□ N. 10 22 Letterature d'oltremare J'accuse dei senza speranza di Carmen Concilio Arundhati Roy IN MARCIA CONI RIBELLI ed. orig. 2011, trad. dall'inglese di Giovanni Garhellini, pp. 202, € 18, Guanda, Milano 2012 Solitamente le guerre difendo- no o ribadiscono confini ter- ritoriali, nazionali, rispetto a un nemico che minaccia dall'ester- no. La guerra in atto in India, in- vece, ha spostato il confine nel cuore del paese: lungo la cosid- detta cintura rossa (red belt, Maoist belt, MoU belt). Andhra Pradesh, Orissa, Jharkand, Bi- har, Bengala occidentale sono le province di cui meno sappiamo e che oggi più soffrono per la violazione di diritti umani e civi- li, diritti all'abitare, alla terra, al- le foreste, all'acqua, alla sanità, alla scolarizzazione. Sono le pro- vince dove vivono i più poveri al mondo, i Dalit, i fuori-casta, i fuori-legge. Si tratta delle tribù indigene dell'India, abitanti del- le foreste, sin dai tempi che pre- cedono gli insediamenti indù. Da sempre vengono accusati di essere terroristi maoisti, o naxa- liti, colpevoli di atroci crimini durante le loro incursioni di guerriglia armata per lo più con- tro le stazioni di polizia, e per questo vengono perseguitati dal- la polizia e dall'esercito federale, e, più recentemente, dalle po- tentissime multinazionali mine- rarie che hanno firmato sin dal 2005 accordi di prelazione (Me- morandum of Understanding) con il governo federale. Ma chi sono i Dalit, o Adivasi, e chi sono i maoisti? Gli Adivasi sono popolazioni arcaiche non induiste, aborigene, che seppel- liscono i loro morti, che venera- no la Terra e la Natura, dea ma- dre, rispettano la donna, in quanto principio di vita, non ri- conoscono le caste, vivono dei frutti della foresta, di quel poco che riescono a coltivare, di pesca lungo i fiumi. Eppure, non han- no diritto di cittadinanza, vengo- no sfruttati come braccianti, sot- topagati dagli zamindar, i lati- fondisti. A loro è negato l'accesso alle, cure sanitarie, all'educazio- ne, alla rappresentanza legale e civile. "Non tutti gli Adivasi so- no maoisti, ma tutti i maoisti so- no Adivasi", così scrive Maha- sweta Devi, la scrittrice e attivista che prima di Arundhati Roy si è dedicata alla causa dei tribali (tn- bals), guadagnandosene la fidu- cia quale loro portavoce ufficiale, descrivendone gli atti eroici di resistenza - di cui non si trova certo traccia nei libri di storia - in romanzi, racconti, drammi teatrali, reportage giornalistici e film. Cosa voleva dire? Ebbene, i maoisti sono servi della gleba che hanno saputo organizzarsi, ar- marsi, e che combattono per i di- ritti delle tribù rurali, al loro fianco, per difendere i lori villag- gi dalle continue incursioni della polizia che incendia le capanne, stupra le donne, trucida gli uo- mini in modi che sono ritenuti esemplari, eppure in piena viola- zione dei diritti umani. Combat- tono al loro fianco per incitarli a scioperare e negoziare per i pro- pri diritti, per ottenere prezzi ap- pena decenti per i raccolti. La guerra è stata dichiarata, l'Ope- razione caccia verde è stata dis- piegata persino con mezzi dell'a- viazione e truppe speciali adde- strate in Israele. Difficile distin- guere se a essere uccisi sono i ri- belli maoisti o i contadini tribali, civili, per così dire. I tribali sono scomodi e vanno estirpati: consi- derati alla stregua di squatters, sono colpiti da piani di rimozio- ne forzata o "strategica" (Strate- gie Hamleting). Lo scopo è sot- trarre loro le risorse idriche, in favore della costruzione di gran- di dighe che deviano il corso dei fiumi, rendono aride terre prima fertili, provocano l'avanzare di acque salmastre nell'entroterra, perché i delta dei fiumi non sono più in grado di arginarle a causa della ridotta portata; sottrarre lo- ro le terre, le colline ricche di quella bauxite che deve alimen- tare l'industria mineraria e side- rurgica locale e cinese. Per la bauxite si uccide, in nome del fondamentalismo capitalista, del- le esigenze di mercato dei colossi minerari e siderurgici. La storia si ripete: ciò che ac- cadde in Sudafrica e in Australia, oggi- accade in India, poiché il progresso richiede sacrificio, an- che di vite umane, anche di inte- re popolazioni. Gli Ho, gli Oraon, i Kol, i Santhal, i Munda e i Gond sono deboli perché di- visi, analfabeti; i maoisti li aiuta- no a considerarsi un unico corpo che chiede di poter interloquire con le autorità, negoziare, essere ascoltati. Invece, hanno preso il posto dei terroristi islamici nella menzognera propaganda media- tica e sono divenuti il nemico nu- mero uno dello stato. Bambini, giovani e donne, affamati e sorri- denti, si muovono in fila nel fitto delle foreste, dormono tra le roc- ce su teli di plastica azzurra, si spostano e camminano per gior- ni, in continuazione, partecipano a feste e balli, con il fucile in spalla, però. Si danno appunta- mento in posti improbabili, co- me Arundhati Roy ha sperimen- tato seguendoli per compilare questo suo j'accuse, un reportage che raccoglie l'eredità di Maha- sweta Devi, e che fa dell'autrice un intellettuale organico dei no- stri giorni. Roy non idealizza né romanticizza i maoisti, e neppure la loro ideologia che a Mao si ispira solo parzialmente, quella che Appadurai definirebbe la lo- ro "politica della speranza" la lo- ro "capacità di nutrire aspirazio- ni", il loro sogno alternativo, di- ce Roy. Sono violenti e sono co- stretti a uccidere, devono convi- vere con le atrocità inflitte o sub- ite da fratelli, mariti, fidanzate, con negli occhi i villaggi bruciati, le imboscate, gli stupri, i cadave- ri dei torturati. Ci mostra il volto umano e le ragioni politiche del- la lotta armata, della guerra civi- le di un paese votato al progres- so, a ogni costo. ■ Carmen.conciliogunito.it C. Concilio insegna letteratura inglese e postcoloniale all'Università di Torino Pregiudizio modernista di Pietro De Andrea Nana Konadu Yiadom con Andrea Pasqualetto LA REGINA CHE FACEVA LA COLF VENUTA IN ITALIA DALL'AFRICA NERA SCELSE DI TORNARE AL SUO VILLAGGIO NELLA FORESTA prefaz. di Massimo Fini, pp. 121, € 15, Marsilio, Venezia 2012 44 T Iniziamo dall'aereo che ho preso per anda- -Lre in Italia. L'aereo è un grande uccello di ferro che si muove nell'aria con le ah sempre aper- te. Vola altissimo e porta nella pancia molti uomi- ni. Proveniente da una zona rurale del Ghana, ni- pote della regina del villaggio e sorretta da una grande fede religiosa, Nana Konadu non parla ita- liano e conosce pochissimo l'inglese, e quindi rac- conta il proprio viaggio e il primo periodo in Ita- lia da una prospettiva di costante spaesamento, "come un bambino appena nato che si guarda at- torno per capire dov'è". A ciò corrisponde un ef- fetto straniarne per il lettore, che vede alcuni aspetti infelici della propria società osservati dal- l'esterno: il correre incessante della vita quotidia- na, la depressione, l'abbandono degli anziani. A tratti la storia sembra accennare al modello sette- centesco del non-europeo che, con la sua stupita innocenza, si fa strumento per sbeffeggiare i gua- sti della modernità, come i re indiani di Addison, o l'ingenuo di Voltaire. Ma qui non è 0 tono sati- rico a dominare: l'autrice racconta una storia real- mente accaduta, quella dei suoi diciotto anni tra- scorsi in Italia, con malinconica serenità. La sua è una vicenda di immigrazione in Italia priva di quelle laceranti ingiustizie che siamo abi- tuati a incontrare. Prima a Palermo e poi a Schio, Nana Konadu si fa apprezzare per le proprie qua- lità umane. Alla morte della nonna viene nomi- nata regina, ma non smette di lavorare in Italia come colf, e questo le procura notorietà, premi e articoli sui giornali. Nel frattempo, prima di tor- nare definitivamente in Ghana, si dà da fare per portare nel suo villaggio un ospedale, la scuola e l'acqua potabile. Il successo di questi progetti, però, non cancella la malinconia. Per quanto questo atteggiamento primitivista possa risultare irritante, si può considerare il pro- dotto di una voce narrante caratterizzata dalla nostalgia per il mondo in cui è cresciuta, oltre che una storia personale piuttosto atipica. Ciò che ap- pare molto meno giustificabile è vedere come questa prospettiva venga abbracciata senza alcun distacco critico: nella postfazione, Andrea Pas- qualetto scrive che gli "abitanti vivranno più a lungo, certo, avranno molte più cose e più op- portunità (...). Ma perderanno questo splendido, ingenuo, puro sorriso". Nella prefazione Massi- mo Fini descrive il villaggio natale di Nana Ko- nadu come un luogo dove la gente era febee "an- che se ci si ammalava di malaria bevendo da uno stagno e si moriva un po' prima di quanto si muoia da noi". Sembra di tornare indietro di cen- to anni, a quel decadente pregiudizio modernista per cui le culture altre si possono apprezzare so- lo nella loro pura, astorica primordialità. E inve- ce sono proprio le parole della nonna Yaa Ser- waa, quando esorta la nipote a partire per l'Italia, a prendere le distanze da questo supposto immo- bilismo: "Vai, (...) e accarezza quel mondo con il tuo sorriso. Non piegarti mai a chi appare gran- de, ascolta sempre chi appare piccolo e non di- menticarti del tuo popolo. Dio sarà con te". Credo nella Nigeria DEDICA A WOLE SOYINKA a cura di Alessandra Di Maio pp. 145, €5, Thesis, Pordenone 2012 WOLE SOYINKA AND THE RESTOF US fotografie di Akintunde Akinleye a cura di Angelo Bertani pp. 12, € 10, Thesis, Pordenone 2012 Il premio Nobel nigeriano per la letteratura, drammaturgo, poe- ta, saggista e intellettuale engagé, per molti, semplicemente, il pro- fessore - Wole Soyinka - è stato ospite di Dedica, a Pordenone, in marzo. Lo incontriamo, allegro, nelle pagine a lui dedicate da stu- diosi italiani in questi due prezio- si documenti che ne testimoniano l'innato e imperituro carisma. Nell'intervista con la sua tradut- trice in Italia, con modestia Soyin- ka sostiene che l'arte drammatica la respirava per strada, dove le maschere rituali nigeriane sfilava- no in complesse cerimonie, ma sono stati suo padre, ritratto nei suoi volumi autobiografici, e la scuola, il valore dell'educazione e dell'apprendimento, a segnare il suo futuro di scrittore di talento, di coscienza critica del popolo, di intelligenza al servizio della cultu- ra e dei diritti civili. Serissimo, poi, cupo e ammonitore in lunghe pagine, fitte e tese, su Assoluti e relativismi culturali. La dignità e la sacralità della vita umana, in cui afferma che donne e bambini so- no un po' più uguali tra gli egua- li; donne lapidate, bambini solda- to, vittime di un maschilismo al soldo dei fondamentalismi sono un po' più uguali e chiedono a gran voce l'indignazione e la dura condanna morale da parte della comunità umana. Soyinka ha conosciuto il car- cere, l'esilio, l'impegno di do- cente negli Stati Uniti, di curato- re artistico in patria: nel gennaio 2012 ha curato l'edizione del La- gos Black Heritage Festival de- dicato al rapporto tra Africa e Italia; in tutto il mondo arringa i giovani, dialoga con i leader afri- cani (Nelson Mandela, Samora Machel), sia nelle sue opere poe- tiche sia nei suoi interventi pub- blici. Riconosce i meriti di altri scrittori, come Nadine Gordi- mer, anche lei Nobel, e i suoi più giovani eredi: Chimamanda Ngozi Adichie, Biyi Bandele Thomas, Chris Abani, Chika Unigwe, Uzo Iweala, Teju Cole, allievi ideali che alimentano la letteratura nigeriana in modo originale e promettente. Come promettente è il futuro della Ni- geria, con la sua ricchezza demo- grafica, il Pil in crescita, la fio- rente industria cinematografica di Nollywood a Lagos (immorta- lata nel contestato catalogo di Peter Hugo, Nollywood, 2009), il petrolio del Delta del Niger: potrebbe sorpassare il Sudafrica. La Nigeria di Soyinka, passata attraverso dittature e ora paese democratico, ha conosciuto il movimento di "Occupy Nigeria" che ha dimostrato contro l'au- mento dei prezzi del carburante, ma anche nuove ondate di estre- mismo religioso con il movimen- to Boko Haram. Queste tensioni sono evidenti nella prima mostra fotografica italiana di Akintunde Akinleye, fotografo per Reuter e vincitore del primo premio del World Press Photo nel 2007, con uno scatto su un uomo che si ter- ge il volto tra la fuliggine e il fu- mo denso dell'esplosione dell'o- leodotto a Lagos nel 2006. Il ca- talogo in quattro sezioni affronta il tema del petrolio e del degrado ambientale che ne accompagna l'estrazione, anche illegale, so- prattutto nelle terre degli Ogoni, lungo il Delta. E multiculturali- smo della Nigeria con le sue due- centocinquanta e dieci lingue, il pluralismo religioso e culturale celebrato da una maglietta con su scritto "credo nella Nigera". Ostacolo alla speranza per una democrazia piena è la violenza, tra musulmani e cristiani, stru- mentalizzata da poteri più o me- no occulti. Il valore iconico della figura di Soyinka, un maestro per Akinleye, chiude il catalogo con immagini che ritraggono murales, "pannelli educativi", "arte politica", dice il fotografo, in cui Soyinka è accanto a Man- dela e Obama, o giganteggia qua e là tra i muri di Lagos, segno del suo carisma e dell'affetto che lo circonda. ■ (C.C.)