I canoni nazionali come coscienza archeologica e icone dell'archivio europeo Il segno della cenere e del lutto di Anna Chiarloni Il libro di Giuliana Benvenuti e Remo Cesera- ni, La letteratura nell'età globale (pp. 243, € 15, il Mulino, Bologna 2012) affronta in cin- que agili capitoli, corredati da un'ampia biblio- grafia, una domanda quanto mai attuale: qual è la funzione della letteratura in un mondo che, a torto o a ragione, siamo ormai avvezzi a definire globalizzato? Si può ancora parlare di letterature nazionali o siamo ormai in un'epoca che vede realizzata l'aspirazione goethiana a una Weltlite- ratur? E ancora: nel circuito di una poesia uni- versale - che peraltro minaccia di essere preva- lentemente anglofona - qual è il destino delle al- tre lingue? Merito degli autori è di esporre un'ar- ticolata rassegna, aggiornata al 2011, delle varie posizioni critiche, dall'europeismo cristiano di Novalis alla prospettiva transnazionale di Erich Auerbach, fino alla teoria postcoloniale di Ed- ward Said e agli studi di genere di Gayatri Spi- vak. Quella che emerge chiaramente, soprattutto a partire dal 1989 con la fi- ne dei blocchi contrappo- sti, è l'immagine di un mondo in movimento. Gli elementi portanti di una tendenza alla conver- genza globale sono noti: dalle grandi migrazioni etniche alla progressiva dilatazione della rete in- formatica; dalla delocaliz- zazione del lavoro alla mondializzazione della fi- nanza (e si potrebbe ag- giungere la caotica migra- zione del pattume: è di questi giorni la notizia di un rottame di motociclet- ta giapponese approdato, fluttuando attraverso l'o- ceano, sulle coste statuni- tensi). In un simile conte- sto, con il progressivo uniformarsi dei mercati e degli stili di vita nella co- siddetta società "liqui- da", prospera un'indu- stria culturale sempre più lesta a fabbricare prodot- ti omogeneizzanti desti- nati a un planetario in- trattenimento di massa. Di qui la domanda di fon- do, che è poi la spina dor- sale del volume: può la letteratura, e più in ge- nerale l'arte, arginare l'appiattimento omolo- gante che minaccia di spazzar via i tradizionali "valori" umanistici? E ancora: cosa s'intende oggi con il termine "valori occidentali" dopo il clamoroso ribaltamento di prospettiva operato da Said nell'ormai lontano 1978 con il suo Orientalismi Nel percorso di Benvenuti e Ceserani si colgo- no le diverse risposte dei Cultural Studies. Alcu- ne proposte rivelano una posizione difensiva ai sommovimenti migratori successivi alla caduta del Muro di Berlino. Né si può d'altra parte ne- gare, sia detto per inciso, la complessità del pro- blema che hanno dovuto affrontare fin da allora molte democrazie europee: imporre agli immi- grati la cultura del paese d'accoglienza o rispet- tare le loro radici? "Leggano Dante!" ricordo che tuonava Agnes Heller in un seminario tori- nese dei primi anni novanta. Di analogo parere era, dall'altra parte dell'oceano, Harold Bloom, con la sua difesa a spada tratta del canone occi- dentale (The Western Canon, 1994), mentre Pa- scale Casanova, sulla traccia di Pierre Bourdieu, proclamava una (eurocentrica) République mon- diale des lettres (1999). Ma nel frattempo, in un pianeta in continuo movimento, intellettuali di altre aree geografiche prendevano la parola sulla scena culturale del mondo. Ad esempio Gayatri Spivak, nata a Calcutta e docente alla Columbia University. Attraverso la sua critica postcolonia- le parlava il Sud della terra - accusando con vo- ce di donna le accademie occidentali di egemo- nia imperialista, ossia di un'ostinata percezione àé\Taltro come eterno subalterno. Merito di questo compendio è di esporre con chiarezza comparativa le strategie discorsive di una rigogliosa messe di studi culturali, gender e postcoloniali. Nell'insieme si ha la sensazione di una progressiva "denazionalizzazione" della let- teratura - con i suoi impliciti riflessi sui canoni scolastici - a favore di uno sconfinamento e di un'incessante ibridazione di linguaggi e culture. Si andrebbe cioè verso un umanesimo planeta- rio, un'auspicata "socialità universale". Un simi- le orientamento è certamente utile a debellare il latente fanatismo nazionalista che ancora serpeg- gia nelle nostre contrade. Lo stesso Ceserani è stato a suo tempo pioniere, con Lidia De Federi- Un,equivalen2a in discussione di Franco Marenco hhhhhi Una questione si è aperta da tempo negli stu- di letterari, e resta da noi in larga parte ine- vasa: la scrittrice vietnamita (una dei boat peo- ple) profuga in Canada che scrive in francese appartiene alla letteratu- ra vietnamita, canadese o francese? La ricerca odierna risponde agitan- do l'etichetta di "fran- cofonia", che lascia nel vago, o meglio disperde del tutto, il senso di una collocazione nazionale. E un numero sempre maggiore di autori con- temporanei si trovano in questa condizione, del resto ampiamente dis- cussa dai teorici del "postcolonialismo" (Said, Chakrabarty, Bhabha), della "cultura nomade" (Deleuze e Guattari) ecc. Oggi scrivono in inglese uomini e donne dei cinque continenti, e il miglior romanzo sull'edu- cazione nella Germania di Hitler è stato scritto da un americano in francese. Se una lingua può esprimere più identità nazionali, un'identità na- zionale può a sua volta esprimersi in più lingue, com'è oggi il caso proprio del Canada, del Su- dafrica, della Svizzera ecc. Tuttavia la questione rimane, e la soluzione non è pacifica: c'è chi pensa che la coinciden- za fra lingua, letteratura e nazionalità, antico ca- vallo di battaglia delle storie letterarie, vada conservata per difende- re proprio la lingua e la Hi Mi^BIAs' tradizione letteraria di _ un paese, e con esse la tìj Sii MSFV" | sua identità, contro ogni antistorica diaspora o tentazione disgregatri- | ce; mentre altri ritengo- no che tale coincidenza possa essere messa in discussione allargando lo sguardo a nuove real- tà e nuovi metodi di indagine. Da parte sua, l'Accademia delle Scienze di Torino ritiene utile porre il problema, a discutere il quale ha chiamato studiosi dell'una e dell'altra persua- ► cis, di quella fertile apertura sul mondo rappre- sentata da 11 materiale e l'immaginario (1978), l'opera che con i suoi dieci volumi resta un labo- ratorio insostituibile di analisi comparata dei te- sti. A ben guardare anche sul piano della teoria filosofica europea la ricerca ha privilegiato a lun- go la fondazione comunitaria in quanto, per dir- la con Habermas, è la democrazia che conta, non lo stato-nazione, che, anzi, si vorrebbe liberato dalla "custodia d'identità". Sono buone intenzioni ma non risolvono a mio parere una contraddizione di fondo. Perché, fatta la dovuta dichiarazione di tolleranza universale, rispetto della differenza, volontà di sprovincializ- zare culture e linguaggi ecc., un dubbio resta. Ossia che un'unificazione totalizzante, se non addirittura forzata, delle diverse culture - e alla fine degli stessi canoni letterari - comporti una perdita delle singole peculiarità nazionali. Un ri- schio ben illustrato dal terzo capitolo, là dove si cita Christopher Prendergast, francesista del King's College: "L'impossibilità di leggere il testo nelle sue molteplici relazioni con l'esperienza vissuta, nelle scelte formali, nella tessitura verba- le, nelle tecniche di scrittura che lo caratterizza- no determina una perdita essenziale. Perdere tutti questi aspetti significa infatti perdere la let- teratura: cosa diventa la world literature se man- ca il soggetto?". È una posizione che condivido, tanto più se si scende nella concretezza della realtà scolastica. In sintesi: quanto Dante e Pe- trarca, quanto Levi o Montale dovremmo toglie- re dal canone (già orbo della poesia dialettale) per fare spazio alla letteratura di altri paesi, o ad- dirittura di altri continenti? La discussione è in corso. Proviamo a definir- ne i termini limitandoci al quadro europeo. Affermare che peculiarità e differenza sono una ricchezza non significa necessariamente ca- dere in un bieco localismo, al contrario possono essere proprio le rispettive letterature nazionali a fare memoria costituendosi come coscienza ar- cheologica e conservando singole icone di un ar- chivio europeo. Prendiamo la Germania. E inne- gabile che in quella letteratura persista un'in- quietudine irrisolta. Perché è un'identità nazio- nale difficile, quella tedesca, minata dal ricordo del nazismo. Da un'ottica italiana, usa alle rimo- zioni, può essere persino sorprendente che, a più di un cinquantennio dal- la fine della guerra, il travaglio del passato hit- leriano, nella prosa co- me nella poesia, continui a proporsi come cifra co- municativa primaria. Non si tratta solo di au- tori che quel passato hanno vissuto - da Grass a Wolf, da Enzensberger a Walser - ma anche nel- le generazioni successi- ve, si pensi a Sebald o a Timm, si osserva una sorta di coazione etica a ripercorrere la tragedia tedesca. Fino ai più gio- vani, nati dopo la guerra. L'elenco sarebbe lungo e mi limito qui a pochi no- mi noti anche in Italia. Per esempio Marcel Be- yer: c'è lo strazio di un ecce homo nel suo sentir- si annidato con corpo e lingua nei sotterranei della memoria tedesca. E un'esposizione totale dell'io, un io inerme in quanto ormai privo del- l'armatura ideologica ancora operante, e per certi versi salvifica, nella generazione precedente. Non è un caso isolato. L'occhio di Durs Grunbein corre sul parco di Friedrichshain e non vede il Marchenbrunnen, bensì il bunker hitleriano sotterrato nel 1945. Al- trove la memoria dell'orrore spinge all'oltranza grafica e dilata le metafore dell'ansia, mentre i versi spezzati di Ulrike Draesner pulsano inter- mittenti nella rievocazione dei bombardamenti di Dresda. Si potrà argomentare che anche altri autori, americani o francesi, hanno scritto testi illumi- nanti sul nazismo. E vero. Né si vuol qui dire che gli intellettuali tedeschi abbiano l'investitura esclusiva della testimonianza. Si vuole affermare che è la loro letteratura a conservare nel contesto europeo il segno della cenere e del lutto. Con un riflesso che coinvolge non solo il linguaggio - si pensi alla cancellazione del termine Vaterland - ma anche i generi letterari. Parla in questo senso la fortuna del Familienroman, il romanzo fami- liare, che attraverso le generazioni scende nel- l'ossario della storia europea. E su questo terre- no di resistenza della memoria che si radica una risposta nazionale, opposta a una visione globale della letteratura. g anna.chiarlonigunito.it A. Chiarloni insegna letteratura tedesca all'Università di Torino