/VVVVVVVVVVV L!BH£E I AAMAAAAAAA L'INDICE ■■DELLA SCUOLA!* In questo numero riflettiamo sul tema del rapporto tra scuola e potere, nelle sue molteplici declinazioni: storico, recensendo un testo sui profili dei ministri del- l'istruzione; di conflitto di classe, rileggendo in questa chiave le politiche dell'istruzione; organizzativo, presentando due testi sul rapporto insegnanti-dirigenti, ma interrogandoci anche su ipotesi libertarie di "vacanza degli adolescenti dalla scuola" anziché di orientamento ad essa; pedagogico, riflettendo anche sull'im- portanza dell'errore conoscitivo; culturale, in ultima istanza, chiedendoci se la scuola sia chiamata a trasmettere valori e soprattutto quali. Affrontare un tema così ampio comporta innanzitutto mettere a confronto opinioni diverse: apriamo quindi il numero ospitando Giuseppe Vacca, a colloquio con Franco Rositi L'emergenza educativa Dialogo con Giuseppe Vacca di Franco Rositi 4 4 I ' mergenza educativa" è 1 ;una parola d'ordine che può conquistare menti e cuori. Ma può anche restare l'ennesima parola di deplorazione in un mo- mento così pieno di scoramenti come l'attuale. Mi dicono che ha cominciato a essere usata in am- bienti cattolici. Io l'ho sentita la prima volta in tv, in una dichia- razione di Bersani: in quel conte- sto, dove si parla di tutto con estrema brevità, sono restato nel dubbio se veramente Bersani in- tendesse la gravità della sua dia- gnosi. Ho poi letto il suo [di Giuseppe Vacca] articolo su "L'Unità" (del 2012) e vi ho ri- conosciuto il problema che a me come a altri appare centrale nella fase politico-sociale che in Italia si è aperta fin dagli anni ottanta del secolo scorso, anni di "mo- dernizzazione" e di nuovi ceti di- rigenti "rampanti" (forse era lo stesso problema che Pasolini de- nunciava ancor prima; forse era anche sotteso nell'appello di En- rico Berlinguer ad affrontare la questione morale, ma in entram- bi i casi si facevano prevalere le componenti morali della crisi su quelle cognitive): intendo il pro- blema di una diffusa corruzione delle categorie concettuali nelle quali e con le quali si forma l'o- pinione pubblica (estrema tecni- cizzazione dei giudizi sulle sfere di vita prossime e estrema vacua genericità nelle idee sulla cosa pubblica: un po' nel senso in cui già Tocqueville temeva che evol- vesse la cultura comune, o il sen- so comune, nei paesi democrati- ci). Emergenza educativa signifi- ca che tale corruzione degli abiti mentali è arrivata a un livello cri- tico. Può precisare questa dia- gnosi per i lettori dell'"Indice"? Di' 'emergenza educativa" mi è capitato di discorrere più volte, nell'ultimo decennio, in diverse occasioni d'incontro promosse sempre da organizzazioni cattoli- che. Più che come "parola d'ordi- ne", l'ho percepita e concepisco l'espressione come una diagnosi della crisi delle società economi- camente più sviluppate: una dia- gnosi molto lucida, secondo me, anche se sintetizzata necessaria- mente in uno slogan. Per spiegar- mi meglio, ricorro anch'io all'e- sperienza personale. Quell'e- spressione mi ha colpito soprat- tutto quando l'ho sentita coniu- gare, nei discorsi di papa Bene- detto XVI, con una diagnosi an- cora più impegnativa, cioè come parte del discorso sull'e- mergenza antropologica"; e mi ha colpito ancora di più il fatto che, nel penultimo incontro annuale fra il papa e il presidente Napoli- tano, D'emergenza educativa" sia stata evocata da entrambi per af- fermare la necessità della collabo- razione fra stato e chiesa - certo, nell'ovvia distinzione dei ruoli e delle funzioni - nella formazione dell'individuo e del cittadino. Per restare nell'ambito del valore dia- gnostico dell'espressione, l'ulti- mo episodio citato è forse il segno più significativo e più semplice di quanto siano cambiate le struttu- re della modernità. Alludo, ovvia- mente, a quel dato costitutivo della modernità sintetizzato nel- l'assunzione, da par- te dello stato nazio- nale, della formazio- ne dell'individuo e del cittadino come propria prerogativa, sentita e ordinata in alternativa e in con- trasto permanente con il potere che l'e- sercitava prima e non ha mai smesso di rivendicarla: il po- tere delle istituzioni religiose. Se i capi della chiesa e dello stato evocano insie- me il tema del- l'"emergenza edu- cativa" e nessuno, neppure fra le vestali più autore- voli dell'"indignazione" laicisti- ca, grida allo scandalo, allora mi pare che un'intera epoca della "modernità" sia davvero conclu- sa e occorra ripensarne il "di- scorso" dalle fondamenta. Vedo che va al di là di quella crisi dell'intelligenza che propo- nevo come traccia per discutere di emergenza educativa. Insiste- rei ancora un poco sul mio punto di vista. Potrei dire che la crisi dell'intelligenza è una compo- nente essenziale del populismo. In questa luce populismo non si ravvisa solo in zone politiche di estrema destra e di centrodestra, ma anche in estese frange del "popolo di sinistra". Sembra fini- ta l'epoca di quella pedagogia della complessità che fu propria di molte socialdemocrazie euro- pee e che certamente caratteriz- zava il Partito comunista italiano. Ma come è possibile contrastare una collettiva debolezza se prima non si restaura l'autorevolezza di élites educatrici, politiche e non politiche? Come è possibile solle- citare il pensiero della comples- sità nella permanente apologia di una "società civile" che si costi- tuisce contro ogni possibile élite? Provo un notevole disagio di fronte al dilagare della nozione di "populismo" per caratterizza- re le distorsioni della democrazia politica verificatesi in Italia negli ultimi decenni. Il termine ha as- sunto una tale dilatazione seman- tica da aver perso efficacia con- notativa anche a fini polemici, per i quali viene molto spesso adoperato. I sistemi di partito so-" no interdipendenti ed è ovvio che se è "populista" la destra, lo è o lo diviene, magari con altri panni, anche la sinistra. Lei dice non a caso "popolo di sinistra", ma questo lemma, classicamente massimalista, cominciò a essere d'uso corrente negli anni ottanta del secolo passato per designare un fenomeno apparentemente positivo, cioè la tenuta dell'iden- tità comunista a fronte della crisi delle altre identità politiche, mentre era il riverbero di quel postulato della "diversità" con cui il Pei mascherava una cre- scente perdita di funzione nazio- nale. Nelle democrazie plebisci- tarie, verso cui tendono dagli an- ni ottanta quasi tutti i sistemi po- litici europei (non ho spazio qui per motivare analiticamente l'af- fermazione), il "populismo" di- viene un ingrediente necessario e riguarda tutte le formazioni poli- tiche, anche se con valori e fina- lità diverse. Senza funzione ege- monica dei partiti politici, la "de- mocrazia dei cittadini" diviene necessariamente una "nobile" copertura del plebiscitarismo. Nell'economia del nostro dialo- go mi limito, quindi, a dire che il problema riguarda la possibilità di costruire una nuova democra- zia dei partiti, il cui paradigma ri- fletta la profonda trasformazione delle funzioni politiche nazionali nel lungo e contrastato percorso della costruzione della sovrana- zionalità europea. Come e perché questi nostri ragionamenti possono aver va- lore anche a riguardo della con- cezione della scuola e dei suoi orientamenti pedagogici? Penso che potrebbero avere un valore per gli aspetti dell'atti- vità scolastica che riguardano la formazione civile degli italiani. La scuola dovrebbe innanzi tut- to educare, e questa funzione non si può esercitare senza una visione chiara e con- divisa del fatto che educare vuol dire di- rigere. Di questo do- vrebbero essere con- vinti i governanti, prima ancora dei do- centi, poiché la fun- zione dirigente gli insegnanti non se la possono attribuire da soli, come singoli o come "corpo". La formazione dell'indi- viduo e del cittadino non spetta solo alla scuola, ma è suo compito eminente. Da questo punto di vista educare, nella pie- na libertà per gli insegnanti di scegliere le mediazioni culturali, vuol dire preparare a vivere se- condo valori condivisi che "qual- cuno" deve pur stabilire o quan- to meno proporre. Questo "qual- cuno" non può essere altri che chi assolve la responsabilità di governo, e nell'esercitarla deve compiere scelte fondamentali di ordine intellettuale e morale. Mi spiego con qualche esempio: educare gli italiani di domani vuol dire dare loro coscienza del significato della differenza di ge- nere, del valore dell'Europa co- me "potenza civile", dell'unita- rietà della coscienza nazionale, come coscienza morale, politica e religiosa degli italiani. Educare a tali ideali non è possibile senza inculcare la consapevolezza stori- ca della loro origine e del loro si- gnificato. Educare allo spirito cri- tico vuol dire, in ultima analisi, educare alla storia: al significato storico di tutto quanto si propo- ne all'apprendimento e al discer- nimento del suo valore perma- nente o transeunte. La decisione su quest'ordine di problemi spet- ta all'autorità politica. Per finire e per chiarire alcuni passaggi del suo discorso (non me li attendevo (ma li considero meritevoli di riflessione): po- trebbe indicare alcune linee di azione che a suo parere potreb- bero essere adatte a fronteggia- re questa emergenza educativa? Chi potrebbe assumere questo compito, e come? Il punto di partenza potrebbe essere un progetto per una società educante. L'"emergenza educati- va" origina dalla crisi delle due principali istituzioni preposte al- l'educazione: la famiglia e la scuo- la. Non è questa la sede per ap- profondire le cause di tale crisi, ma penso che la missione educa- trice della famiglia e della scuola non possa essere rigenerata senza un'alleanza fra tutte le "agenzie" che concorrono alla formazione intellettuale e morale dei cittadini: oltre alla scuola e alla famiglia, le organizzazioni religiose, i mezzi di comunicazione sociale, l'industria culturale. La loro "alleanza" do- vrebbe avere come punto di rife- rimento un'idea di "società edu- catrice" e condividere quindi il concetto che, nell'esercizio delle loro funzioni, tutte le "agenzie" citate concorrono a formare quel- l'insieme di ideali di vita, forme di coscienza e comportamenti che determinano l'atmosfera morale in cui si svolgono la vita e le rela- zioni fra gli individui. A me pare che il modo in cui quelle "agen- zie" interagiscono attualmente generi principalmente disarmonia morale e fragilità psichica e intel- lettuale. So bene che questo non dipende solo da loro, ma, per li- mitarmi al terreno del nostro dia- logo, andrebbe promossa innanzi tutto fra loro un'alleanza che, pri- ma ancora che su un progetto educativo, dovrebbe fondarsi sul concetto che non vi sono attività umane che non istituiscano rela- zioni pedagogiche. Sarebbe bene, quindi, prenderne atto e decidere insieme a quali principii e a quali valori potrebbero essere orienta- te. A promuovere il progetto do- vrebbe essere chi governa, ma non solo. ■ G. Vacca è presidente della Fondazione dell'Istituto Gramsci F. Rositi è professore emerito all'Università di Pavia