i* M?ù.A F, * V*7ìT Le ragioni del successo in editoria Non tutti i best seller sono uguali di Luciano Genta Da quando si pubblicano le classifiche dei libri più venduti (cominciò Tuttolibri nel 1975 con le rilevazioni settimanali della Demoskopea) ricorrono sempre uguali le polemiche sulle "catti- ve letture" degli italiani: si lamenta che abbiano prevalso il mercato, il consumismo, la produzione di "generi bassi", a scapito della letteratura d'au- tore, della qualità dei testi, del gusto estetico. Per reazione, si è cercato in più occasioni di contrap- porre delle "anticlassifiche" elaborate da lettori e studiosi esperti: lo propose Giuliano Vigini, gran mago dei numeri editoriali (su "Vita e Pensiero", 2008), l'ha fatto, con altri, Andrea Cortellessa, in Rete (www.pordenonelegge.it) e su "Alfabeta 2". ET opposto estremo al "mi piace" dei lettori che in Internet sostituisce il giudizio del critico e come tale viene usato dagli editori (ad esempio nella pubblicità al best seller di Gramellini Fai bei sogni, una pagina mosaico di sms "anonimi"). C'è alla base di queste polemiche una confusio- ne: si attribuisce, di fatto, alle classifiche un giudi- zio di "valore" mentre esse sono soltanto uno stru- mento di misurazione delle quantità. Non ci dico- no quali sono i libri più belli o importanti, ma cal- colano la diffusione dei titoli più comprati, il che non significa nemmeno siano i più letti. L'equivo- co non si pone, per dire, nella critica gastronomi- ca: nessuno pensa che i ristoranti più affollati sia- no i migliori, non si confondono i McDonald's con le trattorie Slow Food, non si valutano i cuochi con il fatturato dei gestori. Lo stesso si dica per tutti consumi culturali, dal cinema al teatro, dai concerti alle mostre: biglietti e code indicano il ri- sultato economico non la riuscita artistica. Dun- que le classifiche non servono ai critici del- la letteratura (o della saggistica) ma agli ad- detti al marketing delle case editrici per programmare tirature e ai sociologi dei consumi culturali per analizzare tendenze e domande dei lettori. Le classifiche sono il dito che indica la luna, il termometro e non la febbre. Vero è che di esse sempre più l'e- ditoria e l'informazione giornalistica hanno fatto un uso strumentale, propagandistico, sostituendo al giudizio di valore il dato di vendita, cercando di convincere il lettore che i primi in classifica siano anche i mi- gliori, i più degni di interesse, gli imperdi- bili. Basti considerare com'è cambiata non solo la pubblicità, ma anche la tecnica de- gli annunci redatti dagli uffici stampa per librai e giornalisti: prima ancora dei minimi dati informativi su autore e testo si sban- dierano mirabolanti cifre di vendita, travasate or- mai in evidenza anche nei risvolti e nelle fascette delle copertine. Ma questa è una responsabilità delle persone, non una colpa delle statistiche. Compete al critico analizzare e spiegare, valutare e giudicare l'opera, a prescindere dalla sua diffusio- ne. In parallelo, a chi interessa, si pone il problema di comprendere il come e il perché della diffusio- ne di un'opera, di verificare quali siano le cause esterne o le ragioni interne del successo. Senza pregiudizi né snobismi. E quel che fa da tempo Vittorio Spinazzola, do- cente universitario e critico letterario, pioniere e maestro di studi su II successo letterario (titolo di una ricerca da lui coordinata, edita da Unicopli nel 1985) e su "produzione letteraria e mercato cultu- rale", sottotitolo di una rassegna-bilancio annuale di autori, tematiche, opere, ecc. nata a fine anni settanta con il Saggiatore (edita poi da Milano Li- bri), intitolata icasticamente Pubblico e diventata negli anni novanta Tirature, passando attraverso Einaudi e Baldini & Castoldi, per tornare poi al Saggiatore: allineati sullo scaffale i volumi costitui- scono un ricco scandaglio di indagini e cronache, documentano oltre un trentennio di vita editoriale e culturale, seguendo le mutazioni del panorama librario, senza preclusioni di livelli alti o bassi, al- largando lo sguardo dalle librerie alle biblioteche alle edicole, sezionando narrativa e saggistica, testi scolastici e fotoromanzi, con attenzione ai generi "emergenti" (nell'ultimo Tirature 2012, ad esem- pio il tema dell'anno è il graphic novel), avendo come baricentro il rapporto dialettico tra l'offerta del produttore e la domanda del consumatore, che trova il suo esito nella fruizione dell'opera. Con un impianto teorico da "materialista stori- co", agli inizi, come volevano i tempi, più rigido, via via sfumato e reso duttile ma mai abbandona- to, Spinazzola ha assunto, di fatto, il ruolo di av- vocato del "classificadipendente", ha perseguito con ostinazione coerente la sua difesa del lettore accusato di abboccare alle "cattive letture" impo- ste dal mercato, cercando di capire e spiegare le sue scelte e preferenze: non solo attraverso la so- ciologia, ma applicandosi, da critico, all'esame "anatomico" del "corpo del reato", affrontando nel merito le opere e gli autori di successo, v E quanto ha fatto anche nel suo più recente la- voro, Alte tirature. La grande narrativa d'in- trattenimento italiana (pp. 192, € 19,50, Il Saggia- tore- Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano 2012). Nel capitolo d'avvio ripercorre i cambiamenti socioculturali dagli anni sessanta a oggi, individua l'origine di un "principio di leggi- bilità agevole", affermatosi in relazione ai linguag- gi dei grandi mezzi di comunicazione di massa, che ha rinnovato i generi più diversi, dal rosa all'eroti- co, dall'umoristico al poliziesco, innestando nella loro specifica tradizione, di volta in volta, ondate di innovazione, liberalizzazione, trasgressione, av- viando con il post Sessantotto una "narrativa del- l'intrattenimento engagé", progressivamente "smorzata" ma non spenta, piuttosto defluita, già a partire dagli ottanta e soprattutto poi dal 2000, nel dominio di una "lucidità tecnicamente control- lata", tesa a soddisfare "il desiderio del godimento di emozioni forti, molto forti", il tutto elaborato con "professionismo". In conclusione Spinazzola ribadisce il proprio metodo, da sempre: "Calarsi nella mentalità di coloro ai quali i libri sono pia- ciuti, capire le loro attese consce o inconsce, raffi- nate o dozzinali": leggere per "intrattenimento" non è un vizio riprovevole. Dunque occorre "prendere sul serio" le opere che hanno successo, perché "il successo non è l'editore, per quanto bravo e furbo, a crearlo dal nulla"; esaminarle con gli stessi criteri usati per i "capolavori indiscussi", distinguere e graduare, perché i best seller non so- no tutti eguali; riconoscere per ogni best seller sti- le e progetto d'autore. Tra l'inizio e la fine, quel che più conta è proprio l'applicazione del metodo a dodici titoli scelti co- me casi editoriali emblematici: dall'umorismo al giallo, dai ritratti generazionali agli autoritratti d'autore, "saggi brevi" che un insegnante delle su- periori potrebbe usare e proporre a modello, per- ché si procede, sinteticamente e con linearità, a un'analisi, anche tecnica e retorica, del testo - struttura, lingua, stile oltre a personaggi e trama - con adeguati "prelievi" e giudizi diretti, precisi, in- cisivi. Spinazzola vuole mostrare come ogni volta un'alta tiratura risponda a un bisogno di autorico- noscimento del lettore, adempiendo al già citato principio di leggibilità. E lo fa "sporcandosi le ma- ni", in contrapposizione allo spirito castale dei let- terati che se la sbrigano liquidando i reietti best seller con la celebre battuta riservata da Fantozzi alla Corazzata Potemkin, come ancora di recente ha fatto Pietro Citati sul "Corriere della sera", in- vitando a non farsi del male leggendo i polpettoni premiati dalle classifiche. Anche questa volta i più si sono confrontati con Spinazzola criticandone metodo e criteri e di lì muovendo per esporre la propria visione della let- teratura, ma senza esprimersi nel merito dei suoi giudizi sulle singole opere. Confermando con ciò l'accusa loro rivolta da Spinazzola: un program- matico, aprioristico disinteresse per i consumi bas- si di massa, colpevoli non solo di alimentare una brutta lingua e un cattivo gusto, ma di emarginare nel mercato la vera, alta letteratura. Salvo poi di tanto in tanto contraddirsi, con amicali sponsoriz- zazioni, specie in occasione dei non meno vitupe- rati premi, di autori e titoli, che spesso non si rive- lano affatto "migliori". Questa ormai pluridecennale, reiterata e immo- bile querelle, ha come nocciolo duro l'irrisolta questione del canone, del giudizio di valore. Que- stione che Spinazzola affrontò fin dall'inizio (si veda l'introduzione a Pubblico '79) sottolineando "la difficile intesa su una scala di priorità, (...) lo stento della critica a dare conto ordinato dei fe- nomeni letterari" che coinvolgono "strati di frui- tori come non mai in passato". Se non è più rico- nosciuta una cattedra unanime del bello e del brutto ed è "subentrato un relativismo pressoché incontrollabile", allora diventa più che mai ne- cessario misurarsi sul campo dell'inter- pretazione, accettando che ogni comunità di lettori, ogni fascia di fruitori abbia di- ritto a esprimersi, di fatto, in rapporto ai propri bisogni di una lettura che non si identifica di per sé con la letteratura: e "nessun giudizio di valore può pretende- re di assurgere a oggettività sovratempo- rale", oltre il contesto storico e sociale. Chi ritiene di poter ripristinare un canone - seguendo il Manifesto del nuovo reali- smo lanciato da Maurizio Ferraris (Later- za, 2012) - non dovrebbe esimersi dall'e- splicitare e motivare il giudizio di valore, qualunque esso sia, sui prodotti che più incidono su formazione del gusto, lin- guaggio e immaginario del pubblico. Indicare perché vale o non vale la pena di leggere un libro sarebbe un servizio es- senziale soprattutto in funzione dell'insegnamento scolastico, anch'esso orfano di certezze, della sua lista di indiscussi classici e sempre più propenso o rassegnato a inseguire e proporre agli studenti au- tori e titoli già classificati dal mercato come con- sanguinei e coetanei dei loro studenti. E sarebbe un servizio anche per gli operatori delle bibliote- che di pubblica lettura, specie le piccole e medie, assillati per moltiplicare il numero dei prestiti, pe- ricoloso parametro della loro professionalità, con molteplici acquisti di best seller, anche minimi e infimi, a scapito di letture considerate troppo im- pegnative e di nicchia, dunque inutili per la "pa- gella" della biblioteca. Chi critico non è, ma semplice osservatore dei consumi certificati dalle famigerate classifiche, non può che limitarsi a circoscrivere il problema. Ma una rivista come "L'Indice", memore di Cases e De Federicis, ha forze e voci più che sufficienti per affrontarlo e svilupparlo, non in astratto, in teoria, bensì nella pratica delle sue scelte, nel con- fronto delle opere. Alte tirature potrebbe diventa- re una buona testatina di pagina o sezione: qua- lunque cosa poi si pensi e si scriva, sarebbe la ri- sposta più consona alla "provocazione" di Spinaz- zola. E la più utile per chi fatica, nel proprio lavo- ro, a promuovere la lettura. ■ luciano.genta®lastampa.it L. Genta è giornalista