Reporter per esperienza diretta e amore verso gli ultimi Far parlare senza gridare di Sandra Teroni Conosceva la povertà per esperienza diretta Al- bert Camus, quella del quartiere algerino in cui era cresciuto, e già ne aveva scritto, ma non la miseria vera, quella "indigenza materiale che neanche gli schiavi conoscevano" da cui si sentì inesorabilmente investito visitando la Cabilia, la terra su cui era sbarcato suo padre, emigrante tra i tanti che la Francia sospingeva verso il sogno co- loniale. Nonostante la giovane età (ventisei anni), aveva un passato di intellettuale impe- gnato: nel Movimento antifascista Amster- dam-Pleyel fondato da Barbusse e Romain Rolland, poi nel Partito comunista, nell'ardente sostegno ai repubblica- ni spagnoli, nella crea- zione di un teatro che già nel nome, Théàtre du Travail, esibiva lo spirito che lo animava. Aveva anche già pub- blicato due libri di "saggi", L'Envers et l'Endroit (1937) e No- céti 93 9), centrati sul- la contraddizione a cui si sentiva inchiodato, tra amore per la vita e sentimento tragico del- l'esistenza, passione e indifferenza, irresistibi- le - inumana - bellezza del mondo e ineludibi- le presenza della morte: il diritto e il rovescio di una realtà che non concede scelte e che sollecita ad assumere la condizione umana nella rivolta. Era in piena elaborazione della nozione di assur- do, declinandola contemporaneamente in un dramma, Caligala, un romanzo, L'Etranger (dopo La Mort heureuse, rimasto nel cassetto), e un saggio filosofico, Le Mythe de Sisyphe, che da Parigi, ne- gli anni della guerra e del- l'occupazione, avrebbero rivelato al mondo delle lettere e al vasto pubblico un grande scrittore. E fa- ceva il giornalista: per sot- trarsi a una vita da impie- gato, ma anche per quegli imperativi che si era dato di adesione al reale, di esercizio della lucidità, di presa di distanza da se stesso, dalle seduzioni ideologiche come da una sensibilità che sentiva "troppo pronta a debor- dare", che voleva "far par- lare e non gridare", pren- dendo a modello Stend- hal. Lavorava da due anni al quotidiano "Alger ré- publicain", vicino al Fronte popolare, che la censura avrebbe ben pre- sto fatto tacere e dalle cui pagine già l'amico e mae- stro Jean Grenier aveva lanciato appelli sulle drammatiche condizioni di vita in Cabilia. Nel frat- tempo, nella regione era scoppiata la carestia, e lui decise di andare a vedere e di realizzare un reporta- ge, che il giornale pubbli- cò con il titolo Misere de la Kabylie, in undici puntate, tra il 5 e il 15 giugno 1939. Una ventina di anni dopo, quando, già insi- gnito del premio Nobel e in piena guerra di libe- razione nazionale, decise di raccogliere in volume i suoi scritti sull'Algeria, questa lucida e violenta requisitoria contro l'amministrazione coloniale apriva (seppur incompleta) le Chroniques algé- riennes (Actuelles III) e assumeva il significato di Caterina un profetico avvertimento. E a un piccolo editore algerino che si deve la sola edizione integrale, nel 2005, scovata sul posto da Laura Barile che ha im- peccabilmente curato questa edizione italiana, nella bella traduzione di Marco Vitale (Miseria della Cabilia, pp. 90, € 10, Aragno, Torino 2011). Ho scritto per gli uomini non per il partito di Massimo Raffaeli In contemporanea con il film di Gianni Ame- lio Il primo uomo (tratto dall'omonimo e in- compiuto romanzo di formazione, forse il suo capolavoro, che fu estratto dai rottami dell'auto in cui Albert Camus perse la vita, per un inci- dente stradale alle porte di Sens, il 4 gennaio 1960), esce ora in italiano Miseria della Cabilia, tradotto da Marco Vitale e puntualmente intro- dotto da Laura Barile, un testo essenziale sia quale antefatto della sua vicenda di autore sia, soprattutto, come palinsesto in cui si rendono visibili le ragioni di un rapporto complesso e ambivalente con la terra natale, l'Algeria, che a Camus, morto da due anni, venne duramente rinfacciato nei giorni dell'Indipendenza: è noto infatti come lo scrittore si fosse a lungo speso, lui figlio di un pied noir, per una soluzione di compromesso fra nativi e coloni che nei fatti era tanto dispiaciuta ai militanti dell'Fln quanto ai sicari dell'Oas. Solo in parte pubblicato in una vecchia antologia italiana dei suoi interventi giornalistici, Actuelles (Bompiani, 1961, per la traduzione, splendida, del poeta Giuseppe Gu- glielmi), Miseria della Cabilia torna dunque nel- l'integrale delle undici puntate che Camus fa uscire nel giugno del 1939 su "Alger républi- cain", un foglio radical-socialista fondato e di- retto da Pascal Pia. L'inviato Camus ha solo 26 anni e alle spalle una serie di esperienze già tutte liquidate: ex studente di filosofia, ex portiere di calcio, ex iscritto al Partito comunista francese poi espul- so con l'accusa di trotzkismo, al momento è un teatrante ma sta scrivendo clandestinamente le pagine scarne di un romanzo che tre anni dopo uscirà con il titolo L'étranger. Qui si tratta inve- ce di un vero e proprio reportage di cui colpi- scono, retrospettivamente, la purezza dello sguardo e l'assenza di filtri ideologici. Aggiran- do il pericolo della censura, Camus si attiene ai fatti e documenta nel dettaglio lo scandaloso paradosso per cui una terra bellissima, l'altopia- no chè sembra quasi una Grecia rediviva, venga mantenuta in uno stato di rovinosa indigenza e, di fatto, in un regime schiavistico: sovrappopo- lazione, fame e malnutrizione, malattie, dilagan- te analfabetismo, disoccupazione e sottoccupa- zione, assenza di progetti economico-sociali e di prospettive politiche, sfruttamento criminale della forza lavoro, "di fronte ad una logica abiet- ta - egli scrive — secondo la quale un uomo è senza forze perché non ha da mangiare e lo si deve pagare meno perché è senza forze". L'immagine che inaugura il reportage (con le montagne ricoperte di fiori, un cielo senza sma- gliature che incombe tuttavia sul volto ulcerato e gli occhi pieni di pus di un mendicante mise- rabile) si lega al motto che lo chiude, quando afferma con orgoglio: "Ho scritto non per un partito, ma per degli uomini". È un altro dei paradossi camusiani ma non è ancora l'ultimo se oggi Karim Metref, un autore di origine cabi- la residente a Torino, può aprire il suo ultimo li- bro (bello e troppo poco noto, Tagliato per l'e- silio, De Marchi, 2008) con un'immagine spiaz- zante che, richiamando mutamente Albert Ca- mus, di nuovo ci interpella: "Sono nato in esilio nella terra dei miei avi". "Non esiste spettacolo più desolante di una miseria simile nel cuore di uno dei paesi più bel- li del mondo": in Cabilia la contraddizione e l'assurdo si presentano in maniera eclatante e molto concreta. Ma la bellezza sfavillante del paesaggio è evocata con splendide pennellate so- lo per dire l'impossibilità di farne oggetto del discorso, lo vieta la miseria. La rivolta prende le forme dello sdegno e della denuncia di una gestione coloniale che coniuga una cultura larvatamente razzista con una politica del- l'elemosina. La preoc- cupazione della "mi- sura" espressiva, im- mediatamente esplici- tata in funzione del- l'efficacia, si traduce in un impianto rigoro- so: il quadro dell'indi- genza, che porta in primo piano gli esseri umani, il corpo e la di- gnità umiliati, con fol- goranti immagini della fame e della sofferen- za a cui si intrecciano «Yy , cifre, dati, testimo- nianze raccolte; lucide analisi delle condizio- ni di vita supportate da una ricca docu- mentazione e da testi- monianze personali: il regime del lavoro, "schiavistico", un habitat ridotto a cloaca, la mancanza d'acqua e di comunicazioni, una situa- zione sanitaria vergognosa, una politica scolasti- ca dissennata, il funzionamento perverso del cre- dito e la piaga dell'usura; proposte per una poli- tica sociale costruttiva attraverso interventi sug- geriti da esperimenti già tentati nel paese e ade- guati alle riforme invoca- te dalla popolazione. Il tutto all'interno di un'empatica partecipa- zione e di un'appassiona- ta solidarietà con un po- polo fiero, libero e civile, che vive in accordo con la sua terra e vanta anti- che tradizioni democrati- che, e che la "miseria fi- siologica priva perfino della forza di odiare". E con il preciso intento di scuotere le coscienze, to- gliere ogni alibi ai "gar- garismi ufficiali" e a una politica degli aiuti realiz- zata alimentando cliente- le, malaffare, imbrogli, vessazioni, sfruttamento. Nella speranza, forse, di suscitare quel clamore e ottenere quegli effetti politici prodotti dalla de- nuncia anticoloniale di Gide (un altro maestro) nel Voyage au Congo. Ma la guerra era alle porte, Camus era solo un esor- diente, e Algeri non era Parigi. La sua rimase una lezione di grande giorna- lismo, e lo è ancora. ■ Sandra.teroni@gmail.com S. Teroni ha insegnato letteratura francese all'Università di Cagliari