«VlM Due saggi importanti rovinati e inservibili Tutto, anche niente, è meglio di una pessima traduzione di Mario Cedrini tanza per il pub re di anticipare Capita spesso di recensire un saggio che non si avrebbe nemmeno il bisogno di leggere, poi- ché si è già letto il testo originale del quale il saggio non è che una traduzione. In realtà quel bisogno c'è comunque: perché occorre valutarne l'impor- iblico italiano; perché è bene tenta- 'effetto che il saggio produrrà una volta calato in una letteratura diversa da quella di origine; perché a pubblicarne la traduzione po- trebbe essere un editore generalistico, mentre il te- sto originale è apparso invece per i tipi di un pu- blisher specialistico. Ma se la traduzione non fosse all'altezza dell'originale? Si prenda il recente La globalizzazione intelli- gente di Dani Rodrik (Laterza, 2011). Sull'"Indi- ce" dello scorso dicembre (p. 17) abbiamo passa- to in rassegna alcune tra le "sviste" più evidenti del traduttore, che includono la traduzione di espressioni che non la richiedono ("business as usuai", "attività commerciali come di consue- to"), vere e proprie innovazioni (eufemismo) ri- spetto a usi consolidati ("gold standard", "siste- ma aurifero"), grossolani errori ("self-fulfilling expectations", "aspirazioni appagate"), stravolgi- mento delle tesi dell'autore ("relaxing the re- strictions" è stato tradotto "porre limiti alle limi- tazioni") e assurdità varie - "second-best world", "mondo di seconda __^ categoria"; il "lost decade" dell'Argen- tina nei novanta, un "decennio di dis- orientamento". Ed è ben grave che il let- tore, come gli argen- tini della traduzione, perdano continua- mente l'orientamen- to. Scegliamo una pagina tra le tante: a Bretton Woods si re- gistrò una "concor- danza di opinioni quasi perfetta circa l'esigenza di intro- durre controlli sui capitali. Era ampia- mente riconosciuto che tale consenso unanime sui vantag- gi di una finanza li- bera rappresentava un distacco signifi- cativo dall'esposizio- ne diffusa nell'era del gold standard". Se solo i lettori non fossero impegnati nel tentativo di com- prendere di quale "esposizione" si parli, noterebbero la contraddi- zione tra concordanza sui controlli alla finanza e consenso sulla finanza libera. Purtroppo, la pagi- na è davvero scelta a caso, il saggio è interamen- te così, prendere o lasciare. Una traduzione infelice può capitare, anche ai migliori editori. Ma non si tratta di un'eccezione. Pur amareggiato dalla lettura del volume tradotto di Rodrik, il recensore riesce a compiacersi dalla scelta di Einaudi di pubblicare una versione ita- liana dell'innovativo manuale di Chris Hann e Keith Hart, Antropologia economica. Storia, etno- grafia, critica (ed. orig. 2011, trad. dall'inglese di Edoardo Guzzon, pp. 262, € 19, Torino 2011). Per poi accorgersi, drammaticamente, che i due autori avrebbero definito Keynes un economista "liberista", anziché "liberale", che infatti, si ricor- da immediatamente dopo, "richiese un intervento del governo" per ovviare a un mercato inefficien- te, ciò che i liberisti non farebbero mai. Una sem- plice svista del traduttore, verrebbe da pensare. Certo è anche strano ciò che gli autori dicono a proposito dell'individualismo, che "nella sua for- ma latina di Homo ceconomicus (...) venne im- mortalato come metodologia delle scienze socia- li". "Venne immortalato" per "captured the rise of"? Qui l'errore è strutturale: la traduzione non ha nulla a che vedere con il testo tradotto; né con la lingua inglese né con quella italiana. Il più immaginifico strafalcione, delle pochissi- me pagine lette prima di abbandonare: Karl Po- lanyi e Marcel Mauss "hanno occupato una posi- zione dominante fra gli economisti e si sono con- centrati sui meccanismi della circolazione, men- tre gli altri si opponevano con forza alle loro idee e a gran parte delle loro conclusioni". Tipico esempio di economie imperialism, a partire dal lessico ("posizione dominante"): chi conosca la disciplina economica e abbia letto o anche solo sentito parlare di La grande trasformazione (1944; Einaudi, 2000) e di II saggio sul dono (1925-26; Einaudi, 2002) saprà che a ben pochi economisti interessa Polanyi, e Mauss a nessuno. E chi sa- rebbero gli "altri" che si oppongono? "Both took their lead from the economists in focusing on me- chanisms of circulation, while vigorously oppo- sing their assumptions and main conclusions": in altre parole, i due seguirono gli economisti nel concentrarsi sui meccanismi della circolazione, ma si opposero (Mauss e Polanyi stessi, non fan- Shackleton - Traino tornatici "altri") tenacemente ai loro assunti e al- le loro principali conclusioni. Siamo, anche qui, allo stravolgimento completo delle tesi degli autori. Perso nell'assoluta impossi- bilità di dar senso alle frasi che legge, il lettore che non abbia piena conoscenza dell'originale non può rimediare a simili errori. Il problema non è insom- ma unicamente quello di aver tradotto il "gift" di Mauss con "regalo" anziché "dono", o "returns" (economici) con "rientri", quasi si trattasse di un manuale sulle tastiere dei computer. Si provi a dar senso alla seguente affermazione: "La proprietà privata [nello stato di natura come descritto da Locke] era intesa come il risultato del lavoro, con- dotto senza benefici per un complesso ordine po- litico". Oppure, si legga: "Se Marx ed Engels po- tevano focalizzare il proprio interesse sulla massa crescente degli operai di fabbrica, ...". Nel primo caso, l'originale inglese tratta ovviamente di un la- voro "performed without the benefit of a complex politicai order"; ma l'insensata traduzione italiana non consente di ricostruire il vero significato sen- za uno sguardo al testo originale. Nel secondo ca- so, il testo potrebbe apparire dotato di senso. Ma non quello che gli autori intendevano veicolare: "If Marx and Engels could identify the general in- terest with a growing body of factory workers...". E così via, per tutto il libro. Purtroppo, gli errori che non vengono corretti restano, per essere ripetuti da tutti coloro che se- guiranno (sempre più con il passare del tempo, quando nessuno sarà più in grado, o vorrà, con- trollare gli originali). Soprattutto, lo studente italiano alle prese, magari, con il suo primo ma- nuale di antropologia non si accorgerà dei tradi- menti; tenderà a bere, e tenterà di ricordare, ma non ci riuscirà, perché il libro è illeggibile, non è che un veicolo di assurdità in mezzo alle ovvietà di date e luoghi (non di autori, continuamente mispelled). Due saggi estremamente importanti (il primo in particolare) di fatto rovinati, inservibili. Per colpa dei traduttori, certo, ma anche degli edito- ri. Per quale motivo (azzardiamo: differenze nel- la stima sulle vendite?) la traduzione diviene da centrale nella narrativa a estremamente margina- le nella saggistica? Perché editori così importan- ti non si affidano a traduttori che sappiano di- stinguere, ai tempi della crisi, tra liberali e liberi- sti, che conoscano in profondità la disciplina di riferimento del sag- gio, che padroneggi- no le lingue, quella del testo originale e quella italiana, e sappiano leggere, oltre che scrivere? È un problema di co- sti, si sa: i traduttori sono pagati pochis- simo - li invitiamo, sul nostro blog, a fornirci dati sulle re- tribuzioni e le con- dizioni generali del mestiere appunto ai tempi della crisi economica, dell'edi- toria, della cultura -, un incentivo alla fretta anziché alla cura. Nei casi citati, tuttavia, nessuno ha controllato il pro- dotto finale (nean- che, ex post, altri re- censori: perché nes- suno sembra avere interesse a porre il problema?). Ma al- lora, in cosa consiste il compito dell'edi- tore? Sapevamo che si trattava di saggi importanti, non è la traduzio- ne a stabilirlo; né vi è traccia di prefazioni di au- tori italiani che assumano almeno in parte la re- sponsabilità di quei contenuti e della loro forma. Rinunciare alla traduzione? Forse sarebbe dav- vero meglio. Tra prendere e lasciare, lasciamo. In fondo, si incentiverebbe lo studio delle lingue, tanto decantato in epoca globalizzata. Ma le per- dite potenziali, per il pubblico italiano, sarebbe- ro ingenti. E allora, che fioriscano segnalazioni di questo genere: uno dei pochi modi rimasti, te- miamo, per ribadire l'importanza dell'opera dei traduttori e salvaguardarne la dignità, spronando gli editori a rivederne verso l'alto le remunera- zioni. Ma anche per evitare, più in generale, che la cultura si riduca a ciò che può essere imme- diatamente compreso, sia pure con errori grosso- lani, e che sorvoli su ogni shade of meaning, ri- nunciando per partito preso non tanto al diffici- le, quanto al serio. ■ mario.cedrinigeco.unipmn.it M. Cedrini è dottore di ricerca in economia politica e k o • Kà Cj NJ