Primo piano Dedichiamo queste pagine al percorso intellettuale e biografico del grande studioso europeo e al suo ultimo libro Da uomo spaesato a eclettico umanista Intervista a Tzvetan Todorov di Santina Mobiglia Nel suo ultimo libro, I nemi- ci intimi della democrazia, lei vede la democrazia minaccia- ta oggi non tanto dai suoi anta- gonisti storici novecenteschi, da possibili ritorni dei totalitarismi, quanto piuttosto dai nemici che la insidiano appunto dall'inter- no, a partire dai suoi stessi fon- damenti spinti a una démesure, a un abuso per eccesso dei princi- pi che la legittimano, fino a rom- perne il delicato equilibrio. An- cora una volta una visione im- prontata a quella "contiguità dei contrari" che ci sembra una co- stante del suo impegno intellet- tuale, evocata in qualche modo fin dal suo ormai classico saggio La letteratura fantastica con la tematizzazione del "doppio" e della "metamorfosi". Vogliamo partire di qui, dai Mr. Hyde che si nascondono nel seno delle democrazie e possono provocarne una metamorfosi? Innanzitutto qualche parola sulla "contiguità dei contrari", di cui può darsi che il lettore non abbia mai sentito parlare. Mi ren- do conto io stesso di essermi sem- pre interessato, fin dagli inizi del- la mia vita professionale, ai casi li- mite in cui una categoria può ri- sultare contaminata dal suo con- trario. Nel mio libro sul fantasti- co, vecchio ormai di oltre quaran- t'anni, mi soffermo sulla frontiera del naturale/soprannaturale: la letteratura fantastica dell'Otto- cento esplora costantemente i passaggi e i rovesciamenti tra i due versanti. In seguito, mi sono interessato a certe figure ambi- gue, nelle vicende della conquista dell'America come della resisten- za al totalitarismo. Può darsi che in questa scelta io sia stato in- fluenzato dalla mia infanzia e ado- lescenza, vissute in un paese tota- litario, la Bulgaria, dove il pensie- ro manicheo era onnipresente. In quell'ottica, tutto il bene sta da una parte e tutto il male dall'altra, il mondo si divide esclusivamente tra "amici" (quelli che la pensano come noi) e "nemici" (che si ve- dono dappertutto). Nel corso del Novecento, la de- mocrazia era effettivamente mi- nacciata da nemici potenti, che si richiamavano a dottrine come il fascismo, il nazismo, il comuni- smo. H fatto che oggi prevalgano fra noi orientamenti favorevoli al- la democrazia non deve impedirci di cercare di capire in cosa consi- steva la seduzione esercitata da quei suoi nemici, né i motivi per cui essa stessa, a sua volta, poteva apparire come un male. Dopo la cancellazione dei regimi totalitari in Europa, il pericolo è accresciu- to dal vedere diffondersi un tono trionfale, un elogio senza sfuma- ture di tutto ciò che fanno gli sta- ti democratici. Questo rischio au- menta con l'evoluzione attuale delle democrazie occidentali, che potrebbero diventare gli affossa- tori dei loro stessi ideali. Nel mio ultimo libro, mi soffermo su alcu- ni dei rovesciamenti subiti dall'i- dea democratica nel mondo con- temporaneo: il messianismo poli- tico, ovvero la tendenza a impor- re il bene agli altri popoli con la forza delle armi; l'ultraliberismo, la riduzione dei bisogni umani ai soli interessi economici e l'assog- gettamento del bene comune alla tirannia degli individui; infine il populismo, con il trionfo della xe- nofobia e dell'esclusiva ricerca di soddisfazioni immediate. Quesd "Mr. Hyde", come lei li ha defini- ti, sono persino più difficili da eli- minare in quanto si richiamano anche loro alla democrazia, ridot- ta per l'occasione a qualche slo- gan semplicistico. La "contiguità dei contrari" è anche all'origine della "tentazio- ne del bene" che lei pone al cen- tro della sua riflessione sul No- vecento come inseparabile dalla "memoria del male" (Memoria del male, tentazione del bene. In- chiesta su un secolo tragico): agli intellettuali sedotti dalle loro stesse idee che promettono il paradiso in terra contrappone le figure esemplari di chi, come Germaine Tillion, "ha saputo at- traversare il male senza prender- si per un'incarnazione del bene", o come Primo Levi ha saputo esplorare la "zona grigia". E dunque qui, nelle sfumature, sui confini incerti tra il bene e il ma- le, che si incardina la sua ricerca. In che senso contrappone la "re- sponsabilità" all'"impegno" co- me compito degli intellettuali? Agli intellettuali si possono ri- volgere delle richieste specifiche. Come chiunque altro, si "impe- gnano" a favore di idee, di cause, di personalità; un gesto, questo, che li accomuna ai loro concittadi- ni. Ma dal momento che nel loro lavoro cercano di fornire un'im- magine lucida di ciò che rappre- senta l'individuo, la società o ad- dirittura l'umanità, e visto che il mondo umano è attraversato da cima a fondo da valori, si può pre- tendere da loro una qualche mag- giore coerenza tra il pensiero e l'a- zione. È in questo senso che do- vrebbero comportarsi in modo "responsabile". Da questo punto di vista, Germaine Tillion è effetti- vamente una figura esemplare. Et- nologa di formazione, quando vie- ne deportata in un campo di con- centramento, utilizza le sue cono- scenze per analizzare ciò che la circonda (è di recente pubblica- zione in Italia il suo libro Raven- sbriick). Uscita dal campo, alla lu- ce della sua esperienza laggiù, tra- sforma il suo modo di praticare l'etnologia o la storia. Una vita da passatore è il titolo del libro in cui lei riattraversa il suo percorso intellettuale, certa- mente singolare e movimentato, per la molteplicità dei temi af- frontati e i continui sconfinamen- ti tra campi disciplinari diversi, ma al tempo stesso fortemente in- trecciato alla sua esperienza bio- grafica: l'"uomo spaesato", da giovane outsider bulgaro a insi- der parigino, ha lavorato a co- struire passerelle tra appartenen- ze, culture, linguaggi, discipline. Quali sono stati i principali croce- via che hanno segnato una svolta nella sua ricerca? In che senso la sua è una testimonianza di come ogni identità sia intimamente plu- rale, inclusiva dell'alterità? Quando arrivai in Francia nel 1963, avevo appena lasciato l'U- niversità di Sofia, dove avevo se- guito studi di letteratura e lingui- stica. Per un bel po' ho continua- to a lavorare in questa direzione, evidentemente con molta più li- bertà. Mi interessavo soprattutto alle strutture narrative, alle moda- lità espressive operanti nei testi letterari. Verso il 1980 si è pro- dotto un cambiamento: ho voluto passare dalle strutture al senso, e inoltre stabilire una continuità tra l'oggetto del mio lavoro e le mie esperienze vissute, in particolare la mia identità di straniero e di emigrato. Ne sono nati dei libri sulla pluralità delle culture come La conquista dell'America o Noi e gli altri. Verso il 1990, la caduta del Muro di Berlino mi ha per- messo di aprirmi a un'altra pro- blematica dalle risonanze perso- denze della cultura contempora- nea, francese in particolare. L'"umanesimo" è una categoria delicata e controversa: vuole spiegare la sua scelta di militanza su questo versante? Quali sono i modelli cui guarda? Quali i peri- coli delle derive "anti-umaniste"? Il pensiero umanista non è di per se stesso politico: si tratta in- nanzitutto di una concezione del- l'individuo, o di un'antropologia, associata a certe scelte morali. Nel mio libro intitolato Le Jardin imparfait [Grasset, 1998], un'e- spressione - quella del "giardino imperfetto" - ripresa da Montai- gne che se ne serve per designare la condizione umana, avevo rite- nuto possibile ridurre a tre i po- stulati umanisti di base. C'è in primo luogo una difesa dell'auto- nomia, sia dell'individuo sia della collettività. C'è anche la scelta di considerare come fine legittimo dei nostri atti l'essere umano in quanto tale, anziché delle astra- zioni come la rivoluzione, il po- nali, quella dei regimi totalitari, che ho affrontato per la prima volta in Di fronte all'estremo. Poi, verso il 2000, ho ancora allargato questo campo d'esplorazione, orientandomi maggiormente al- l'analisi dei pericoli inerenti ai re- gimi democratici stessi, come ho fatto nella Memoria del male o con La paura dei barbari. Ma ho incontrato anche dei "crocevia" di altro genere, ad esempio assu- mendo come oggetto di studio non più i testi ma le immagini, un cambiamento che è avvenuto con il mio libro Elogio del quotidiano. Saggio sulla pittura olandese del Seicento, e che ha tuttora un se- guito, tra l'altro in Goya à l'ombre des Lumières, un titolo che non esiste ancora in italiano. Lei dichiara di essersi scoperto "umanista", quasi un gesto pole- mico contro fanti-umanesimo" in cui vede convergere molte ten- polo, il comunismo o Dio. C'è in- fine l'universalità del genere umano, il riconoscimento di un'eguale dignità per tutti. Le de- mocrazie liberali di oggi si fonda- no implicitamente su una base umanista, anche se la pratica è ben lungi dal seguire sempre la teoria; ma anche lì esiste un peri- colo di rovesciamento, in partico- lare di una riduzione dell'umane- simo a un etnocentrismo: siamo tutti convinti di essere una incar- nazione perfetta dell'universale! La deriva antiumanista è invece propriamente operante negli stati che vogliono mettere una presun- ta legge di Dio al posto delle leg- gi umane. E corrisponde inoltre a certe tendenze filosofiche e arti- stiche della tradizione europea. C'è sempre un'interrogazione morale nell'approccio ai temi che affronta, siano essi antropologici, storici o estetici: posto al centro di Le morali della storia, è un ap- proccio che mette in consonanza sue opere molto diverse, fino a La bellezza salverà il mondo, sul- lo scacco della ricerca dell'assolu- to in letteratura. E una critica al- le pretese delle scienze umane e dell'esperienza estetica di sottrar- si alla responsabilità etica il moti- vo di fondo che dà unità e co- erenza alle sue ricerche? Le scienze umane e sociali met- tono in gioco l'identità stessa del ricercatore, a differenza di ciò che avviene in scienze quali la fisica o la biologia. Un fisico come Hei- senberg, che si era messo al servi- zio dello stato nazista, e uno come Bohr, che era antinazista, pratica- vano la medesima fisica. Non vale la stessa cosa per due storici o due sociologi dalle convinzioni filoso- fiche e politiche opposte, i risulta- ti delle rispettive ricerche non so- no tra loro compatibili. Dunque l'identità di una persona è insepa- rabile dalle scelte etiche che com- pie. Uno specialista in questi cam- pi cerca di stabilire i fatti che stu- dia con la massima obiettività, ma la selezione dei fatti come la loro concatenazione dipendono sem- pre anche da decisioni di cui lui porta la responsabilità. Le scelte estetiche di uno scrittore, di un pittore figurativo hanno egual- mente un significato sul piano eti- co. Se insisto su queste relazioni, è perché il nostro mondo, dominato dal pensiero tecnico e tecnologi- co, che si dichiara neutro su que- sto piano, ci spinge a ignorarle. "Senza Europa niente illumini- smo; e anche: senza illuminismo niente Europa", lei ha scritto a conclusione di Lo spirito dell'Il- luminismo. In quali termini vede questa biforcazione rispetto alle sfide cui si trova di fronte l'Eu- ropa del nostro tempo? Degli elementi del pensiero dell'Illuminismo si ritrovano in tutte le società umane, ma è in Europa, nel corso dei secoli che vanno dal Rinascimento al Sette- cento, che questo pensiero è stato sistematizzato e trasformato in dottrina sociale e politica. D'un tratto, ne è stata modificata l'i- dentità stessa dell'Europa. La sto- ria europea è stata senza dubbio profondamente segnata dalla reli- gione cristiana ma, a partire da al- lora, l'apporto specificamente eu- ropeo consiste nella separazione della chiesa dallo stato, facendo dipendere la religione dalle prati- che individuali e non da una de- cisione pubblica. Di questo prin- cipio si facevano beffe tanto le teocrazie antiche o moderne, quanto le religioni politiche come il comunismo, nel quale era lo stato-partito a decidere ciò che dovevano credere i cittadini. Sal- vaguardare questa conquista è tuttora importante per noi in Eu- ropa, malgrado ci troviamo oggi ad affrontare anche altre sfide, come l'erosione del potere politi- co rispetto alla globalizzazione dell'economia, o la perdita di sen- so del bene comune rispetto alla tirannia degli individui. ■