/VVVVVVVVVVS N-6 LffflSE 111 AAAA/VS/VW\A Solo per sfornare figure professionali? di Bruno Maida Fondazione Giovanni Agnelli I NUOVI LAUREATI La riforma del 3+2 alla prova del mercato del lavoro pp. 117, €15, Laterza, Roma-Bari 2012 Il rapporto presentato dalla Fondazione Agnelli è una miniera di osservazioni e di da- ti per valutare la riforma del 3+2, a dieci anni di distanza dalla sua introduzione nel si- stema universitario italiano. Ha raggiunto i suoi obiettivi, oppure al contrario è stato un fallimento? La riforma, entrata in vigore nell'anno accademico 2000-2001, voleva allargare il numero dei laureati, abbrevia- re i tempi per il conseguimento del titolo, preparare studenti adatti alle trasformazioni pro- duttive del nostro paese, per- mettendogli parallelamente mi- gliori condizioni lavorative, in termini di gratificazione e di retribuzione. A guardare i ri- sultati del 3+2 dopo un decen- nio gli elementi di contraddi- zione e di ambiguità appaiono dominanti: espansione dell'of- ferta formativa ma con una va- rietà che è andata decrescendo rapidamente, aumento degli iscritti ma paralleli alti livelli di dispersione scolastica, un nu- mero maggiore di laureati ma con una selezio- ne sociale che si è comunque spo- stata dal primo al secondo livello, maggiore possi- bilità di trovare lavoro dopo la laurea ma a con- dizioni di diffuso precariato e a li- vello salariali non adeguati. Si potrebbe andare avanti, ma per gli estensori del rap- porto è chiaro che la riforma ha raggiunto solo parzialmente i suoi obiettivi ed è stata essa la ve- ra vittima di un intreccio di inte- ressi e di disinte- resse da parte dello stato e de- gli atenei. Il pri- mo ha progressi- vamente indebo- lito le università attraverso un si- stematico taglio del finanziamen- to pubblico, dimostrando di non voler sostenere un reale cambiamento al suo interno. Gli atenei, dal canto loro, han- no difeso i propri interessi cor- porativi, alimentando la cresci- ta indiscriminata di corsi di laurea non coerenti con la ri- chiesta del mercato e amplian- do il reclutamento di ricercato- ri e professori, prosciugando le già limitate e diminuite risorse sulle quali potevano contare. L'analisi della Fondazione Agnelli ha indubbiamente mol- ti elementi di verità, a partire dal progressivo abbandono a se stessa dell'università da par- te della politica (poiché non si può dimenticare che non solo i governi ma anche le opposizio- ni hanno dimostrato in questi anni di non attribuire all'istru- zione, in tutta la sua filiera, un valore strategico per le pro- spettive del paese) e dalle non secondarie responsabilità delle classi dirigenti degli atenei ita- liani nel conservare e rafforza- re un potere baronale e anagra- ficamente (per non dire scien- tificamente) vecchio, il cui ri- flesso più evidente è stata la possibilità di indire e control- lare concorsi. I nuovi laureati, tuttavia, non scioglie alcune questioni di fondo e propone ricette discu- tibili. Non si spiega, per esem- pio, come si possa contestare all'università italiana - con un'età media tra le più elevate e un rapporto tra docenti e studenti tra i più alti e negativi a livello europeo - l'aver volu- to (anzi dovuto) portare al suo interno una nuova generazione di studiosi. Casomai bisogne- rebbe domandarsi per quale ragione, al contrario, la sua classe dirigente, con gravi re- sponsabilità nei dissesti e in un uso privatistico dell'università, sia rimasta in carica e difesa dai diversi governi che si sono pagare gli stipendi (peraltro tra i più bassi d'Europa). Ma il difetto - almeno tale per chi scrive, ma che da altri può es- sere letto semplicemente come un punto di vista diverso - nel- l'analisi della Fondazione Agnelli è nel manico, anzi nel titolo stesso, ossia nell'attribui- re il vero e unico valore della formazione universitaria nel- l'essere funzionale al mercato del lavoro. Non la conoscenza come valore e ricchezza in sé di un paese, non una formazio- ne che attribuisce al sapere - a tutti i saperi - un ruolo strate- gico nello sviluppo sociale ed economico complessivo, bensì la sua possibilità di tradursi in figure professionali flessibili e compatibili con le trasforma- zioni dell'apparato produttivo. Di qui la centralità di parole. chiave - merito, valutazione, internazionalizzazione, compe- tizione, ecc. - come strumenti che dovrebbero autodimo- strarsi senza alcun bisogno di confrontarsi con la realtà. E, per esempio, evidente nel mo- do in cui il rapporto affronta la questione strategica - sul pia- no dell'equità sociale e dei fon- damenti costituzionali - del di- ritto allo studio: vengono pro- poste la possibilità di alzare le tasse, la differenziazione degli atenei, l'abolizione del valore legale della laurea, i prestiti d'onore, in un insieme pro- gressivo di misure che, secon- do gli estensori, dovrebbero essere riequilibrate da un ruo- lo forte dello stato per evitare La spinta propulsiva non si è esaurita di Fiammetta Corradi succeduti, anzi per esempio valorizzando un rapporto pri- vilegiato tra ministero e Confe- renza dei rettori (Crui) - che è e rimane un'associazione pri- vata - e ascoltando assai poco tutte le componenti dei lavora- tori. Né si comprende come si potrebbe svecchiare l'univer- sità mettendo a sua disposizio- ne - sia per il reclutamento dei ricercatori e dei docenti sia per lo svolgimento della ricerca - sempre meno risorse, anzi limi- tandole a quelle necessarie per Francesco Magris LA CONCORRENZA NELLA RICERCA SCIENTIFICA pp. 89, €9,90, Bompiani, Milano 2012 che i più deboli ne vengano schiacciati. Senza tuttavia te- nere conto né della progressiva dismissione del ruolo statale e regionale nella garanzia effetti- va di tale diritto né dei danni individuali e sociali che tali pratiche hanno prodotti nei paesi (vedi Stati Uniti e Gran Bretagna) dove tali misure so- no state attuate. ■ bruno.maida@unito.it B. Maida insegna storia contemporanea all'Univesrità di Torino Dopo una primavera freneti- ca, in cui gran parte del corpo accademico italiano ha in- vestito molte delle proprie ener- gie nel tentativo di rispondere alle richieste del ministero in re- lazione alla Valutazione qua- driennale della ricerca (Vqr), tal- volta sfinendosi nel tentativo di superare difficoltà pratiche e ca- villi burocratici, altre volte di- sperandosi dinnanzi all'impossi- bilità di sottoporre un numero di prodotti di ricerca sufficiente a evitare penalizzazioni alle strutture di afferenza nella suc- cessiva fase di distribuzione del- le risorse economiche, sarebbe bene ricominciare a riflettere su- gli effetti che potrebbero deriva- re dalle nuove pratiche di valuta- zione sulle quotidiane prassi di ricerca e, più in generale, sul ruolo della concorrenza in ambi- to accademico. A tale fine, si consiglia viva- mente la lettura del breve, luci- do e incisivo saggio di Francesco Magris, che, da una prospettiva prevalentemente ma non esclusi- vamente economica, si interroga sulla legittimità di equiparare (sia de facto che de jure) la con- correnza nella ricerca scientifica alla concorrenza economica, quale astrattamente descritta dai postulati dell'economia neoclas- sica. Procedendo per analogie e differenze, Magris osserva tra l'altro che l'attuale natura delle pratiche di valutazione, oggi principalmente basate, in Italia come all'estero, su assai discuti- bili "classifiche" delle riviste scientifiche e sull'incerta affida- bilità di indicatori bibliometrici, assomiglia molto più a una situa- zione di oligopolio che a una si- tuazione di concorrenza perfet- ta; più a una "dittatura della maggioranza" (o dei main- streams) che a un pluralismo de- mocratico, in cui possano effetti- vamente aspirare ad avere voce e ottenere credito correnti minori- tarie o singoli pensatori "atipici" (non di rado portatori di idee originali e innovative). Domandandosi come sia pos- sibile valutare in modo equo il rendimento "di coloro il cui compito è pensare, riflettere, al- largare il campo del sapere uma- no" ed eventualmente premiare i migliori in base alla qualità del loro lavoro scientifico (della qualità della didattica, purtrop- po, l'autore non si occupa), Ma- gris osserva anche, assai oppor- tunamente, come le "idee" non siano "riducibili e assimilabili agli altri beni economici", per una molteplicità di ragioni indi- viduate e argomentate con mae- stria. Tra queste - cui forse altre potrebbero aggiungersi (magari riflettendo sull'eventuale "divisi- bilità" delle idee e sul loro esse- re soggette a vari tipi di "consu- mo") - mi pare da evidenziare il ruolo che Magris attribuisce al "fattore tempo": un fattore che certamente contribuisce a defi- nire il carattere sui generis dei prodotti della ricerca (il loro es- sere, in ultima analisi, "idee" re- se pubbliche nell'ambizione di divenire "beni collettivi", even- tualmente "utili" a migliorare qualche aspetto della società, ol- tre che a contribuire al progres- so della conoscenza). In propo- sito l'autore scrive, con gradevo- le ironia, che "forse Kant non si sarebbe accinto a scrivere la Cri- tica della ragion pura, che gli ha richiesto tanti anni di studio e fatica, se si fosse scontrato con il vincolo della sopravvivenza eco- nomica e culturale". Tra le molte, importanti tesi asserite e abilmente argomenta- te, una soltanto, forse, non è completamente inattaccabile: la pretesa che "l'impossibilità di far uso del criterio falsificazioni- sta in gran parte delle scienze umane - tra cui l'economia - rende a sua volta possibile l'uti- lizzo della teoria ai fini della promozione di qualche specifico interesse di parte". Pur senza av- venturarsi in antichi dibattiti metodologici intorno ad aspira- zioni o disillusioni monistiche, sembra meritare qualche proble- matizzazione il carattere "me- diato" del nesso (in effetti possi- bile) tra la (presunta) impossibi- lità di distinguere il vero dal fal- so su basi empiriche nelle scien- ze umane e la licenza (che secon- do l'autore da ciò può derivare) a servire, proprio attraverso la ricerca scientifica, interessi di parte: una mediazione che, quando si traduca non solo in esplicite dichiarazioni di relazio- ne ai valori, ma anche in sforzi argomentativi volti a giustificar- ne la bontà intrinseca o a esibir- ne la bontà delle conseguenze, permette di conferire una parti- colare oggettività al sapere "pro- dotto" dalle scienze economico- sociali (preservandone almeno la possibilità di realismo). Nelle conclusioni, dove pure non si propone una soluzione a un problema così difficile, non nuovo, ma nuovamente attuale, quale è quello della valutazione della ricerca e della selezione del corpo accademico in base al merito, Magris dà prova di sag- gezza nel denunziare "chi rica- va un piacere fisico, un fremito quasi erotico, a mettere in ridi- colo l'Italia, a ingigantirne i di- fetti e ad enfatizzarne le maga- gne", invitando a "valorizzare e mantenere in vita una tradizio- ne culturale, scientifica ed eco- nomica che in certi frangenti storici è stata all'avanguardia mondiale e la cui spinta propul- siva non si è ancora del tutto esaurita". Anche perché ispira- to da onesto realismo e misura- to ottimismo, quindi, il libro di Magris trova piena ospitalità tra quei (pochi) volumi recenti de- dicati allo stato delle nostre uni- versità che "L'Indice della scuola" intende promuovere. ■ fiammetta.corradigunipv.it F. Corradi insegna teoria sociologica all'Università di Pavia