N. 7/8 11 Come la cronaca smonta il binomio cattivo-clandestino/buono-regolare Frammenti di barbarie e inefficacia di Armando Spataro Paolo Borgna è da trent'anni uno stimatissimo magistrato, ma prima è stato avvocato. Da giudice e da pubblico ministero ha lavorato sempre a Torino dove oggi, da procuratore della Repubblica aggiunto, coordina il gruppo dei magistrati che si occupano di sicurezza urbana. In passato ha pure condotto inchieste in tema di criminalità transfrontaliera e tratta degli esseri umani. Specifiche esperienze professionali, dunque, e autentica passione civile lo hanno indotto a scrivere un libro caratterizzato da un approccio nuovo al tema dell'immigrazione illegale e dei suoi riflessi sulla sicurezza collettiva: Clandestinità (e altri errori di destra e di sinistra) (pp. 94, € 12, Laterza, Roma-Bari 2011). Novantaquattro pagine di riflessioni, umanità e realismo insieme, agevoli da leggere e appassionanti. Sono molti gli autori che hanno scritto su questo tema e lo hanno ovviamente fatto a partire dalle diverse prospettive che i loro specifici mestieri (giuristi, storici, politici, sociologi, giornalisti) suggerivano, ma pochi hanno detto con chiarezza che questo fenomeno epocale - il flusso di milioni di extracomunitari che si riversano in Europa nella speranza di trovare occasioni di vita dignitosa - non può essere affrontato solo dal punto di vista della tutela dei diritti fondamentali delle persone, senza farsi nel contempo carico di contrastare i progetti criminali di quanti vengono in Occidente per delinquere. Un simile approccio può apparire ovvio e banale: quale governo, infatti, se non mosso da xenofobia pura o colpevole miopia, potrebbe negare dignità alla speranza del disperato onesto e rifiutarsi di perseguire con decisione ed efficacia i criminali di ogni provenienza? Eppure, spiega Paolo Borgna, è sufficiente una sguardo sommario alla legislazione prodotta negli ultimi quindici anni da maggioranze di centrosinistra e centrodestra per verificare quanto l'ovvio e la ragione stentino a farsi largo: "Nella nostra legislazione - ricorda - e nella cultura corrente il binomio clandestino/regolare è diventato centrale: dove clandestino è, sempre, lo straniero cattivo; mentre solo lo straniero regolare può essere buono". Già, i "clandestini". Anche questa abusata definizione è errata, perché evoca pericoli oscuri e lascia immaginare persone acquattate nell'ombra pronte a colpire. Ma ben altri sono gli "errori" della politica che emergono con chiarezza dall'analisi di Borgna: è imperdonabile, ad esempio, l'avere affrontato con miopia un problema di dimensioni planetarie, ancorandolo solo al tema della sicurezza, trascurando solidarietà e buon senso. Come sciogliere, allora, gli equivoci e come rimediare agli errori? Borgna affida al lettore i propri suggerimenti, non in un'ottica da saggio giuridico, ma in termini precisi e facilmente intelligibili: per questo parte da quattro racconti di vita di immigrati, storie vere che ha conosciuto grazie al proprio lavoro e che consentono a tutti di capire i vuoti e le contraddizioni delle nostre leggi in materia. La prima storia è quella di Angela: la giovane moldava che voleva fare la badante. Laureata in lingue, giunge in Italia dalla Germania con un regolare visto turistico valido tre mesi che lascia scadere mentre lavora come badante a Torino, così si "clandestinizza". Ma, a causa di illogiche previsioni di legge, non riesce a ottenere un regolare permesso per motivi di lavoro e finisce con il dover rinunciare all'Italia. La seconda storia è quella di Rachid e di suo figlio Hamid, "il baby pusher rimasto spacciatore": Rachid è uno spacciatore di stupefacenti marocchino, arrestato cinque volte in flagranza con falsi nomi e ogni volta rilasciato, da "magistrati un po' superficiali", sul presupposto della sua incensuratezza, il quale finisce per sfruttare una sanatoria per gli stranieri irregolari, ottiene un regolare permesso di soggiorno e riesce a farsi raggiungere a Torino da due figli minorenni che diventano spacciatori a loro volta. Una vicen- da che dimostra, come dice l'autore, come il nostro sistema penale finisca con l'essere "debole con i delinquenti, occhiuto ed accigliato con i deboli". E la stessa morale che si può trarre dalla terza storia, quella di una giovane nigeriana che, abbandonata la strada della prostituzione, trova la forza di denunciare la connazionale che la sfruttava. Però presto se la ritrova di fronte, impunita e libera, poiché la mamam, ricercata con altro nome, ha ottenuto il permesso di soggiorno. L'ultima storia è quella di Ahdel: il giardiniere clandestino, denunciato per troppo candore: si tratta di un egiziano, sposato con una connazionale da cui ha avuto un figlio, la quale vive regolarmente nei pressi di Torino. Lui la raggiunge con un visto turistico, inizia a lavorare come giardiniere, richiede allora invano il permesso per ricongiungimento al coniuge. La domanda, per poter essere accolta, avrebbe dovuto essere presentata dalla moglie in Italia e lui avrebbe dovuto attenderne l'esito all'estero. Abdel viene invece denunciato per il reato di immigra- zione clandestina, inutile orpello frutto di uno dei tanti pacchetti-sicurezza approvati in questi anni. Quattro storie significative, frammenti di barbarie verso le persone oneste e di inefficacia di norme che, come quella sul reato di clandestinità, "pongono sullo stesso piano il lavoratore irregolare ed il delinquente", generando così solo ingiustizia. Ma non si possono neppure trascurare, avverte Borgna, le comprensibili reazioni di quei cittadini, in genere appartenenti ai ceti economicamente e culturalmente più deboli, che "abitano nei quartieri assediati dalla criminalità di strada", che ne patiscono per primi la violenza multiforme e nei quali, dunque, "ha messo radici più solide (...) il rancore verso quelle élites culturali negatrici dei soprusi da loro patiti". Una disattenzione che fa "comprendere perché i quartieri operai delle città del Nord, tradizionali bacini di consenso dei partiti di sinistra, abbiano negli ultimi anni gonfiato le vele di partiti e movimenti che, sulla questione della sicurezza, hanno fondato le loro fortune elettorali". Ecco allora che l'approccio realistico al tema del contrasto dell'immigrazione irregolare consente a Borgna di formulare alcune proposte originali e concrete che hanno l'indubbio merito di interpellare tutti, anche chi tende a esorcizzare l'interrogativo centrale del "che fare?". Che fare per rafforzare la tutela dei diritti e contemporaneamente far sapere "a chi viene in Italia per delinquere (...) che da noi il crimine non sarà più conveniente che nei paesi d'origine". Punto di partenza deve dunque essere un messaggio chiaro: "Vogliamo essere un paese d'accoglienza (...) e allo stesso tempo garantire che l'immigrazione non provochi il degrado dei diritti, delle regole, dei servizi sociali delle nostra comunità". Basta, allora, con proclami e minacce/sanzioni esagerate che spaventano solo i deboli, scontri ideologici di cui sono stati esempi lampanti tanto la diffidenza verso il rilevamento delle impronte digitali all'atto del rilascio del permesso di soggiorno, quanto l'approvazione di ben trentuno provvedimenti legislativi in dodici anni per regolare ingresso, diritto d'asilo, respingimenti ed espulsioni di stranieri. Una legislazione fondata sulla possibilità di espulsione indiscriminata dello straniero irregolare, spacciatore o badante che sia, ha finito con l'offrire una sola speranza agli stranieri in cerca di una dignitosa esistenza: il mare. Nello spiegare l'inutilità della "risposta carceraria alla irregolarità", Borgna afferma che per favorire l'immigrazione regolare va abbandonato "l'attuale sistema dei flussi prede-finiti e della chiamata diretta nominativa". Perché mai, infatti, un potenziale datore di lavoro dovrebbe assumere una persona sconosciuta residente all'estero? Si deve prevedere, invece, un sistema fondato su "visti di ingresso temporanei per ricerca di lavoro, rilasciati dai nostri Consolati", arricchiti di personale, risorse e abilitati a rilevare le impronte digitali dei richiedenti, per controlli preventivi e successivi. Lo straniero appena giunto in Italia per cercare lavoro, a sua volta, dovrebbe presentarsi presso la questura competente, esibire un documento di identità, rilasciare nuovamente le impronte e rendersi reperibile. In questo modo, contrariamente a quanto adesso avviene, "l'offerta e la domanda di lavoro - sostiene Borgna - si incontrano legittimamente" e "clandestini" sarebbero solo coloro che violano le prescrizioni e il loro reato dovrebbe (e potrebbe) essere seriamente sanzionato. E accettabile la "generosità realisticamente disciplinata" che Borgna auspica in luogo dell'attuale accoglienza "illimitata e socialmente non sopportabile" generatrice di illegalità spesso impunita in quanto sommersa? La risposta - è chiaro - compete innanzitutto alla politica e agli studiosi di diritto umanitario. Ai giuristi, però, specie a quelli di livello e sensibilità eccezionali come Borgna, compete non rassegnarsi alla passività: è per tutti impossibile, infatti, come ha scritto il capo dello stato, rimanere indifferenti dinanzi al sacrificio dei diritti di persone che sognano solo un futuro più dignitoso. Né è accettabile il silenzio dinanzi alle periodiche offese che si rovesciano sulle corti sovranazionali e sui giudici italiani (incluse la Corte di cassazione e la Corte costituzionale), colpevoli di lesa maestà quando, come sempre più spesso avviene, cancellano norme incivili o le interpretano in senso conforme alla nostra Costituzione e alle convenzioni internazionali. La legge, allora, torna ancora una volta al centro di tutto: non leggi immobili, ma dinamiche e capaci di tenere insieme il costume che evolve, l'interazione di culture diverse e il sentimento di apparte nenza a una collettività ben più ampia di quella da ciascuno di noi conosciuta. ■ A. Spataro è sostituto procuratore della Repubblica a Milano e o s § C3 CO