co cu ■te •te e •M k e •te •te 0 oq © © © © © © k a o © sì •io Una fabbrica nel silenzio di Laura Olivetti Il solo documento filmato di una certa rilevanza in cui appare Adriano Olivetti è una lunga e bella in- tervista per la televisione, rilasciata al filosofo Emilio Garroni all'inizio di febbraio del 1960, pochi giorni prima della sua improvvisa scomparsa. Sono immagi- ni in bianco e nero di un breve documentario che la Rai volle realizzare per raccontare Ivrea e, appunto, Adriano Olivetti, prima puntata di un ciclo dedicato agli imprenditori italiani. Nel filmato mio padre gui- da Garroni e la troupe in una visita di Ivrea: le mo- derne aree di produzione, gli edifici dei servizi socia- li, le biblioteche di fabbrica, ma anche la città vec- chia, il territorio. In altre parole, mostra orgogliosa- mente il lavoro che, in quegli anni fervidamente, Co- munità e la Olivetti, in modo coordinato, stavano ef- ficacemente svolgendo per costruire quello che, nel- l'occasione, viene giustamente definito "un progetto pilota di comunità". L'intervista fu girata in un fine settimana, verosi- milmente una domenica. Guardandola, riconosco, infatti, le linee di produ- zione di macchine per scrivere ferme, davanti al- le quali, dopo aver visita- to la biblioteca, Garroni, da uomo intelligente qua- le era, chiede a mio padre perché lui amasse andare in fabbrica in quei mo- menti, quando questa non era in funzione. La ri- sposta, tanto inconsueta perché affidata alla parola anziché, com'era nel suo carattere timido, ai fogli di un discorso occasiona- le o di un articolo, è di quelle fondamentali per comprendere la vicenda olivettiana e, in qualche modo, per comprendere anche Adriano Olivetti. Quando la fabbrica è fer- ma, quando le macchine tacciono, dice, il proble- ma fondamentale, la do- manda essenziale dell'uo- mo, emerge in tutta la sua forza, è in quel momento che si fa più evidente. Quando ero bambina mio padre mi portava spesso con lui in fabbrica, er appunto, lo faceva al sa- bato o alla domenica. Era una persona che, come si può immaginare, lavorava moltissimo, e altrettanto viaggiava, il tempo da tra- scorrere insieme era perciò prezioso. Ho sempre pen- sato che quelle mattinate insieme in Ditta, così la Olivetti è sempre stata chiamata in casa nostra, fossero l'occasione per te- nermi qualche ora con sé. Per tanti anni ho guar- dato le immagini di quel documentario cercando le cose che mi erano più famigliari, e domandan- domi quali fossero, tra le tante, quelle importanti da fissare per ricordarmi di mio padre. Solo da adulta ho capito che quella risposta data a Garroni, che poi altro non è che la verbalizza- zione di un dubbio pro- fondo e autentico, rac- chiude il senso delle que- stioni che mi ponevo: rappresenta il legame che unisce la storia pubblica di Adriano Olivetti e quella di mio padre; mi permette di accogliere FONDAZIONE BOTTA RI LATTES l'afflato spirituale e la forza programmatica che quelle parole sottendono ed esigono senza dover rinunciare al mio sguardo di figlia. E lì, infatti, che ho trovato la ragione per la quale mio padre mi portava con sé in quelle poche ore del sabato; ed è lì che ho trovato i principi che hanno fondato lo statuto della Fondazione che oggi ho l'onore e la responsabilità di guidare. Esiste un elemento di continuità in tutta la storia olivettiana, un elemento che cerchiamo di mante- nere vivo e di rappresentare con le nostre attività, speriamo in modo coerente e dignitoso, e che af- fonda le sue radici più profonde proprio nell'impe- gno e nella metodologia progettuale che il dubbio contenuto in quella risposta porta con sé. Lo fac- ciamo attraverso l'impiego della tradizione speri- mentale che proviene dall'esperienza olivettiana, cercando di trovare nuovi campi applicativi a quel- le idee e a quei metodi attraverso i progetti che ca- ratterizzano i quattro ambiti d'intervento delle no- stre attività. Ricordare oggi Adriano Olivetti, i trat- ti salienti della sua opera sociale, politica, cultura- le, significa per noi, anzitutto rinnovare, con altret- tanta forza e autentico spirito dubitativo, in signifi- cato profondo quella risposta. CONVEGNO La Fabbrica al tempo di Adriano Olivetti di Paolo Mauri LA FABBRICA AL TEMPO DI ADRIANO OLIVETTI, convegno ideato da Paolo Mauri e Caterina Bottari Lattes Torino, 13 giugno 2012 Teatro Vittoria, v. Antonio Gramsci 4 L9 idea di un convegno dedicato ad Adriano Olivetti è nata discutendo con Caterina Bot- tari Lattes di nuove possibili iniziative del Premio Grinzane, ora promosso dalla Fondazione Bottari Lattes. La cosa più semplice, trattandosi di un pre- mio letterario , era quella di dedicare spazio alla fi- gura di alcuni scrittori, ma ci sembrava di dover dare subito un segnale che riguardasse più da vici- no la difficile situazione italiana, specie da un pun- to di vista economico, con un taglio nel quale fos- sero coinvolti non solo i politici di professione o i "tecnici", ma anche gli intellettuali, gli umanisti, gli scrittori. In questo senso il nome di Olivetti è ve- nuto fuori quasi d'impulso. Se si cerca un trait-d'u- nion tra l'attenzione alla persona, al territorio e al- la produzione industriale non si può non pensare a Olivetti, che negli anni cinquanta e sessanta conce- pì il lavoro industriale in modo del tutto nuovo e profondamente rispettoso dei diritti dell'uomo. Adriano Olivetti può dunque ancora costituire un riferimento molto concreto per chi intenda ragio- nare sulla cultura del lavoro. Non c'è dubbio che negli ultimi anni è proprio questa cultura ad aver subito attacchi spropositati: come è possibile, ci si domanda, un episodio come quello della fabbrica di Eternit, seminatrice di mor- te al punto da far pensare addirittura ad una strage che si è prolungata negli anni? E come è stato pos- sibile un caso aberrante come quello della Thyssen, con gli spaventosi roghi umani a sottolineare la tra- gedia della mancata tutela, quando non addirittura dell'incuria e dell'abbandono? Sono episodi troppo noti perché sia necessario qui ricordarli nel detta- glio. Quello che preoccupa più in generale è la ca- duta di una cultura del lavoro , facilmente ignorata in una situazione di crisi che vede in discussione l'e- sistenza stessa del posto in fabbrica e dunque liqui- da tutela e qualità del lavoro come questioni secon- darie. Ma, ci si domanda, come può una fabbrica essere seriamente competitiva se tutto, a cominciare dal la- voro degli operai e degli ambienti in cui operano, non è di primissima qualità? In questo senso l'e- sempio di Adriano Olivetti è ancora di grande per- tinenza e attualità: si tratta, secondo noi, di trarre profitto dalle esperienze più progredite, rapportan- dole alla situazione attuale. Lavorando all'organizzazione del convegno del 13 giugno ci siamo accorti che il riferimento ad Olivetti era tutt'altro che archeologico. Olivetti è in realtà oggetto continuo di studio e si consideri che il "pacchetto Olivetti" comprende, come si è già accennato, oltre al lavoro in fabbrica, la ge- stione del territorio, i servizi sociali, gli asili nido per le dipendenti, le biblioteche, il problema de- gli alloggi e dunque dell'urbanistica, gli interven- ti al Sud ... Sono ovviamente problemi complessi e che ri- chiedono tempo, ma, come alcune realtà industriali anche oggi dimostrano, non sono insolubili. È però essenziale che vi sia un progetto che riguardi la cul- tura del lavoro. Proprio mentre progettavamo il convegno del 13 giugno, a Ivrea, come abbiamo saputo poi, si lavo- rava per costruire una Fabbrica della Cultura che dovrebbe avere come sede l'antica officina Olivetti in mattoni rossi. E di buon auspicio che alla Cultu- ra della Fabbrica faccia riscontro una Fabbrica del- la Cultura, a partire persino dagli stessi luoghi. E come se il cerchio si completasse, dimostrando che le utopie possono poggiare concretamente con i piedi per terra. Tutte le informazioni su programma e prenotazio- ne posto (facoltativa ma consigliata) si possono trovare sul sito www.fondazionebottarilattes.it Si dice che il linguaggio degli esseri umani si di- stingua da quello degli altri essere viventi, per la possibilità che ha di contemplare l'infinito. Ecco allora che anche il dubbio più radicale, l'interro- gativo esistenziale può trovare un esito inedito, non nella formulazione di una certezza, ma in una ricerca consapevole degli strumenti per interpreta- re e intervenire nella realtà circostante, con dedi- zione, applicazione e metodo. E stato, infatti, il tentativo, coordinato e consapevole, di introdurre un nuovo modo di risolvere in modo armonioso le sfide che la modernità poneva, ciò che ha permes- so all'Olivetti di essere un modello industriale al- l'avanguardia nei sistemi organizzativi, produttivi e, in definitiva, in tutti gli altri campi applicativi che attraversò. Lo stesso vale per l'esperienza di Comunità, grazie all'azione del Movimento, a quella delle Edizioni di Comunità, nei Centri co- munitari diffusi nel Canavese prima, e poi in altri parti d'Italia. Ciò che allora venne anzitutto messo al centro di quelle esperienze, è stato la ricerca e la compren- sione delle esigenze spirituali dell'uomo che, in tempi allora ancora recenti, attraversava il passag- gio traumatico da un mondo certamente più diffi- cile ma spiritualmente accogliente, quello con- tadino, a quello delle macchine. Le conclusio- ni cui tendeva tale ricer- ca diremmo umanistico filosofica - mai definitive come testimonia la pro- posta culturale e scienti- fica del catalogo delle Edizioni di Comunità - vennero poi indirizzate all'elaborazione di piani progettuali per la costru- zione di un sistema socio culturale ed economico adeguato a rispettare e seguire tali esigenze. La Fondazione, che nel 1962, due anni dopo la scomparsa di Adriano Olivetti, fu istituita dai miei fratelli, dai miei zii e da alcuni tra i collabora- tori più vicini a mio pa- dre, ha sempre cercato di seguire questa vocazione che, ripeto, è anzitutto una vocazione di meto- do. Oggi, a distanza di tanti anni, è attraverso la riformulazione della stes- sa domanda fondamenta- le, e nella disponibilità a rispettare i criteri di li- bertà nell'affrontare, con coerenza, le risposte ap- parentemente inattuali, che si trova la ragione profonda dell'importan- za di ricordare Adriano Olivetti, e la ragione per la quale la nostra Fonda- zione è impegnata in quella direzione, a co- minciare dal convegno che si terrà il prossimo 13 giugno a Torino. Af- finché, come diceva Na- talia Ginzburg, quella olivettiana non sia una delle tante intuizioni - e fu molto di più di un'in- tuizione - perse del No- vecento italiano, piene di possibili maestri senza al- lievi. Così come, secondo la cultura giapponese, esiste il colore della tri- stezza, un colore che le persone possono vedere chiaramente, allo stesso modo si dice che esista il colore della speranza. Per me, per noi, oggi, quel colore è uno solo, il bianco e nero di quel fil- mato di fine anni cin- quanta. ■