N. 6 |dei libri del mese| Letterature Economia Filosofia Fascismoe nazismo Antichistica Letterature Erlend Loe, Saluti e baci da Mixing Part, ed. orig. 2009, trad. dal norvegese di Giuliano D'Ami- co, pp. 211, € 15, Iperborea, Milano 2012 I Telemann sono una famiglia norvegese. Lui adora il teatro e odia la Germania, lei dis- degna il teatro e adora la Germania. Hanno tre figli di cui la primogenita gioca compulsiva- mente a tennis mentre gli altri due non fanno nulla che i genitori reputino interessante. I Te- lemann vanno in vacanza un mese in Baviera, a Garmish Partenkirchen: Saluti e baci da Mi- xing Part è la cronaca di quei trenta giorni. Mi- xing Part è la traduzione automatica di Gar- mish Partenkirchen. Perché la famiglia tede- sca da cui i Telemann affittano la casa parla solo tedesco e fa tradurre le e-mail da Google. Il signor Telemann, invece, parla solo inglese e si fa tradurre tutto dalla moglie che parla te- desco. Rapidi dialoghi minimalisti ornano le pagine del romanzo. Sono incolonnati senza rientro e senza fronzoli, neanche virgolette, caporali o trattini. A pagina 39 compare una foto. È di Nigella, procace conduttrice di un famoso programma di telecucina. La foto si in- serisce perfettamente nella narrazione, anzi, ne amplifica ad arte il significato. Sono imper- dibili "l'ora di Telemann", in bagno, scandita dalla durata delle batterie di uno spazzolino elettricp e la presunta allergia che la moglie sviluppa per il marito. Lo stile è tagliente come un rasoio e scarnifica il rapporto di coppia contemporaneo, alienato da repressioni fami- liari, da Internet e dalle perversioni nascoste. Non è però un trattato di critica della coppia moderna. È una storia circolare di una vacan- za assurda in cui succede tutto quello che può capitare a una coppia in una vita. Un me- se che mette a nudo i meccanismi dell'inco- municabilità tra mariti e mogli e tra genitori e figli. Con degli sprazzi salutari di autoironia, paradossi e leggerezza che rendono il rac- conto simpaticamente originale. Una lettura che demolendo la coppia la invita a non pren- dersi troppo sul serio e ad andare avanti lo stesso sorridendo della propria follia. Federico Jahier Alexi Zentner, Il ghiaccio fra le mani, ed. orig. 2011, trad. dall'inglese di Federica Oddera, pp. 241, € 19,50, Einaudi, Torino 2012 "Quella neve sibilava. Gli ricordava il fuoco, le cavallette, una forza divorante e distruttiva". Il romanzo propone stridenti connubi tra neve e fuoco, morti e resurrezioni, paesaggi idilliaci e creature dagli occhi lattiginosi. In una'trama non cronologica si intrecciano i drammi del protagonista, dei suoi genitori e dei suoi nonni. Soprattutto quelli del nonno Jeannot, entrato nel mito come creatore di Sawgamet, una geli- da cittadina nel profondo delle foreste canade- si. Il giovane Jeannot e il suo cane Flaireur ave- vano trovato in modo fortunoso una grossa pe- pita scatenando la febbre dell'oro e la prima fa- se della città. La seconda fase vide il passag- gio dall'oro al legno. Una volta esauriti i filoni del metallo prezioso, si cominciò ad abbattere il legno pregiato. Gli alberi venivano tagliati du- rante la breve estate e portati a valle sul fiume prima che il ghiaccio del lungo inverno impri- gionasse tutto. Il protagonista io narrante ritor- na a Sawgamet nell'imminenza della morte del- la madre. Al suo capezzale rivive i drammi dei familiari morti ma non del tutto, visto che vaga- no in cerca di pace nella foresta o sotto il ghiac- cio. Aleggia il mistero sulla morte della nonna, la moglie di Jeannot, che viene svelato solo al- la fine in un crescendo onirico. Il libro usa con disinvoltura innesti di flashback su altri flash- back. Eccede nel mito eroico dei taglialegna citando solo di striscio le devastazioni della de- forestazione. La trama sonnecchia un po' fino alla comparsa di Gregory, che indubbiamente provoca una significativa serie di soprassalti. È un romanzo che vive di antichi miti dei boschi e delle saghe famigliari con contaminazioni dop- pleganger e che svela un mondo parallelo ge- lido, angosciante e magnetico. (FJ.) Hugo von Hofmannsthal, elettra, ed. orig. 1903, trad. dal tedesco di Nicoletta Giacon, introd. di Paola Gheri, pp. 193, testo tedesco a fronte, € 14, Marsilio, Venezia 2012 Continua presso Marsilio la meritoria riedizio- ne di classici tedeschi e inglesi con testo a fron- te, sempre corredati da una sapiente introdu- zione, commento e bibliografia aggiornata. Con l'Elettra, la tragedia spesso ripresa da vari teatri europei, la collana diretta da Maria Fancelli rag- giunge il quarantunesimo titolo a disposizione di lettori e studiosi. Il contesto in cui matura il rapporto di Hofmannsthal con la tragedia di So- focle è quello psicoanalitico, come ha ripetuta- mente notato la critica. Sono anni, quelli del pri- mo Novecento, in cui le discipline si parlano co- me in un gioco di reciproci riflessi utilizzando la stessa memoria mitologica. In un saggio del 1913, Jung introdurrà il concetto di Elektrakom- plex, teorizzando l'ostilità della femmina verso la madre a fronte di un forte attaccamento alla fi- gura paterna. Con Hofmannsthal il teatro respi- ra di nuovo l'atmosfera delle feste di Dioniso. Il poeta erotizza la sua Elettra, le dà un linguaggio di carne e sangue: il corpo si fa genesi di paro- la, architettura narrativa. Non più vergine algi- damente platonica, sulla via di Nietzsche e di Strauss, Elettra esperisce la sua gaia scienza. Il nodo tragico è complesso: la figlia di Agamen- none, se pur degradata da Clitennestra dal suo status di principessa reale, sente nel corpo le regole di appartenenza al ghenos. Ma l'impulso eversivo alla vendetta è dominante, e non deri- va - come nei classici - da una volontà divina. Muove dalla sua dote di sventura, dalla sua anima che è "incendio e ferita", inalberandosi lungo una verticale di porpora e sangue con ri- sonanze di estasi mistica. Gheri ripercorre con acribia filologica la genesi del testo, collocan- dolo opportunamente nell'ambito del diverso rapporto con i classici che investe il Novecento. Il confronto con il testo originario di Sofocle si fa dirimente: il mito diventa nel giovane Hofmann- sthal telaio narrativo per la messinscena delle pulsioni psìchiche di un universo malato. Lo stesso elemento mimico traduce una "patologia soggettiva", ovvero una forma di isteria che non trova sbocco nel linguaggio. La travolgente danza finale di Elettra diventa allora espressio- ne di un secolo che vive la malattia come "es- senza dell'esperienza tragica" della modernità. Anna Chiarloni gennaio del 1841 si imbarca sulla baleniera Acushnet, diretta verso i Mari del Sud. Nel giu- gno dell'anno seguente la nave attracca sull'i- sola di Nuku Hiva, nell'arcipelago delle Mar- chesi, in Polinesia. Qui, con alcuni compagni, Melville diserta e fugge nell'entroterra, dove trascorrerà un mese con i nativi (permanenza poi estesa a quattro mesi nel testo, per ag- giungere credibilità al "realismo"). Tornato in America dopo un lungo viaggio, inizia a scri- vere il suo resoconto-romanzo, inaugurando il metodo di lavoro che, a ben diversi livelli di elaborazione, si ritroverà in tutte le sue opere, l'amalgama di impressioni soggettive e fonti di seconda mano. Per quanto lontani si sia qui dagli esiti di Moby Dick, è comunque eviden- te come l'intento "autobiografico" e "antropo- logico" siano semmai espedienti editoriali, che peraltro si riveleranno azzeccati, e come l'aspirante scrittore si sperimenti invece nella libera narrazione. Nel testo non mancano con- siderazioni morali e una critica alla supposta superiorità dell'Occidente, come nel parallelo tra il cannibalismo dei "ripugnanti miserabili senza princìpi" dell'isola, attuato però "sola- mente quando cercano di saziare la loro sete di vendetta sul nemico", e pratiche occidenta- li come le guerre e le pene capitali, per le qua- li si domanda se non siano "sufficienti a di- stinguere l'uomo bianco civile come il più fe- roce animale che esista sulla faccia della ter- ra". Il grande successo di Typee incoraggerà Melville a proseguire nella narrazione delle sue avventure, e nel giro di sei anni, quelli che separano l'esordio dal capolavoro, Moby Dick (1851), il marinaio divenuto scrittore pubblica altri tre romanzi di genere esotico, Omoo (1847), Redburn (1849), Giacchetta bianca (White jacket, 1850), oltre a Mardi (1849), una sorta di satira filosofica. Ma l'accoglienza di queste opere non è più così positiva. Dopo la pubblicazione di Moby Dick, la popolarità del- l'autore declina ulteriormente, i lavori succes- sivi saranno riconosciuti dalla critica solo de- cenni più tardi, come del resto lo stesso Moby Dick, e Melville morirà quasi del tutto dimenti- cato dai contemporanei. Giuliana Olivero Herman Melville, Typee. Avventura in Po- linesia, ed. orig. 1846, trad. dall'inglese di Luigi Berti, introd. di Simone Buttazxi, pp. 286, €15, Piano B, Prato 2011 Accade a volte che la storia editoriale di un romanzo sia di per sé un romanzo: è il caso dell'esordio letterario di Herman Melville, illu- strato da Simone Buttazzi (Il signor H tra i can- nibali) nella sua introduzione a questa nuova edizione del testo melvilliano che ripropone, revisionata, la traduzione di Luigi Berti uscita nel 1951 per Mondadori. Typee: A Peep at Polynesian Life esce nel 1846 quasi in con- temporanea in Gran Bretagna e negli Stati Uniti e subito registra un boom di vendite in entrambi i paesi, suscitando grande scalpore in quanto "storia di vita vissuta fra i selvaggi", in un clima culturale in cui furoreggia l'esoti- smo, ma soprattutto per le descrizioni delle abitudini sessuali dei Typee polinesiani (sba- lorditive per un pubblico occidentale ottocen- tesco, e pure per l'autore stesso): la vicenda "di un giovane finito tra i cannibali che invece di venire smembrato e pappato assiste ai baccanali di un Eden in mezzo al mare". Esi- genze dettate dalla censura, anche per alcu- ne "pericolose" critiche ai missionari religiosi, e l'inaspettato ritorno del compagno di avven- tura creduto morto determinano riscritture e aggiunte al testo, con nuove edizioni sia in- glesi che americane, differenti ma accomuna- te da enormi tirature. La mappa dell'illusorio paradiso terrestre tratteggiata da Melville na- sce dalle sue esperienze come marinaio, per quanto poi notevolmente manipolate. A causa del tracollo familiare, studente di legge poco più che ventenne, Melville, dopo una prima esperienza su un mercantile atlantico, nel Charles Bukowski, scrivo poesie solo per por- tarmi a letto le ragazze, ed. orig. 2010, trad. dall'inglese di Simona Viciani, pp. 321, €17, Fel- trinelli, Milano 2012 Ci sono scrittori che vivono momenti di feli- cità assoluta e che poi si disperdono come meteore dalla durata luminosa tanto breve quanto intensa, bolidi si chiamano, destinati a solcare il cielo per meno di un secondo. Dal- l'appannata stella di Charles Bukowski arriva questa anomala raccolta di testi d'occasione, brevi articoli per riviste pornografiche, raccon- ti erotici scritti in cinque minuti dopo aver vo- mitato litri di birra, lacerti di reading incompiu- ti a causa di sopraggiunte difficoltà, in genere crisi diarroiche o urgenze sessuali. Insomma, testi eterogenei per quanto ispirati da scopi strumentali, soldi facili grazie ai quali conti- nuare a bere. Ed è proprio di questo che Hank Chelaski, come amava farsi chiamare, rac- conta. Di quanto poco sacrale sia la posizione dello scrittore, di quanto fingere di esserlo aiu- ti nella seduzione, di come scrivere sia opera- zione facile e difficile insieme, mai fine a se stessa. Ci sono momenti esilaranti e altri tragi- ci come la totale insensatezza della violenza carnale, grande quantità di aneddoti e com- menti geniali su colieghi scrittori (su Heming- way, su Céline dalle infanzie scorticate), note di costume sulla gratuità della fama. Ma so- prattutto si trova la consapevolezza di appar- tenere a una categoria di marginali, di creatu- re ossessionate da un narcisismo che neppu- re cinque orgasmi al giorno possono control- lare, maschi dalla voracità bulimica, di sesso e di cibo, fragili al punto da vendersi per un tozzo di pane. Una consapevolezza che ha fatto il suo tempo, se pensiamo alla virginea anoressia della nuove generazioni di scrittori americani, intellettuali diffidenti che hanno la- sciato "la strada" per entrare nelle recensioni delle loro lobbies. Camilla Valletti