e Jk e * K> o •X» co tì o co • IO a ? d £ So cu co Lacan e la dimensione linguistica nel rapporto psicoterapeutico Lo stile reciproco e lo stile irriverente di Raffaella Scarpa LJ origine del pensiero di Jacques Lacan sta in un principio ermeneutico basilare: la malattia mentale è sempre comprensibile, ma tale comprensibilità è inaccessibile per via dialettica. Per fronteggiare questo assunto - invece che aggirarlo - Lacan concepirà una modalità di relazione per la quale l'approccio alla patologia avverrà sabotando sistematicamente il processo interpretativo: a ogni approssimazione ai significati, l'analista dovrà invalidare la propria interpretazione attraverso la congettura di un errore, di un malinteso fondamentale. Tale ostruzionismo tattico fonda il rapporto terapeutico per almeno due ragioni: perpetua l'afflato ermeneutico dell'interprete in modo da fissarlo in una posizione di apertura massima ai significati proprio perché ne frustra la risoluzione; stabilisce implicitamente un accordo collusivo tra analista e paziente circa il differimento della verità, in modo che questa aggalli soltanto quando non potrà non farlo (quando non potrà più "resistere", verbo lacaniano per eccellenza), accordando così lo svolgimento della cura ai tempi naturali della psiche. L'abnégation a cui più volte fa riferimento Lacan per qualificare l'attività dell'analista è proprio la tenacia nel boicottare il processo ermeneutico, azione che permette di formulare il principio più radicalmente umano della teoresi lacaniana, il "comprendre", ovvero - etimologicamente -l'assunzione in sé del malato al di là dell'interpretazione. Comprendre il discorso patologico determina quindi non tanto la decriptazione dei suoi significati, quanto le condizioni preliminari per l'emersione di ciò che è significativo, individuando non una tecnica di relazione ma una postura rispetto all'altro che travalica, per dichiarazione dello stesso Lacan, l'ambito analitico, investendo il mondo della vita, dell'esperienza, delle relazioni umane e quindi della responsabilità: quello che nasce come la condizione prima del transfert si perfeziona in un principio etico generale. Da questo presupposto, che determina il rapporto analista-analizzante, si sviluppa sia la riflessione di Lacan sulle condizioni di cura sia quella descrittiva e diagnostica sull'individuazione della natura delle patologie psicotiche e, in questo senso, il Seminario III, di cui Einaudi offre la molto attesa nuova edizione, andrebbe posto a premessa di ogni possibile discorso su Lacan e sul suo pensiero (Jaques Lacan, Il seminario. Libro III. Le psicosi. 1955-1956, ed. orig. 1981, testo stabilito da Jaques-Alain Miller, nuova edizione italiana a cura di Antonio Di Ciaccia, pp. 400, € 26, Einaudi, Torino 2010). L'idea di un approccio terapeutico fondato nell'accoglimento del malato e dei suoi sintomi migra nelle scuole psichiatriche esistenzialiste, ma le derive ideologiche estreme depauperano e mistificano definitivamente il concetto lacaniano di "comprensione" nelle sentimentalizzazioni da slogan: "Il malato va amato", così frequente nei discorsi-comizio antipsichiatrici tra anni sessanta e settanta. All'origine di questo atteggiamento sta però un testo rivoluzionario e ancora oggi indispensabile per l'introduzione a un approccio fenomenologico alla malattia mentale, L'io diviso. Studio di psichiatria esistenziale di Ronald D. Laing (ed. orig. 1959, trad. dall'inglese di Davide Mezzacapa, pp. XXVIII-220, € 20, Einaudi, Torino 2010, 4a ed.). Ma in Laing gli affondi sul rapporto terapeutico sono essenzialmente di tipo testimoniale; nell'elaborazione di una teoria della relazione fa da segnavia il discorso di una paziente psicotica, Joan: "Tutti dovrebbero poter tornare indietro con la memoria ed essere certi di aver avuto una mamma che amava tutto di loro, anche la pipì, anche la cacca. Chiunque dovrebbe poter essere sicuro che la mamma gli voleva bene giusto perché era lui, e non per quello che avrebbe potuto fare. Altrimenti non ci si sente in diritto di esistere, si sente che non si sarebbe mai dovuti nascere. Non importa cosa succede poi a questa persona, non importa se soffre, può sempre guardare indietro e sentire che può essere amato. Può amare se stesso: non può più rompersi. Ma se non può iùir LA FOLLE IMPRESA , Bim DEL CICLISTA PAZZO om misà che presenta tutti i principali approcci psicoterapeutici (psicodinamico, cognitivo-comporta-mentale, interpersonale, supportivo, di gruppo, familiare e di coppia; oppure di ispirazione integrativa, come nel caso della dialettica-comportamentale o di quella basata sulla mentalizzazione) descrivendoli anche in rapporto alle interazioni con il trattamento psicofarmacologico, all'apporto delle neuroscienze e ai dati statistici sull'effettiva efficacia della cura nelle diverse patologie. Una trattazione monografica che illustra minuziosamente la precettistica della terapia dialettico-comportamentale applicata a particolari tipi di disturbi del comportamento alimentare si legge in Binge eating e bulimia. Trattamento dialettico-comportamentale di Debra L. Safer, Christy F. Telch ed Eunice Y. Chen (ed. orig. 2009, a cura di Lavinia Barone, trad. dall'inglese di Elena Paoli e Caterina Pieraccioli, pp. 302, € 29, Raffaello Cortina, Milano 2011). Il volume assimila, ma senza darne plausibile ragione, il binge eating (l'abbuffata compulsiva) e la bulimia, ovvero classi diagnostiche accomunabili soltanto in apparenza ma che invece risultano essere patologie distinte per eziopatogenesi, sintomatologia, incidenza e prevalenza. Da questo irrisolto metodologico derivano alcune forti incongruenze nelle sezioni che riguardano la bulimia nervosa, ridotta indebitamente a disturbo generato da un deficit nell'abilità di regolazione delle emozioni. Ciò che è interessante rilevare è che in questo studio, come in molta recente letteratura riguardante i protocolli delle più vulgate metodologie psicoterapeutiche, si riscontra un indiscusso paradosso: tanto più si insiste tornare su queste cose, allora può rompersi. Ci si nel dettagliare le modalità della cosiddetta "al-può rompere soltanto se si è già a pezzi. Finché i--"-»» nprrlp <]{ vista i] r : ' li cwaomo moia. AlasMk „ fh | il mio io bambino non è stato amato, io ero a pezzi. Amandomi come si ama un bambino lei mi ha aggiustato". Ancora oggi l'appello costante all'istituzione di un rapporto fra terapeuta e paziente di natura inclusiva, è il proemio che introduce a ogni proto- collo di cura: è comunque nella relazione che si riconosce, al di là delle teorie e delle scuole, la ragione dell'efficacia del trattamento. Questo è facilmente verificabile nel repertorio offerto nel volume collettaneo Le psicoterapie. Teorie e modelli di intervento, a cura di Glen O. Gabbard (ed. orig. 2009, a cura di Franco Del Corno e Vittorio Lingiardi, pp. XXII-949, € 76, Raffaello Cortina, Milano 2010): un'opera necessaria, leanza terapeutica", tanto più si perde di vista il centro della relazione, ovvero il suo primato linguistico. L'esito è una precettistica fondata su "strategie comunicative" mirate, in buona sostanza, all'induzione, nel paziente, di determinati effetti (la risposta è dunque fondamentalmente reattiva e, in questo senso, ci si potrebbe anche porre la questione delle effettive potenzialità di fissazione nel tempo dei benefici derivati da interventi di questo tipo). Come esempio, per i dialettico-comportamentisti vanno adottati con il paziente essenzialmente due stili di comunicazione: "Lo stile reciproco e lo stile irriverente. Lo stile di comunicazione reciproco è reattivo e spontaneo, mentre lo stile irriverente è provocatorio e impertinente"; ciò riduce lo stesso concetto di stile a una postura tattica, a un atteggiamento più che a una pratica verbale: in questo come un altri casi, nell'idea di "relazione terapeutica" (altrimenti detta relazione empirico-collaborativa, contratto terapeutico e così via) la comunicazione è sempre concepita come uno strumento svuotato del suo mezzo, ovvero la lingua. La disattenzione delle scienze psichiche alla dimensione propriamente linguistica (ritmo, timbro, intonazione, lessico, morfologia, sintassi, retorica) investe sia il discorso del terapeuta sia quello del malato, generando almeno due conseguenze sostanziali, che riducono di molto prospettive diagnostiche e possibilità di intervento: l'applicazione terapeutica detta "di parola" è condotta dall'operatore senza l'esatta coscienza delle potenzialità relative allo strumento che sta manovrando; il discorso del malato viene assunto nei suoi contenuti e nella sua espressione emotiva, quando invece la via privilegiata ai significati del sintomo (quindi il cuore della relazione terapeutica) è spesso linguistica. ■ raffaella.scarpa@unito.it _ R. Scarpa è ricercatrice di linguistica italiana all'Università di Torino