N. 6 Idei libri del mese| VILLAGGIO GLOBALE da BUENOS AIRES Francesca Ambrogetti L'edizione del 2012 della Fiera del libro di Buenos Aires sarà ricordata perchè è sta- ta l'occasione nella quale il grande scrittore messicano Carlos Fuentes è apparso in pubblico per l'ultima volta pochi giorni prima della sua scomparsa il 15 maggio. Se- condo l'autore una. delle sfide del romanzo attuale è quella di dare spazio alla simulte- neità e lasciarsi alle spalle la semplice e co- moda linealità. Fuentes si è domandato perchè la scrittura è condannata alla suc- cessione e gli è negata la coesistenza dei tempi. "La letteratura - ha detto - deve proporre un modo di leggere e interpretare il testo e immaginare ciò che la pagina offre in modo lineale per creare la simultaneità dell'opera". Buenos Aires in occasione del- la Feria ha ospitato anche un altro impor- tante scrittore latinoamericano, noto per il suo progressismo e mpegno politico. Eduardo Galeano ha presentato a Buenos Aires il suo ultimo libro Los hijos de los dias, uno dei più venduti. È una raccolta di 365 testi, uno per ogni giorno dell'anno. Al- cuni sono brevissimi, nessuno supera la pa- gina e toccano argomenti storici o di stretta attualità, di arte e di costume, di politica e di cultura, di sconfitte e di una modesta vit- toria: quella di restare vivo un giorno anco- ra. È uno dei riconoscimenti più ambiti da- gli scrittori latinoamericani e lo ha vinto quest'anno un argentino: la giuria del pre- mio della casa editrice Algaguara per il mi- glior romanzo del 2012 ha scelto tra circa ottocento candidati lo scrittore Leopoldo Brizuela per il suo libro Una misma noche. Si tratta di una storia ispirata a fatti reali ac- caduti durante la dittatura militare degli an- ni settanta e in particolare alla controversa vendita di una fabbrica di carta per giorna- li. Sullo stesso tragico periodo storico ar- gentino un noto autore di saggi, il giornalista Ceferino Reato, ha appe- na pubblicato un libro con una lun- ga intervista all'ex presidente della giunta militare Jorge Videla, in car- cere perchè giudicato colpevole di gravi violazioni dei diritti umani. da LONDRA Simona Corso Per i lettori del Times Literary Supplement o della London Review o/Books, Stefan Collini, professore di letteratura inglese e storia cultu- rale presso l'Università di Cam- bridge, è una vecchia conoscenza. Accanto a una fervida attività di studioso (tra i suoi titoli più recen- ti: Absent Minds: Intellectuals in Britain, 2006, e Common Reading: Critics, Historians, Public, 2008), da un paio di decenni Collini si è assunto il gravoso e meritevole compito di "difendere" l'università in tempi di crisi; o almeno di aiu- tarci a capire come funziona, per- ché è giusto che sia finanziata (an- che) col denaro pubblico e perché è vitale che continui a esistere e, si spera, a crescere. What are Univer- sities for? (Penguin 2012) getta lu- ce, idee e anche humour sul dibat- tito ormai rovente sul ruolo delle università nella società contempo- ranea. Il libro è diviso in due parti. La prima, composta da materiali inediti, riflette sulla funzione degli studi universitari oggi, sui prece- denti storici dell'istituzione, sul modo in cui è cambiata l'università in Gran Bretagna negli ultimi ses- santanni, sulla natura e 0 valore degli studi umanistici (quelli che Collini conosce meglio, ma anche quelli oggi più minacciati dalla cre- scente e nefasta tendenza a trattare l'educazione superiore come fosse merce - spendibile, commercializzabile, quantifica- bile in denaro). La seconda parte raccoglie materiali più occasionali composti in un arco di tempo che va dal 1989 al 2010: ar- ticoli scritti in risposta a dossier governati- vi, interventi radiofonici su nuove propo- ste di riforma del sistema universitario, pezzi satirici e abrasivi che fanno la paro- dia del burocratichese e commercialese che è ormai diventato la nuova fede nazio- nale in Inghilterra come, ahimè, da noi. Contrariamente a quanto si potrebbe cre- dere, anche gli interventi della seconda parte, benché più legati al contesto britan- nico, sono assai rilevanti per l'università italiana, che in questi ultimi decenni ha su- bito cambiamenti e tagli molto simili a quelli toccati in sorte alle università ingle- si. La seconda parte del libro ha inoltre il pregio di far capire quale è stata la tenden- za, progressivamente più esplicita, dei vari governi, anche di schieramenti diversi, nel trattamento riservato all'università: la ten- denza a trattare l'università come un'azien- da, che va implementata nei settori in cui produce maggiori profitti e mortificata (quando non addirittura liquidata) nei set- tori improduttivi. La logica della impiega- bilità dei laureati, dell 'utilità di alcune di- scipline e inutilità di altre, della necessità di impartire skills agli studenti piuttosto che spirito critico e amore per la cono- scenza, dell'impact come principio guida della ricerca, rischia di cancellare tradizio- ni di sapere (gli studi classici, la filosofia teoretica, l'astrofisica?) che hanno contri- buito a creare la civiltà in cui viviamo. Le università - scrive Collini - sono il luogo in cui è possibile estendere la nostre cono- scenze su noi stessi e sul mondo in un'e- splorazione potenzialmente illimitata i cui risultati sono imprevedibili. È un'eredità intellettuale che ogni generazione custodi- sce e arricchisce per la successiva. È depri- mente pensare che in un paio di genera- zioni potremmo distruggerla. Su questi te- mi Collini riflette da decenni e con l'intel- ligenza critica, la cultura e la serietà di uno specialista. Leggetelo in massa. da NEW DELHI Silvia Annavini Bere chai e fumare beedi sono i gesti che scandiscono il ritmo del sospiro sotterra- neo di Delhi, un margine ben definito dal- le strade, dai mercati dentro cui si possono incontrare in angoli polverosi quei volti che si distinguono quasi a fatica fra gli oltre venti milioni di abitanti della città. La pre- parazione del tè e il passaggio circolare del- le sigarette di tabacco o di marijuana dà rit- mo e visibilità alla narrazione di A Free Man (Penguin Books India, 2011), certa- mente una delle ricerche più affascinanti e attendibili sulla periferia metropolitana de- gli ultimi anni. Aman Sethi non propone soltanto un reportage, ma fornisce un reso- conto esperienziale piuttosto denso senza negare le frustrazioni, il coinvolgimento umano ed emotivo che il proprio lavoro di inchiesta comporta. Attraverso un linguag- gio ridotto al minimo, contaminato da un hindi che diventa quasi refrain, ritornello narrativo, Aman Sethi riesce a fornire i co- lori e le sensazioni dell'esperienza, i suoni di una coesistenza sensitiva ed emozionale di una periferia ridise- gnata attraverso i contorni di una libertà politica e sociale, personale e affettiva. La filosofia del lavorato- re itinerante sembra svolgersi len- tamente di fronte ai nostri occhi come un corollario man mano che si sciolgono i lacci che attanagliano la reticenza e l'elusività del prota- gonista e degli altri personaggi che animano Bara Tooti Chawk a Sadar Bazar. L'ambientazione non è ca- suale. Sadar Bazar, infatti, è una sorta di cronotopo bachtiniano in grado di riassumere contempora- neamente lo spazio e il tempo di una capitale dai contorni rabelai- siani. Ma Aman Sethi ci riporta al binomio semantico basilare di que- sto cronotopo, che non è soltanto una delle più estese aree commer- ciali della città, un enorme bacino di raccolta quotidiana della forza lavoro, ma anche un luogo simbolo della battaglia politica per la liber- tà, consapevole centro propulsore della liberazione: "Mahatma Gandhi used to come here ali the time. He carne to supervise the burning of foreign goods during the azadi andolan", spiega un vec- chio negoziante proprio nelle pri- me pagine del libro. Questa consa- pevolezza politica non viene mai meno nel corso della narrazione. A Free Man si conclude proprio con un profilo abbozzato della vita di Ashraf, che commenta sarcastico: "Like a government form: name, date of birth, mother's name, place of residence, everything. Our faces are pasted in your notebook, our voices ali locked in your recorder". È infatti proprio nel non scritto e nel non detto che risiede il privile- gio inviolabile dell'autodetermina- zione: "The past is done, Aman bhai. In future we will only talk about the future". Appunti di Federico Novaro 64T>is", "Supereconomici" e 11" mini". Tre nuove colla- ne economiche di tre piccolo- medie case editrici, Quodlibet, Voland e minimum fax: tre pro- getti affini, seri e interessanti, di notevole eleganza grafica e di programma, per rispondere alla volatilità, obbligata dalla saldatu- ra tra filiera produttiva, distribu- tiva e di vendita, ormai apparen- temente inamovibile, che, com- piuta dai grandi marchi, forza un mercato che ha per sua natura tempi lunghi. Trasferire in una collana economica i propri titoli di successo è pratica che l'edito- ria moderna conosce bene. Caso più esemplare gli "Oscar" Mon- dadori. Questo avveniva una vol- ta esaurito il carattere di novità di un titolo, e consolidata la sua no- torietà, processo che poteva an- che impiegare anni per dirsi con- cluso, e che aveva nel catalogo, nei magazzini e nelle librerie i luoghi dove dispiegarsi. Così an- che il gesto di Newton Compton, fra i marchi editoriali quello che più ha contezza di come si operi sul mercato puntando sui prezzi bassi, che manda in libreria "Gli insuperabili", nome un po' bullo di una collana che ripropone i propri best seller, al prezzo di 5,90 euro, non risponde solo al- l'esigenza di allargare il proprio mercato per titoli che hanno già ripagato i propri costi, ma anche, primariamente, al pericolo di scomparire da quel mercato pri- ma di avere esaurito le proprie potenzialità, mascherandosi da novità: poiché solo così si è appe- tibile per la grande e cieca mac- china distributiva. Alla medesi- ma, dissennata, esigenza rispon- dono, con classe coerente, e con il proprio brand, le tre case edi- trici dì cui si diceva. Quodlibet con la "bis", nome ironico ma programmatico. In brossura, disegnata da dg, man- tiene il bianco storico della casa editrice, giocando qui con atte- nuati omaggi einaudiani: il qua- drato in copertina, appoggiato però in basso e sotto le indicazio- ni di autori e titolo qui allineate a sinistra, così come la font della quarta, che evoca le quarte degli "Struzzi". I primi due titoli: Ivan Illich, Pervertimento del cristiane- simo-, Gilles Deleuze e Giorgio Agamben, Bartleby. La formula della creazione. Alberto Lecalda- no disegna per Voland una delle sue più riuscite interpretazioni dell'idea di collana. 183 x 11 cm, resi ancora più verticali da due bande in colore che corrono sui margini in copertina, grande il nome dell'editore gerarchica- mente sullo stesso piano di auto- re e titolo disposti dall'alto a ban- diera allineati a sinistra, un dise- gnino nella parte restante della copertina in posizione mobile in- sieme a un breve testo e, sulla de- stra, contornato in basso da una lieve ombra, un cerchio giallo si diverte a citare le coccarde adesi- ve dei prezzi urlati e riporta il no- me della collana ripetendo il no- me dell'editore, come una ri- dondanza non pensata, efficace e ironica. Sei-ot- to titoli all'anno per 7 euro ripre- si e ripensati (Come sono strani gli uomini di José Ovejero esce nei "SE" nella versione di Bruno Arpaia dopo la prima edizione del 2003 a cura di Federica Fra- sca). In quarta testi brevissimi, a ribadire la notorietà già conqui- stata. Minimun fax con i "mini" gioca sulle assonanze e disegna con Riccardo Falcinelli una colla- na agile e allegra che ribadisce le linee programmatiche delineate in Lare i libri (cfr. "L'Indice", 2011, n. 11, Appunti), introdu- cendo delle bande sghembe e co- lorate da locandina anni cin- quanta che in quarta attraversano un bianco squillante e in coperti- na si sovrappongono a illustra- zioni a tutta pagina, spesso ripre- se dalla prima edizione, per non disperdere il patrimonio di visibi- lità accumulato. Otto-dieci titoli all'anno che si caricano anche il compito di rimescolare, muovere i materiali che si sono depositati nel catalogo, anche introducendo inediti, o riprese da altri editori, uno strumento agile e che po- trebbe contribuire a sciogliere la percezione forse troppo rigida per un marchio che aspira a non deflettere dalla linea di crescita degli ultimi anni. Due primi tito- li: Dio la benedica, dottor Kevor- kian di Kurt Vonnegut; Il tempo materiale di Giorgio Vasta.