Nulla è più cruciale del lessico
di Bruno Bongiovanni
Ennio Di Nolfo
LESSICO DI POLITICA
INTERNAZIONALE
CONTEMPORANEA
pp. 282, €24,
Laterza, Roma-Bari 2012
Federico Romero
STORIA INTERNAZIONALE
DELL'ETÀ
CONTEMPORANEA
pp. 151, € 13,
Carocci, Roma 2012
iuUma/ii mal»-
Nel Novecento, e già prima,
stati e nazioni si configura-
no come protagonisti assoluti.
E anche come griglie concettua-
li indispensabili al processo sto-
riografico di scansione e inter-
pretazione del corso del mon-
do. Innescano il movimento che
consente la leggibilità, la loca-
lizzazione spaziale e la periodiz-
zazione temporale
dello srotolarsi, altri-
menti difficilmente
afferrabile, degli
eventi. Sono insomma
l'anagrafe (nomi, co-
gnomi, stato civile, re-
sidenza, età) della sto-
ria. E tuttavia la loro
presenza non è stata
né omogenea, né co-
stante. Cangiante è
stato, nel tempo, così
come negli spazi, il rapporto
che gli stati e le nazioni hanno
intrattenuto tra di loro. Così co-
me cangiante è stato il rappor-
to, da una parte, tra lo stato e la
conformazione dell'economia e,
dall'altra, tra lo stato e la sovra-
nità effettiva del territorio che
lo stato stesso, o un sistema di
stati, hanno posto in essere.
L'intera, e controversa, questio-
ne dell'intrecciarsi di spazio e
politica viene coinvolta. Decisi-
vo si rivela, per dipanare la ma-
tassa di tutti questi rapporti, il
disegno storico dei sistemi in-
ternazionali che si sono succe-
duti a partire dalla guerra dei
sette anni, dalla Rivoluzione
americana, dalla Rivoluzione
francese, dall'età napoleonica,
dai sistemi di Vienna, di Berlino
e di Versailles, dalla capitolazio-
ne della Germania e del Giap-
pone (1945) e dalla pax armata
sovietico-americana dei quaran-
tacinque anni (1946-1991).
La questione nazionale in ge-
nerale, e ogni singola questione
nazionale, esistono del resto, e
sono provviste di senso com-
piuto, solo nel contesto interna-
zionale. Lo stato singolo può
inoltre assumere un significato
solo all'interno dello scenario
della politica prima europea e
poi euromondiale. Tutte le que-
stioni in quest'ambito apertesi
ed esplose nel XX secolo sono
peraltro frutto dell'eredità dei
secoli XVIII e XIX. I tre secoli
si differenziano certo radical-
mente. Ma è ormai impossibile
comprendere l'uno senza fare
ricorso agli altri.
Se lo stato moderno, inoltre,
è stato una formazione che era
in via di consolidamento da
molto tempo (centralizzazione
Kauk) 1)1 Nello
amministrativa, burocrazia,
esercito nazionale, finanza pub-
blica, moneta unica, legislazio-
ne), l'idea di nazione, nel senso
in cui la si è intesa dopo la bat-
taglia di Valmy (1792) - allor-
ché i francesi avanzavano gri-
dando "Vive la Nation" -, a
differenza di quel che il senso
comune sembrerebbe ritenere,
è stata decisamente più recente.
Assai diverso, e per molti versi
antitetico, era comunque stato
il significato dell'antico termine
latino natio (dal verbo "nasce-
re"). Del resto, come hanno so-
stenuto, tra gli altri, Gellner
(Nations and Nationalism,
1983), Hroch (Social precondi-
tions of national revival in Eu-
rope, 1985) e Hobsbawm (Na-
zioni e nazionalismo dal 1780,
1991), non è stata la nazione a
produrre i nazionalisti, ma so-
no stati i nazionalisti - termine
sorto nel Settecento, presente
in forma sporadica e con acce-
zione negativa nell'Ottocento,
diffusosi con accezio-
ne positiva solo all'i-
nizio del Novecento -
a produrre la nazione.
Al centro della sto-
rt«
ria contemporanea,
intesa come arco di
lungo periodo (1715-
2012), vi è dunque la
politica internaziona-
le e con quest'ultima
le relazioni interna-
zionali, diplomatiche,
militari, consociative, dissocia-
tive, geopolitiche, terrestri,
marittime, onnicoloniali, deco-
lonizzatrici, multipolari, bipo-
lari, impossibilmente monopo-
lari-unipolari, comportanti ora
lo scontro delle ideologie, ora
dei sistemi economici, ora del-
le credenze religiose, ora delle
civiltà. Nulla per entrare in
questo universo si rivela dun-
que così importante come il
lessico che lo concerne. Ed En-
nio Di Nolfo, sistematizzando
tematicamente e felicemente
questa pista, ci fornisce con sa-
pienza gli elementi fondamen-
tali atti a ripercorrere i tanti
sentieri che abbiamo attraver-
sato. E un universo complicato
quello che ci descrive.
Citando Ernesto Sestan, ad
esempio, ci ricorda che
una definizione soddisfacente
del concetto di nazione non
c'è. E materia che fa sentire più
sicuri i filologi che gli storici.
Tutto, invece, è sicuramente in-
ternazionale: arte, letteratura,
filosofia, società, scienze, lavo-
ro, commerci, industrie, persi-
no le principali forme del dirit-
to e della politica, la pace, la
guerra, i sistemi dei congressi
delle potenze (dal wilsonismo
alla Società delle Nazioni, dal-
l'Onu al Eondo monetario in-
ternazionale).
Il lessico della politica inter-
nazionale penetra ovunque:
nell'islamismo, nel Comintern,
nel Cominform, nel Common-
wealth, nella guerra fredda,
nella coesistenza pacifica, nella
dottrina di Monroe e nell'inter-
mittente isolazionismo ameri-
cano, nel multilateralismo, nel
neutralismo. Il lessico, così effi-
cacemente codificato da Di
Nolfo, dimostra di contenere i
temi decisivi della politica degli
ultimi tre secoli. Allunga la sto-
ria contemporanea - dato e non
concesso che sia mai stata bre-
ve - e dimostra che la storia
contemporanea stessa, perce-
pendo sin dalle sue origini la
globalizzazione del mondo, si
inserisce a sua volta, come la
storia dei secoli più lontani,
nella lunga durata. "Fino al
1989 - sono le prime parole del
libro di Di Nolfo -, anno di
estinzione della cosiddetta
"guerra fredda", leggere la po-
litica internazionale era un
esercizio relativamente sempli-
ce. Tutto era chiaro. I colori
erano ben definiti. Il bianco
stava da una parte, il nero dal-
l'altra. La zona grigia nascon-
deva qualche ambiguità (...)".
Dopo non è stato più così. La
complicazione non ha del resto
solo condizionato il post 1989-
91, ma anche i decenni e i seco-
li precedenti. E le distinzioni,
spesso ambigue, non sono state
più trasparenti. Il 1989-91 non
ha avuto a che fare solo con il
futuro, ma anche con il passato
prossimo e con il passato remo-
to. E non solo il capitalismo,
non solo il movimento operaio,
sono stati internazionali. Anche
la politica. Tutta la politica.
Lo si comprende anche dal ra-
pido e utilissimo libro di Federi-
co Romero. Che parte dalla tra-
sformazione e dalla crisi dell'or-
dine imperiale europeo. Il quale
nasce e cresce con la Germania.
Ne consegue la corsa agli impe-
ri (Inghilterra monarchica,
Francia repubblicana, Stati Uni-
ti potenza mondiale, corto im-
pero dell'Italia fascista 1936-
1941). Con il 1914 si ha l'implo-
sione dell'Europa e nel 1991
quella dell'Urss. E vedremo se
nel 1992, a Maastricht, vi è stata
una rinascita dell'Europa. Ma il
1917 era stato, tra wilsonismo e
bolscevismo, l'anno della svolta.
La storia a Ovest e a Est era di-
ventata intrinsecamente interna-
zionale nonostante le resistenze
nazionalistiche di tipo nuovo
(Italia fascista, Germania nazi-
sta, Giappone militarista, Urss
staliniana). Internazionale era
diventata persino l'economia,
non solo in merito al suo svilup-
po, ma anche in merito alla de-
pressione e alla crisi del 1929,
fenomeno che aveva consolidato
il declino della borghesia classi-
ca e della libertà dei moderni.
Le guerre non erano poi termi-
nate. L'europea del 1939 diven-
ne presto di nuovo mondiale,
con in gioco il destino della de-
mocrazia, del colonialismo, del-
le tecniche militari, del coinvol-
gimento dei civili. L'Europa si
trovò divisa, salvo poi riunirsi.
Emersero l'India, Israele, la Ci-
na, le due Coree, Cuba, il Brasi-
le. Sorsero anche i non allineati, •
inizialmente definiti "Terzo
Mondo". La guerra totale si tra-
sformò nelle guerre locali (in
Asia, in Africa, in Medio Orien-
te). E la storia internazionale,
onde decifrare l'evoluzione del
mondo, conquistò il primato, da
sempre in realtà avuto, sulla pur
essenziale storia degli stati e del-
le nazioni.	■
bruno.bon®libero.it
B. Bongiovanni insegna storia contemporanea
all'Università di Torino
Zoppo e più lontano che mai
di Paolo Silvestri
Massimo L. Salvadori
LIBERALISMO ITALIANO
i dilemmi della libertà
pp. 172, €28,
Donzelli, Roma 2011
Il libro di Massimo Salvadori,
di fronte al ricorrente e
"chiassoso invocare una rivolu-
zione liberale" - tanto invocata
quanto mai attuata -, si interro-
ga sulla cultura e la politica li-
berali in Italia, "sugli ostacoli
che hanno impedito al liberali-
smo italiano come pratica di
governo di raggiungere la ma-
turità, di dar vita insomma co-
me in altri paesi a un sistema
compiuto". Questa riflessione è
altresì mossa dalla necessità per
il nostro paese "di misure di
ispirazione genuinamente libe-
rale al fine di migliorare il fun-
zionamento delle istituzioni, al-
largare l'ambito di diritti di li-
bertà e di diritti civili". Attra-
verso una serie di sag-
gi (alcuni editi e par-
zialmente rielaborati,
altri inediti) dedicati
ad alcune delle più
eminenti figure di po-
litici e intellettuali li-
berali italiani (Ca-
vour, Croce, Einaudi,
Matteucci, Abbagna-
no, Bobbio), Salvado-
ri indaga le specificità
e i limiti, le anomalie
o "eccezioni" del liberalismo
italiano.
È noto che dopo il 1989 -
cioè dopo il crollo dello storico
antagonista del liberalismo - i
pensatori variamente ricono-
scentisi nella dottrina liberale,
la cui identità si configurava (e
reggeva) anche grazie a quella
stessa contrapposizione, abbia-
no avvertito l'esigenza di una
reinterpretazione della "vera"
identità del liberalismo. All'in-
segna della domanda "che cos'è
il liberalismo?" o "come si di-
stinguono i veri dai falsi libera-
li?", abbiamo assistito a una co-
piosa proliferazione saggistica e
a una serie di dibattiti ben lun-
gi dall'essere terminati.
Il libro di Salvadori non muo-
ve tanto da queste domande,
né da esigenze di natura "iden-
titaria", ma da una concezione
ben precisa di cosa debba esse-
re un sistema politico liberale,
assunta a paradigma e norma di
giudizio per misurare 1'" ecce-
zione" italiana. Il "limite strut-
turale del nostro liberalismo" è
quello di "essere stato l'espres-
sione di pratiche di governo e
di un movimento ideologico e
culturale cresciuti ignorando il
tratto e il compito essenziali dei
sistemi liberali maturi: dare
luogo a 'normali alternative di
governo' tra schieramenti poli-
tici in reciproca competizione
ed egualmente legittimati a reg-
gere le redini del potere".
Il paradigma di giudizio rin-
via al "nucleo forte della teoria
liberale europea e americana
sette-ottocentesca", fondata
sulla convinzione che un siste-
ma liberale funzionante richie-
da la compresenza di tre condi-
zioni necessarie: il riconosci-
mento delle libertà fondamen-
tali, per "gli individui e i rag-
gruppamenti collettivi", in di-
fesa dall'arbitrio del potere e
per sollecitare lo sviluppo del
pluralismo in tutti campi; il
consenso popolare, quale base
della legittimità del governo,
organizzato dai partiti attraver-
so il ricorso periodico a libere
elezioni ed espresso dalla mag-
gioranza parlamentare; il mec-
canismo di equilibrio o dei
checks and balances fra i poteri.
Nondimeno, avverte Salvadori,
questa istanza di natura istitu-
zionale, che ritorna in gran par-
te del libro - dalla polemica
Croce-Einaudi alla critica di
Bobbio (e poi di Sartori) al li-
beralismo crociano - è necessa-
ria ma non sufficiente per la
piena "maturità" di un sistema
liberale: esso ha bisogno di
"quelli che potremmo definire
il suo spirito e la sua materia vi-
tali", cioè la presenza "di schie-
ramenti che si ricono-
scano nello stato e
nelle istituzioni rap-
presentative, che dia-
no a esse legittimità",
che quindi possano
sostanzialmente, e
non solo formalmen-
te, "concorrere in vi-
sta dell'esercizio del
potere".
L'anomalia risiede
dunque nel fatto che,
sin dalla proclamazione del Re-
gno d'Italia, le forze di governo
e di opposizione, messe di fron-
te alle sempre risorgenti "forze
dell'anti-Stato", invece di dar
luogo a un'autentica dialettica
politica basata sull'alternanza, si
perpetuarono in un monopolio
o oligopolio di potere, costituen-
do un regime politico "blocca-
to". Quel poco di mutamento
avvenne solo con la nota logica
del "trasformismo". Ad alcuni
dei più grandi liberali italiani è
poi mancata la "consapevolez-
za" che ciò costituisse un fatto
patologico - anzi, in alcuni casi
il trasformismo venne trasfigura-
to ideologicamente come un ele-
mento positivo -, sicché "il libe-
ralismo zoppo dell'età prefasci-
sta rimase zoppo anche nell'età
postfascista".
Attraversato dall'opposizione
"liberalismo conservatore'V'li-
beralismo progressista", il libro
si chiude con 1'"ultimo grande e
innovativo esponente della tra-
dizione liberale italiana", Nor-
berto Bobbio, e con una citazio-
ne di quest'ultimo che compen-
dia "le delusioni del liberalde-
mocratico progressista": "E
bello, forse anche incoraggian-
te, chiamare i diritti dell'uomo
(...) una grande invenzione del-
la nostra civiltà, ma (...) sono
un'invenzione che rimane più
annunciata che eseguita. (...)
Le società libere, giuste e felici
non sono mai state attuate, e, a
giudicare da quello che avviene
ogni giorno sotto i nostri occhi,
la loro attuazione è più lontana
che mai".	■
paolo.silvestri@unito.it
P. Silvestri insegna filosofia
del diritto all'Università di Torino