In queste pagine, oltre al comunicato della giuria, pubblichiamo alcuni brani scelti dell'opera vincitrice A viso coperto di Riccardo Gazzaniga e della prima delle e o • te N • te O e •"tei e O e •55 o £ Oh •te 3 CQ A viso coperto di Riccardo Gazzaniga Lupo si alzò alle otto e dieci, rincoglionito dal cat- tivo sonno e dalla tensione della giornata prece- dente. Di solito dopo gli scontri si sentiva bene e ri- posava come un bambino. I tafferugli gli davano un senso di pace, placavano la sua furia per qualche ora. Invece stavolta si era rigirato nel letto come un serpente incazzato. Cera il pensiero di Lisca che lo agitava. Cazzo, doveva riprendersi e tornare a posto. Però loro avevano sbagliato con lui. Lupo 10 sapeva che Lisca non era adatto a quel genere di cose. Era un bravo cristo, si sbatteva per il gruppo e c'era sempre, ma non bastava, perché fare gli scontri non era una cosa per tutti. Come fra gli ani- mali, no? I più forti resistevano, i deboli ca- devano. Quel pasticcio doveva diventare una lezione per il futuro: ci voleva gente con le palle, per loro. Punto e basta. Lupo era appena uscito dalla doccia. Acce- se lo stereo e mise a palla una canzone degli Erode per ricaricarsi. Il pezzo si chiamava Frana la curva. Lasciò andare la strofa, poi iniziò a cantare a squarciagola il ritornello mentre si vestiva. Frana, la curva frana, sulla polizia italiana. Frana, la curva frana su quei figli di puttana! Continuò a gridare, sfogando la rabbia. Ma 11 motore che la alimentava faceva presto a ri- caricarsi e lui avrebbe voluto essere di nuovo lì, allo stadio, a fronteggiare gli sbirri. Se avesse sospettato quanto era capitato a Lisca, avrebbe dato battaglia ancora più dura. Nel- la bolgia, nelle grida, con l'adrenalina che sparava dritto nel cervello, altro che la coca. Se avesse potuto avrebbe scassato la testa a qualche celerino. Era stato un weekend coi fiocchi: prima la ripassata al doriano in discoteca, poi il taffe- ruglio con la polizia, il secondo in una setti- mana. Se solo non fosse andata male a Lisca, tutto sarebbe stato perfetto. Su Internet già si parlava di loro con il nome che lui aveva scelto: Facce Coperte. Ne era enormemente fiero. [...] Per fortuna che il loro gruppo era apolitico. Lupo la schifava, la politica. Certo, anche lui non poteva vedere Berlusconi, ma questo non voleva dire stare a sinistra. Lupo gli stranieri e i froci non li poteva vedere. E nemmeno le merdose zecche tipo punkabbestia. Malvestiti, puzzoni e pure cagasotto. Facevano casino so- lo quando erano in tanti e se avevano le coper- ture giuste. Parlavano con la Digos, prendeva- no accordi, aspettavano i giornalisti per fare tafferugli di due minuti con riprese e foto. Tutta scena, mica come gli ultrà. Gli ultrà ragionavano con la testa loro. Facevano casi- no senza regole, quando era necessario. Quando la sbirraglia cercava di metterli sot- to o le regole non gli andavano giù o quando dovevano vendicare qualche schifezza. A vol- te sbagliavano, a volte non era il momento e finiva male. Ma il punto era che gli ultrà se ne fregavano delle regole. Noi facciamo il cazzo che ci pare. Era uno degli slogan che Lupo amava di più. Nel 2001, al G8, era pieno di ultrà. Lo raccontavano in pochi, come se tutti quelli che erano in piazza in quei giorni fos- sero dentro movimenti politici. Invece gli ul- trà avevano giocato un ruolo importante ne- gli scontri di piazza, anche se non c'entrava- no con i blitz dei black bloc, che erano un'al- In mezzo ce n'erano anche di destra e di quasi fascisti, come lui. Gente che si era anche pestata con le zecche, ma stavolta voleva starci insieme per aggredire la polizia. Si trattava di un'occasione da non perdere, una specie di resa dei conti. E in effetti era stato incredibile: ore e ore di scontri, più che altro lanci di oggetti continui, per- ché di corpo a corpo Lupo ne aveva visti pochi. Ma ricordava bene mentre scendevano giù verso il centro, con il corteo, da via Tolemaide, in mezzo alle tute bianche che facevano i pacifisti ma erano bardati come in guerra. Lui c'era, quando i carabinieri avevano caricato senza che se lo aspettassero ed era scoppiato il ma- cello in cui era morto Giuliani. Uno che tra l'altro non c'entrava un cazzo. Non era un ultrà e neppu- re un attivista. Di sicuro era uno che di scontri non ci capiva una mazza, vista la fine che aveva fatto. Avevano detto che dovevano lasciarli arrivare si- no alla zona rossa e concedergli un po' di scontri lì, vicino ai cancelli. Sembrava che ci fosse questo tra storta ancora. Tanti degli ultrà venuti a Genova apparte- nevano comunque a tifoserie di sinistra. Co- me il Genoa dei gruppi storici ormai spariti o il Livorno, il Perugia, l'Atalanta. Alcuni era- no arrivati spinti da una lontana fede politi- ca, altri solo per dare battaglia agli sbirri. Comunicato della giuria L? Associazione per il Premio Italo Calvino rende noto il co- municato della Giuria che decreta il vincitore e i segna- lati della XXV edizione. La Giuria decide di assegnare il premio al romanzo A viso coperto di Riccardo Gazzaniga per la capacità di coinvolgere il lettore facendolo penetrare negli universi paralleli, e poco noti, delle forze dell'ordine e degli ultrà, illustrandoli con una complessa macchina narrativa caratterizzata dalla molteplici- tà di punti di vista e da una scrittura asciutta e scorrevole ade- guata alla materia, non rifuggendo, coraggiosamente, dal mo- strare luci e ombre di entrambi gli universi. La Giuria decide inoltre di segnalare La casa di Edo di Pao- lo Marino, un testo di intensa qualità letteraria, che, affidan- dosi a un misurato registro tragicomico, riesce nella sottile im- presa di raccontare l'esistenza di un adolescente fondata sul sospendersi della vita e dalla vita, nella più totale segregazio- ne dal mondo esterno fino all'autoannullamento. La Giuria ritiene infine di segnalare Lo stile del giorno di Fa- brizio Pasanisi per la sorprendente e appassionante capacità di ricostruire, sullo sfondo della grande storia del Novecento e intrecciandole in un ben strutturato impianto narrativo, sul- la linea di frontiera tra saggistica e fiction, le biografie di Tho- mas Mann e di Bertolt Brecht, avvalendosi di una profonda e accurata conoscenza della loro opera. La Giuria: Renato Barilli, Massimo Carlotto, Fabio Geda, Melania G. Mazzucco, Giorgio Vasta. accordo fra alcuni manifestanti e gli sbirri, ma poi dei carabinieri in transito avevano caricato senza motivo e il corteo aveva reagito tirando di tutto. Pareva che dal cielo sereno piovessero oggetti. Lupo non aspettava altro e aveva lanciato pietre e biglie di ferro e aggredito gli sbirri. Quelli avevano reagito cattivi, con gas e gas e gas e poi cariche in cui chi prendevano lo ammazzavano di botte. E lanci di pietre pure dalla polizia, come in una guerra. Del resto lo aveva detto anche il capo delle zec- che, quello lì, come si chiamava? Casarino? "Noi vi dichiariamo guerra", aveva proclamato in tv. E guerra era stata. Il G8 era stato qualcosa di memorabile e non sa- rebbe tornato. Ma, nel loro piccolo, anche le Fac- ce Coperte avrebbero lasciato un segno nella sto- ria ultrà. Dopo le prime apparizioni isolate, aveva- no tirato su due grandi azioni in una settimana, avevano dato battaglia, erano arrivati sui giornali. La gente iniziava a parlare di quel manipolo di ul- trà che non volevano piegare la testa. Finalmente. Finalmente Lupo si sentiva parte di qualcosa di grande. Lo avevano creato loro e lo avrebbero por- tato avanti. [...] La stanza era avvolta dal buio, il letto dis- fatto. I due ragazzi stavano sotto le coperte, abbracciati. Non si vedevano in faccia, nella penombra rischiarata solo dalle luce della strada. Meglio così, evitava gli imbarazzi. Daniela lo abbracciava e gli baciava il petto teneramente, in modo quasi infantile. A En- rico andava bene così. "Mi dispiace, non doveva andare così" mormorò lui. "Non ti devi preoccupare". Nel buio il ragazzo soffocò un sorriso ama- ro. Quella parole sembravano stranamente adulte, nella bocca di lei. Sospirò, sconfortato. "Ti era già capitato?" chiese Daniela. Sta- volta la voce ebbe un'esitazione, come era giusto che fosse. "No" rispose seccamente Enrico. Rimasero in silenzio, ognuno smarrito nei suoi pensieri. Lei aveva smesso di baciarlo, si limitava a stringerlo. Lui sentiva il profumo dei suoi capelli puliti, il contatto del suo seno sul braccio. Ma sotto, tra le gambe, niente. Come niente era stato prima: tutto fermo come un ci- mitero. L'intensità con cui aveva atteso quella sera era pari solo alla sua frustrazione. Si senti- va come un cavaliere senza spada, un soldato disarmato. Era deluso, triste, arrabbiato. Avrebbe voluto sparire da quel letto di spine ed essere teletrasportato lontano, a casa, ad af- frontare da solo i suoi pensieri. Per un attimo aveva pensato di farlo, di rivestirsi e andarsene. Ma avrebbe ferito Daniela e lei non lo merita- va. Almeno questo le doveva: restarle vicino. Lo racconterà alle sue amiche, sicuro. Lo fanno tutte le ragazze. Queste stronze non sanno stare zitte, devono sempre dirsi tutto. Le chiederanno come è andata. Vorranno sa- pere tutto. Così lei racconterà e tu farai la fi- gura del frodo. Maledì quei pensieri figli dell'egoismo. Doveva darle una spiegazione: Daniela non era mai stata con nessuno. Poteva non capi- re. O non sapere. O pensare che... Che lui non la desiderasse, cazzo. Oppure che fosse impotente, Santoddio! Non doveva succede- re. Se le spiegava la situazione, forse poteva metterci una pezza. Prese fiato. "Non è colpa tua. Lo sai, vero? Non c'en- tri niente tu". Daniela non disse nulla. "È che...". Il ragazzo si passò una mano fra i capelli e sugli occhi. "Non ci sono con la testa. Oggi è stata una giornata di merda, ecco. Proprio di merda". "È per la partita di stasera" sbottò lui e si rese conto di averlo fatto solo quando le pa- role erano già scappate di bocca. "Per la partita?" chiese la ragazza e stavol- ta la sua voce era più dura. Bravo. Adesso o le dici tutto oppure sei fottuto. ■