>WWWWW\ N-10 LKffiKE v /V\/VWVWW\ La tabellina del ranking di Fiammetta Corradi Tra formazione e trasformazione di Massimo Pilla LA VOIE DE L'EXCELLENCE ACADEMIQUE La création d'universités de recherche de rang mondial a cura di Philip G. Altbach ejamil Salmi Banque Mondial, 2012. Come già Philip Altbach qua- si un decennio fa ebbe a ri- levare, il termine world-class uni- versity è divenuto un motto pub- blicitario, e ormai "tutti voglio- no un'università di rango mon- diale, anche se nessuno sa cosa sia e nessuno sa come fare ad averla". A quest'ultimo interro- gativo prova a rispondere il pro- getto di ricerca commissionato dalla Banca Mondiale, curato dallo stesso Philip Altbach e da Jamil Samil, autori di altre re- centi ricerche empiriche dedica- te al ruolo delle research univer- sities in Asia e America Latina (Altbach e Balan, 2007) e alla sfi- da di istituire nuove università di eccellenza (Samil, 2009). Il volume collettaneo che ne il- lustra i risultati, pubblicato nel 2011 in inglese e nel 2012 anche in francese con il medesimo tito- lo - "La via verso l'eccellenza "- affronta il tema da una prospetti- va piuttosto originale, analizzan- do e confrontando i percorsi isti- tuzionali di undici università pubbliche e private in nove paesi in via di sviluppo (Cina, Hong Kong, Repubblica coreana, In- dia, Cile, Messico, Russia, Nige- ria e Malesia), al fine di mostrare le vie percorse e percorribili per "scalare" le classifiche internazio- nali (rankings), come quelle pro- dotte dalla Shanghai Jiao Tong University e dal "Times Higher Education Supplement". Per una volta l'attenzione scientifica dei sociologi di higher education si sposta così dalle posizioni apicali dei rankings, come noto stabil- mente occupate da Cambridge, Oxford, Harvard, Yale e altre università d'élite anglosassoni, al- lo struggling middle, ovvero a quegli atenei dislocati in altre zo- ne del mondo che pure si sforza- no di percorrere la "via verso l'eccellenza", o meglio, di "sali- re" le impervie scale delle classifi- che, per guadagnare posizioni e insieme rilievo internazionale. L'originalità della prospettiva e il valore dei risultati empi- rici raggiunti (di seguito ricordati) non devono tuttavia impedire di evidenziare un'identificazione ir- riflessa (o almeno non sufficiente- mente argomentata) tra riconosci- mento di eccellenza di un ateneo e top positions nelle classifiche: anche senza avventurarsi in pro- blematizzazioni del ruolo che la valutazione da parte dei pari (peer review) riveste nell'individuazio- ne dell'eccellenza accademica (in proposito, si consiglia il bel libro di Micheal Lamont,' How Profes- sors Think: Inside The Curious World of Academic Judgement, 2009) o in analisi più o meno po- lemiche delle interrelazioni laten- ti tra conoscenza, valutazione e potere (per esempio la critica svi- luppata nel 2006 da Richard Mùnch nei confronti dell'Exzel- lenzinitiative tedesca), gli autori avrebbero potuto almeno avverti- re il lettore dell'esistenza di una vasta letteratura da anni divisa sul giudizio di affidabilità dei rankings, i quali tra l'altro consi- derano solo alcuni aspetti dell'ec- cellenza accademica (per esempio la qualità della ricerca), trascuran- done completamente altri non meno importanti (per esempio la qualità della didattica). Nonostante questo limite, l'a- nalisi comparata degli studi di ca- so approda ad alcuni interessanti risultati. Il più degno di nota (e magari meritevole di ulteriori ve- rifiche empiriche) è la constata- zione che sia più facile e più rapi- do percorrere la via dell'eccellen- za fondando un'università ex nihilo, piuttosto che tentando di migliorare progressivamente la qualità di un'università già esi- stente. Lo confermerebbero le pur differenti vicende dell'Indian Institute of Tecnology, della Na- tional University di Singapore, della Hong Kong University of Science and Technology nonché della Pohang University of Scien- ce and Technology, fondate negli anni ottanta o no- vanta con l'obiet- tivo dichiarato di ottenere in pochi anni lo status di world class uni- versities. I motivi del vantaggio competitivo dato dalla fondazione ad hoc sembrano riconducibili alla possibilità di dif- ferenziare l'offer- ta formativa e so- prattutto di spe- cializzare la ricer- ca rispetto al- l'"ecosistema" del settore terzia- rio di istruzione nazionale (il co- siddetto latecomer advantage). Oltre a ciò, lo studio rivela che la via verso l'eccellenza può esse- re percorsa più rapidamente se sono all'opera alcuni fattori ca- talizzanti, ovvero se un ateneo si predispone a implementare par- ticolari policies, tra cui la scelta di adottare l'inglese come lingua ufficiale dell'ateneo o di specia- lizzarsi in aree di ricerca scienti- fica di nicchia, soprattutto nelle scienze applicate e ingegneristi- che. Fattore accelerante sarebbe anche la "buona pratica" del henchmarking con altre univer- sità prima nazionali e poi inter- nazionali, adottata con successo dalla Shangai Jiao Tong Univer- sity; così come quella del "ri- chiamo dei cervelli" dall'estero, utile, pare, per garantire in tem- pi rapidi alle università dei paesi in via di sviluppo un corpo do- cente di ottima qualità, formato- si nelle migliori università anglo- sassoni. Infine, confermando la validità di un modello teorico già proposto da Salmi in un'ope- ra precedente (The Challange of Establishing World-Class Uni- versities, 2009), l'analisi mostra che le condizioni necessarie - ma non sufficienti - per percor- rere la via verso l'eccellenza sa- rebbero tre: la concentrazione dei talenti (sia a livello di corpo docente che a livello di corpo studentesco), abbondanti risorse finanziarie sia pubbliche che pri- vate, una buona e stabile gover- nance d'ateneo. Nel campione d'analisi si tro- vano casi in cui tali condizioni risultano particolarmente ac- centuate. Per esempio, l'Indian Institute of Technology ha reso così severi i criteri per l'ammis- sione degli studenti da risultare di gran lunga più selettivo di Harvard (con un tasso di accet- tazione pari all'I,6 per cento contro il 6,9 per cento; e più di 600 domande per un posto); le università cinesi sono state lette- ralmente inondate di investi- menti (attraverso i famosi pro- grammi 211 e 985), tanto che il numero degli atenei cinesi in- clusi tra le prime 500 università del mondo (secondo il ranking Arwu) è passato da 14 nel 2003 a 24 nel 2009; la Hong Kong University of Science and Tech- nology e il Monterrey Institute of Technology, pur inseriti en- tro contesti istituzionali molto diversi, devono il proprio suc- cesso soprattutto alla stabilità e alla durata del loro sistema di governance, garantite dalla lea- dership lungimirante di rettori o presidenti rimasti alla guida del- l'istituzione per decenni. Il caso della Ibadan University nigeria- na, la cui rapida ascesa nel ranking Thes è stata brusca- mente interrotta dalla crisi poli- tica interna, dimostrerebbe in- vece - in modo assai prevedibi- le, direi _ che tali condizioni fa- voriscono la scalata entro i rankings internazionali se, e so- lo se, il clima politico ed econo- mico nazionale non vi frappone ostacoli insormontabili da parte di istituzioni singole, e se il pae- se offre e garantisce all'ecosiste- ma del settore terziario di istru- zione superiore servizi e infra- strutture "minime" per la ricer- ca, quale per esempio una soli- da e veloce rete internet, un ri- sorsa di cui le università nigeria- ne per lungo tempo non hanno potuto usufruire. Il volume è dunque un classi- co libro-rapporto: stile piano, chiarezza espositiva, qualche in- teressante risultato empirico. Il lettore che apprezza sottili pro- blematizzazioni e/o buone argo- mentazioni non rimpiangerà che ancora ne manchi una traduzio- ne italiana. ■ fiammetta.corradi@unipv.it F. Corradi insegna teoria sociologica all'Università di Pavia L'UNIVERSITÀ E LA SUA RIFORMA a cura di Giuseppe Bertagna e Vincenzo Cappelletti pp. Ili, €13, Studium, Roma 2012 Riflettere sull'università in Italia, soprattutto alla luce della legge n. 240 del 2010 rela- tiva alla riforma del sistema uni- versitario, implica la ridefinizio- ne del suo ruolo, della funzione degli studi universitari e la ne- cessità di soffermarsi su questio- ni rilevanti come il confronto fra i diversi modelli europei di uni- versità, il rapporto fra cultura umanistica e scientifica, gli inve- stimenti nella ricerca, i legami fra università, società ed econo- mia: questi sono, in estrema sin- tesi, alcuni dei temi esaminati nei sette autorevoli interventi raccolti nel volume L'università e la sua riforma. Di particolare interesse è so- prattutto l'ultimo intervento, di Carla Xodo, Formare i formato- ri: la pedagogia di fronte alle trasformazioni dell'università, nel quale si evidenzia che tra i compiti dell'università odierna figura la certificazione delle competenze e dei requisiti dei formatori. Nella recente rifor- ma, nonostante la pedagogia abbia un peso rilevante nella formazione di professionalità specifiche come quelle educati- ve, si delinea uno scenario sfa- vorevole per questa disciplina che tende a essere emarginata a favore di quelle tecniche, consi- derate prioritarie per una cul- tura professionale specifica. Xodo riflette sulle cause di questa crisi, sulle strategie at- tuabili per arginarla, sulla ne- cessità di riscoprire la pedago- gia come sapere strettamente connesso all'intervento educa- tivo, sul legame fra didattica e pedagogia, sotto un triplice aspetto: istituzionale, intra-isti- tuzionale, professionale. L'analisi dell'autrice ci con- duce nei meandri di un discorso articolato e complesso: in primo luogo, il rapporto fra pedagogia e didattica è ambiguo soprattut- to considerando che, ancora og- gi, nell'ambito delle scienze del- l'educazione non esiste una de- finizione univoca in grado di stabilire l'identità epistemologi- ca di queste due discipline. Pa- rimenti, è difficile inquadrare la professione del "formatore": si tratta infatti di un esperto che si muove in ambiti pluralistici, de- ve saper coniugare molteplici competenze (metodologico-di- dattiche ma anche psico-peda- gogiche, gestionali, organizzati- vo-relazionali) e, a seconda del- le richieste cui deve adempiere, svolgere attività variabili come la progettazione, la realizzazio- ne, la valutazione di un proget- to formativo. Lo stesso concetto di valuta- zione è polisemico e la sua pra- tica è legata ai metodi e agli strumenti utilizzati, agli svilup- pi degli studi sui processi d'in- segnamento-apprendimento e sul curricolo: ciò è evidente, ad esempio, alla luce della distin- zione tra valutazione quantita- tiva, legata al modello funzio- nalista, e valutazione qualitati- va legata al modello fenomeno- logico. Nel primo caso, ai fini di una valutazione coerente e priva di ambiguità, è necessa- rio stabilire preliminarmente degli obiettivi (indicati anche come comportamenti attesi) at- traverso la progettazione di un curricolo, o piano educativo. La valutazione quantitativa consiste nella verifica dei risul- tati di un processo di appren- dimento eliminando gli aspetti della soggettività, quantifican- do la corrispondenza fra gli obiettivi attesi e i risultati otte- nuti: in questo senso, è attenta al prodotto. Invece, nell'ap- proccio fenomenologico, il curricolo può essere inteso sia come documento scritto che come esperiehza vissuta; la va- lutazione qualitativa è perciò incentrata sui processi di ap- prendimento di un soggetto at- tivo, inserito in un preciso con- testo, in relazione con altri in- dividui, protagonista del pro- prio percorso formativo, non inquadrabile entro rigidi sche- mi di comportamento. La distinzione fra valutazione quantitativa e qualitativa potreb- be indurci a pensare a una dico- tomia inconciliabile fra questi due orientamenti epistemologi- ci; eppure, senza una loro op- portuna integrazione e il corret- to utilizzo di strumenti di valuta- zione adeguati al contesto e atti ad assicurare la validità e l'atten- dibilità delle rilevazioni, non si potrebbe garantire una visione globale dei risultati maturati e dei processi attuati nell'ambito di un percorso formativo. Un ragionamento speculare potrebbe essere formulato rela- tivamente al binomio didattica- pedagogia: la mediazione della didattica è necessaria per indivi- duare in una data disciplina le conoscenze basilari e le gerar- chie concettuali che è necessario assimilare e saper organizzare; contemporaneamente, all'inter- no di una società in continua trasformazione, di un mercato del lavoro sempre più competi- tivo, soprattutto di fronte a si- tuazioni indeterminate e impre- viste i meccanismi automatizza- ti, la cultura nozionistica e la "razionalità tecnica" non sono più sufficienti. In questo senso, la pedagogia deve contribuire a spostare l'attenzione dai proces- si informativi alla conoscenza del loro funzionamento, soste- nendo lo sviluppo della "razio- nalità riflessiva" e del "pensiero creativo". Ciò è ancor più ne- cessario nell'ambito di profes- sioni, specialmente quelle edu- cative, nelle quali è elevato il grado di complessità, impreve- dibilità e interdipendenza fra gli attori coinvolti nel grande "gio- co" della formazione e della tra- sformazione. ■ massimo_pilla§ fastwebnet.it M. Pilla studia filosofia e scienze sociali all'Università di Pavia