopolo, tagliagole, sfide al- l'ultimo sangue, reclusioni in manicomio, inci- denti d'auto e suicidi d'amore, con lo stesso di- sperato cinismo dell'esagerazione che Borges ave- va sfruttato nella Storia universale dell'infamia. Il titolo del libro è quanto mai esatto: i letterati e le letterate di cui scrive Bolano hanno tutti flirtato con questo o quel regime sudamericano, hanno scritto pamphlet contro la plutocrazia giudaica, hanno pugnalato comunisti, hanno torturato stu- denti, hanno finanziato colonnelli. Ma questo, in fondo, appare alla lettura come un vezzo temati- co, un'esagerazione fra le tante, a cui ci si abitua in fretta: è, dopotutto, il comune denominatore del libro, un po' come il comune denominatore di un libro sui pirati è fatto di isole selvagge e for- zieri colmi di» dobloni. "Patiboli e pirati - scrive Borges nella prefazio- ne alla Storia universale dell'infamia - affollano questo libro, e la parola infamia dirompe dal tito- lo, ma sotto il clamore non c'è nulla". Lo stesso va- le per La letteratura nazista, almeno in apparenza: il susseguirsi di invenzioni e lo stile borgesiano an- nullano la realtà, e il lettore si gode i fuochi d'arti- ficio senza pensare agli uccelli che magari un atti- mo prima di scoppiare nel cielo questi trafiggono. Ti dimentichi dei nazisti, ti dimentichi delle tortu- re, ti dimentichi dell'orrore, come ti dimentichi dei labirinti e delle scacchiere di Borges: diventano uno sfondo più o meno pittoresco, stilizzato, per una messinscena 2 cui cuore è tutt'altro. -k-k-k Ma il cuore, ovviamente, è questo: ed è anche la farilità con cui l'orrore passa in secondo piano per chi legge prima che Bolano lo riporti, prepotente- mente, in proscenio. Una prima avvisaglia della rottura di questa pax ironica, dell'irrompere di qualcosa di infetto, che non si può derubricare con un sorriso e una buona selezione di aggettivi, si ha da "la Repubblica" dal titolo di un racconto cruciale, verso la fine del libro: sfuggendo al rigore biografico degli altri (no- me, data di nascita) scende per la prima volta nel campo del giudizio, e si intitola Ramirez Hoffman, l'infame. Il titolo, di per sé forse poco significativo, sorprende parecchio il lettore, uso ormai da due- cento pagine aUo st2e impersonale della storia let- teraria; ma la parola "infame", naturalmente, ap- pare come una citazione da Borges. Anche lo st2e tuttavia sorprende, pare più sfaldato, meno con- trollato di prima, più vicino all'espressionismo che alla freddezza enciclopedica di Borges (e dello stes- so Bolano, almeno fino ad ora). Ma ancora di più sorprende 2 terzo paragrafo, che parla di quando Hoffman ancora si chiamava Emilio Stevens. 6 6 | C m2io Stevens flirtava con Maria Venegas, JX in realtà usciva spesso con entrambe le so- relle, andavano al cinema, ai concerti, a teatro, a conferenze, questo è tutto, talvolta andavano alla spiaggia con l'automobile delle Venegas, una Volk- swagen bianca, per ammirare i tramonti sul Pacifi- co, fumavano erba insieme, presumo che le Vene- gas uscissero pure con altri, presumo che pure Ste- vens uscisse con altra gente, in quegli anni tutti uscivano con tutti e tutti credevano di sapere tutto di tutti, una presunzione piuttosto stupida come ben presto fu dimostrato". Presumo? Presumo chi? Be', si dice il lettore, magari quella prima persona è un retaggio di un'altra versione del libro che non è stato emen- dato fino in fondo, magari è una svista del tra- duttore, magari in seguito capiremo che questa è solo la citazione di una biografia di Hoffman scritta da qualcun altro, magari, magari. Ma ma- gari no: la voce personale si insinua crescente- mente nelle pagine dedicate a Hoffman, senza più scivolare nella prima persona, certo, ma la- sciando comunque intuire una carica di investi- mento emotivo, in chi scrive, che non potrebbe confarsi a nessuna storia letteraria, a nessuna ce- sellata prosa borgesiana, una carica che pare tan- to incontenibile da aver spinto l'autore a disfarsi dell'enciclopedismo smaliziato e sornione, ad ab- bandonare un sorriso che, tenuto troppo a lungo e troppo nonostante tutto, stava diven- tando una smorfia di dolore. Questa ca- rica è una carica politica, e - come è nel- ^ la sua natura - a un certo punto esplo- de. Dopo aver narrato delle prime infamie di Hoffman, della sua carriera militare, della sua vicinanza ai miliziani di Pino- chet, Bolano racconta di quando questi comincia la propria carriera letteraria componendo poesie nel cielo, con le strisce di fumo di un aereo da guerra. Lo racconta così: "In quei giorni, mentre veniva smantellata la povera struttura del potere di Unidad Popular, venni ar- restato. Le circostanze che mi portarono nel centro di detenzione sono banali, se non ridicole, ma mi permisero di assiste- re al primo intervento poetico di Rami- rez Hoffman". In questo momento, per il lettore, qualcosa crolla. Ma certo, c'e- ra anche lui. C'era anche Bolano, in que- sto Sudamerica che pare falso ma non lo è, dominato da fantasmi e da nazisti. Ma certo, torturavano, imprigionavano. Ma certo, è di questo che si parla, qui. Le elaborate costruzioni fantastiche, meta- letterarie, brillanti, precipitano al con- trario lungo tutto il sistema di scatole ci- nesi, e alla fine escono. Dove? In un mondo, quello descritto dal libro, in cui gli intellettuali e i dissidenti sudamerica- ni venivano sequestrati, torturati e ucci- si dagli sguaiati nazisti di cui si è letto fi- nora. Un mondo che sino ad ora era in- visibile, quasi, agli occhi del lettore, sot- to la strabiliante giocoleria degli aggetti- vi, degli ammiccamenti, delle scacchiere. Questo c'è sotto 2 clamore. Si pensa di solito che Xautofiction, 2 genere let- terario in cui l'autore compare in prima persona (con tanto di nome, cognome e dati biografici più o meno veritieri) sia un espediente narrativo per parlare del mondo. Non è questo 2 caso, credo, dal momento che di quella parte del mondo che sono state le dittature sudamericane si è già parla- to ampiamente. L'irruzione dell'io di Roberto Bo- lano neEa Letteratura nazista è, penso, un modo per parlare deEa letteratura. Parla del suo straor- dinario potere mistificatorio: per cui bastano alcu- ni accorgimenti formali, un certo talento, una buo- na dose di fantasia, e d'improvviso scompare 2 mondo esterno, si scardina il legame che vorrebbe una storia, anche d'invenzione, irrimediabilmente scaturita dal contesto sociale e politico in cui vive- va chi la scrive. Senza queE'ultimo capitolo, La let- teratura nazista sarebbe stato comunque un libro br21ante, godib2issimo, pieno di prodigi. Ma quel libro - questo dichiara l'uso deE'io - non parla di nazisti e torturatori per caso: ne parla perché è sta- to immaginato aE'interno di una società in cui que- sti esistevano, e torturavano, e condizionavano col loro agire il pensiero e anche la vita di tutti coloro che di questa società facevano parte. Bolano c'era, fra loro. C'era anche Borges.