Ninfa-sirena Narratori italiani di Alcide Pierantozzi Boris Biancheri LA TRAVERSATA pp. 79, €6, Adelphi, Milano 2012 Partiamo dall'oggetto. È un li- bretto di 79 pagine, ideale per la "Biblioteca Minima" (una delle cose più raffinate e intelligenti, questa collana, che si siano viste in editoria dai tempi di Jéróme Lindon), la cui immagine di co- pertina è un oscuro, risucchiarne olio su tela di Alex Colville. Nel- l'immagine, un corpo probabil- mente femminile - cuffia bianca in testa - nuota in mare aperto. Anzi, questo corpo attraversa il mare. Precisazione non da poco, se il contenuto dell'oggetto in questione è il racconto di Eileen, strana nuotatrice (e strana ragaz- za) che si vedrà alle prese con una doppia traversata: della Manica, nella quale batterà il record fem- minile delle sette ore per l'andata, e quella della sua vita. Almeno della sua vita di adolescente, che prenderà una svolta tanto consi- derevole quanto elegiaca proprio in seguito a questa prova sportiva. L'oggetto libro è, se non altro per l'occhio più attento, sui generis ri- spetto alle copertine Adelphi, perché l'immagine spiega, diventa ecfrasi, dice qualcosa del conte- nuto. Ma non dovrebbe essere il racconto a suggerire qualcosa del- la sua veste editoriale? Non do- vrebbe, sempre all'inverso, essere una donna a dire qualcosa dell'a- bito che indossa? Questa chiarezza dello splen- dido oggetto è sottile, forse perché è rivolta a snodare la ma- tassa di un racconto che se da un lato spicca per linearità, rigore e ingegno narrativo, dall'altro si ri- vela misterioso sul serio, e neces- sità di due, forse tre letture. Il testo, lo diciamo subito, fa parte di una raccolta sugli ele- menti naturali (acqua, terra, fuo- co, aria) alla quale Boris Bianche- ri lavorava da tempo, ma che è ri- masta incompiuta. Segnaliamo Vento di nord, dedicato all'aria, che è uscito su Paragone qualche anno fa, ma di cui si auspica una nuova edizione a parte. Tornando a Eileen, la protago- nista della Traversata, è una solida bambina, e poi una solida ragaz- za, figlia di una Litwight, fiore dell'aristocrazia inglese, e di un Lo Monaco, agronomo siciliano di Marsala. Un incrocio favoloso, si direbbe, che infonde alla picco- la Eileen una tensione tutta sua per le cose della vita. La bambina ama l'acqua e la luna. Inizia a nuotare allo Sta- gnone di Marsala, finché, mandata a studiare in un col- legio inglese, pas- sa ore e ore al giorno in piscina, e ore e ore la not- te a osservare la luna, studiandone la faccia, riservan- dole una venera- zione celeste e nondimeno gio- cosa, come verso un idolo pagano. Ma Eileen è anche una piccola fiammiferaia, una ragazza indiffe- rente alle cose del mondo, snob- bata e incompresa da tutti, inclusi i suoi genitori. Dopo qualche amore un po' troppo violento da parte degli altri, e forse un po' troppo disinteressato da parte sua, da un giorno all'altro si ritro- va davanti a una sfida: quella di attraversare a nuoto un lungo percorso ignoto, su consiglio di una scafata giornalista che sente puzza di scoop. Eileen accetta la sfida, e chiaramente la vince, ma non è questo il punto. Vittoria al- la mano, non farà più ritorno in Sicilia, per raggiungere quel Monte Verità - luogo pagano e leggendario - cui la letteratura italiana non ha ancora dedicato nessuna pagina (fatta salva que- st'unica, piccola eccezione). Ei- leen è chiaramente una ninfa-sire- na, che inumidisce e vaporizza sia l'aspro luogo in cui è nata, la Sici- lia, sia la città senza acqua, molto spesso senza luna, in cui viene mandata a studiare. Eileen è forse l'esatto contrario di quella ele- mentarità della terra, dell'acqua e del cielo che la circondano, e sul- la quale Biancheri ha pianificato il progetto dei suoi racconti; ne è lo specchio incrinato. A tal proposi- to, l'acume di Biancheri sta nel guidare il suo fragile personaggio in un percorso esplicitamente zen: dalla terra al mare, dal mare al Monte Verità. Arrivata a questo punto, la vita di Eileen si evolve - Io supponia- mo - in una piena integrità, nella trasformazione da sostanza com- plessa a sostanza elementare. Insi- nuazione: forse la traversata alla quale il racconto si riferisce è quella di un'intera esistenza, la cui fine coincide con il raggiungi- mento del traguardo e con la suc- cessiva scomparsa della ragazza. E questa fuga tanto improvvisa quanto naturale verso il Monte Verità è un'altra spia dell'essere ninfa di Eileen, sfuggente persino alla propria famiglia, alla quale scriverà una sola, concisa lettera prima di congedarsi per sempre. Ecco, c'è una misteriosa chiarezza della raffigurazione in questo rac- conto. C'è una tessitura acquatica che si rivolge ai mondi della luna dell'Upanishad, e che fluisce co- me un pensiero che non domanda da quale luogo le cose provenga- no, ma su che cosa esse siano tes- sute, su quali spazi galleggino. È la differenza sostanziale che corre tra la letteratura e le speculazioni pensose. ■ alcidepierantozzi@libero.it A. Pierantozzi è scrittore Un'ora con le armi puntate di Mariapia Veladiano Anna Melis DA QUI A CENT'ANNI pp. 205, € 17,50, Frassinella Milano 2012 C5è un duello che dura un'ora: "Un'ora con le armi puntate, i nervi incalliti". Una giovane donna può diventare vedova, oppure orfana, op- pure tutte e due. Nel giorno del suo matrimonio. Nessun colpo parte. Non ancora. Capiterà, lo si sa dalla prima riga. Ma ogni cosa è sospesa, le pisto- le sono puntate, la vita stessa è sospesa. Eppure ci si ama o ci si odia, e quanto si somigliano le pas- sioni. A volte si prova a volersi semplicemente be- ne, qualcuno ci crede, ed è vita in qualche modo, forse non abbastanza diversa da quella di ciascu- no di noi, sospesa in attesa di morire. È un po' tut- to tremendo in questo romanzo di Anna Melis, fi- nalista al Premio Calvino 2011 e immediatamente pubblicata, come capita felicemente a tanti autori che questo premio ogni anno seleziona. L'autrice è sarda, come la famiglia di cui racconta, come la ter- ra in cui la storia si arrotola. E la Sardegna in lette- ratura ha questa sua propria caratteristica di essere impermeabile al tempo. Immobile come il duello in cui non si spara. Non si salva nulla in questa sto- ria: non i sentimenti, come si fa ad amare con la morte che ci punta? Non la fede: si crede a volte forse di credere, ma non c'è misericordia, nessuna dolcezza, né speranza. Durante il non-duello il par- roco accetta scommesse su chi muore. Non si salva nemmeno la famiglia, nel nome della quale tutto è fatto. In realtà è solo un mostro che ci inghiotte pri- ma ancora che ci capiti di nascere, ma non ci assi- mila, un mattone restiamo, indigeribile pietra co- me quelle su cui si arrampica Graziano Mele, pro- tagonista della tragedia, "baiente" e dannato a non saper la quiete di un abbraccio che accoglie e pla- ca. Bandito, che nel farsi giustizia somiglia in tutto allo zio giudice, "che però la giustizia la faceva dal Tribunale di Nuoro". Si può vivere così? Irrimediabilmente dentro, senza distanza possibile. Chi racconta è Ninnìu. Alni era stato destinato un altro nome: Efisio Jo- suè Amedeo Mele, come il nonno, nome solenne e pieno di storia. Ma Graziano, suo fratello mag- giore incaricato di registrarlo, l'aveva dimentica- to il nome davanti all'ufficiale dell'anagrafe e ave- va invece ricordato le parole con cui la mamma attaccava al seno quel piccolissimo appena nato: "A ninnìa, a ninnìa... bambino, dormi e fai sa ninnìa...". E così un altro nome, senza storia né solennità, aveva destinato Ninnìu ad altra vita. Come tutti. A quale solennità saremmo chiamati: fatti a immagine e somiglianza, poco meno degli angeli. E invece qui in terra pieni di paura viag- giamo. Una vita in cui dormire non si può, perché da ogni parte arriva il pericolo. La morte innatu- rale della faida. E tutta una metafora della vita questo libro che si legge come avvolti, senza di- stanza anche noi, sapendo quel che capiterà ma senza possibilità di staccarci, perché vogliamo sa- pere tutto, se almeno uno si salva. Perché da uno la vita può ricominciare. La storia racconta una Sardegna che conosciamo, bella e immobile, an- tica, letteraria, piena di vento e di luce, dove le ca- se riparano e soprattutto nascondono. Ma qui la potenza del romanzo è la scrittura, di sangue, di passione, che non si rassegna. E dice tutto tutto, dannata a non tacere perché le passioni non tol- lerano il silenzio, forse per questo in casa Mele si fa sempre rumore. Una scrittura così bella da far- si perdonare 0 tremendo che racconta. Follia sana di Angelo Ferracuti Alessandro Moscè IL TALENTO DELLA MALATTIA pp. 207, €15, Avagliano, Roma 2012 Strano libro questo di Ales- sandro Moscè, Il talento della malattia, che non ti aspetteresti da uno scrittore che nasce poeta e disciplinato studioso di lettera- tura (suo il saggio uscito nel 2004 da Marsilio Luoghi del No- vecento, con saggi su Pavese, Volponi, Umberto Piersanti), sul mondo del calcio e il mito di un calciatore da poco scomparso, Giorgio Chinaglia, "Long John", soprannome che viene direttamente dalla marca di whi- skey che beveva, una delle sue tante trasgressioni. Strano per- ché ha una forma ibrida che mesco- la romanzo auto- biografico, oggi si direbbe autofic- tion, reportage e giornalismo di ti- po sportivo, quasi da repertorio do- cumentaristico, ma anche una biografia paralle- la di uno sportivo e di una squadra, la Lazio di Mae- strelli, atipica e reazionaria, anche se pare molto amata anche dall'ultimo dei lea- der comunisti: Enrico Berlin- guer. Quando il libro comincia, sia- mo nei primi anni ottanta, gli an- ni settanta si sono chiusi con la loro indelebile scia di sangue, una crepa profonda sembra sprangare una pagina della sto- ria più prossima e aprirne un'al- tra, forse ancora più dolorosa. La prima traccia di questo pa- linsesto di storie che fanno la par- te più corposa è appunto quella della prima persona, l'autore stesso, che vive la sua malattia in uno stato di "follia sana" convin- cendosi che il suo mito torna in Italia dall'America, dove giocava con il Cosmos, per salvarlo. Gli parla, lo vede, lo immagina vicino a sé. Così ben presto diventa un romanzo di formazione a tutti gli effetti, quello di un giovane della provincia marchigiana nell'ap- prendistato alla vita visto però in luoghi cupi, privatissimi: l'ospe- dale, la scuola, gli interni di fami- glia in bianco e nero, a parte il calcio è una realtà molto esisten- zialistica quasi spogliata di attua- lità. I riti sono sempre quelli eter- ni dei piccoli luoghi. Moscè rac- conta "senza rete" e a microfono aperto, con pathos e spietata sin- cerità, però anche con la sapienza di chi conosce le parole e dalla vi- ta vera riesce a trasformare le se- quenze in altrettanti pezzi di ro- manzo, la verità in finzione, inevi- tabilmente, scansando l'autobio- grafismo sterile senza stile. Alla presa diretta della malattia, un morbo raro come il sarcoma di Ewing, un tumore osseo che non lascia scampo, fatto di lunghe de- genze e altrettanto tediose conva- lescenze, alla sofferenza fìsica e al dolore psicologico si alterna l'epi- ca del calcio e tutta l'aneddotica che contraddistingue il racconto del tifoso, che troviamo in molto cinema e in molta letteratura, an- che nella realtà verbosissima, spezzoni di partite e quell'allena- tore, Tommaso Maestrelli, capace di ricomporre nello spogliatoio a ogni partita una squadra di indivi- dualisti destrorsi come appunto "Giorgione", ma anche Re Cec- coni e Wilson, che a un certo punto del libro l'autore incontra in una Roma estiva, afosissima. Non dirò del lieto fine, ma a volte nella vita, e anche in questo libro, la realtà più prossi- ma e la sua immaginazione si in- contrano, realtà e finzione si in- trecciano, la menzogna o l'au- toinganno diventano verità, tan- to che quel mito che per molti di noi era un po' tasullo, questo centravanti scomposto come un toro scatenato e fascistoide, di- venta per l'autore (che in questo caso è anche il personaggio e la persona che vive la storia e in "prima" la racconta) una mito- logia catartica, capace di fare il miracolo. Il libro si chiude con il suo refrain, quello del grido li- beratorio dello stadio: "Giorgio Chinaglia è il grido di batta- glia!". ■ angeloferracuti@interfree.it A. Ferracuti è scrittore