PERSONE & IMPRESE
tra imprese e lavoratori, della salute nell'ambiente di lavoro, del risparmio collettivo, della formazione professionale, della mobilità.
Un'azione articolata per regioni, coordinata dallo Stato, ma tutta gestita dagli attori sociali e finanziata con la contrattazione collettiva.
È un modo per aiutare lo Stato a diventare più piccolo senza lasciar sola la gente, per farlo più grande e autorevole altrove, dove oggi è presente in modo assai debole.
Nel complesso, come si vede, il futuro confederale è assolutamente implicato con la strada di autogoverno che l'Italia, inserita in un contesto europeo, saprà scegliere, oltre l'impasse partitocratica ma anche oltre una società civile troppo opportunistica e troppo rivendicativa.
Autonomia del sindacato
Sarebbe davvero un'ipotesi incompleta quella che trascurasse, nel delineare il sindacalismo del prossimo decennio, i rapporti con il sistema dei partiti e con l'unità sindacale.
Malgrado le ipoteche storiche derivanti dalle divisioni ideologiche della gente comune, il sindacalismo italiano degli ultimi venti anni ha complessivamente risposto all'impulso dato dalla CISL alla proposta di un sindacato nuovo, autonomo dai partiti. I legami partitici della CGIL e della UIL, le correnti istituzionalizzate, ed anche qualche rilevante deviazione cislina non possono nascondere un processo che ha marciato verso una crescente autonomia. L'idea di autonomia in fondo era fondata sulla scommessa della modernizzazione, prevedeva un tempo in cui l'adesione partitica, più mobile e secolarizzata, non avrebbe più avuto conseguenze totalizzanti in tutte le sfere dell'agire collettivo.
Non deve quindi stupire se gli stessi partiti hanno finalmente accettato un rapporto più libero con il sindacato. Ciò è stato più facile per la DC e il PSI, partiti tradizionalmente articolati, abituati al dissenso interno. Gradualmente
l'idea si è fatta strada nel mondo comunista, anche negli anni che hanno immediatamente preceduto il suo dissolvimento in diverse componenti. Lo scontro dell'84-85 è stato da parte comunista (e non senza contrasti) l'ultimo episodio rilevante, l'ultimo colpo di coda di una visione integrata e integrista. Ma proprio per queste ragioni le vecchie battaglie della CISL (e all'interno della CISL) per affermare l'autonomia del sindacato anche sul piano formale (incompatibilità) hanno esaurito da tempo il loro significato.
Oggi è molto raro vedere un partito influire su scelte e organigrammi sindacali. Paradossalmente, accade più spesso che, per rafforzarsi in competizioni interne, questo o quel sindacalista vanti adesioni partitiche o di corrente, magari all'insaputa del partito stesso. Finito il tempo dell'autonomia "difensiva", occorre pensare a come il sindacato può influire legittimamente sulla scena delle decisioni politiche, altrimenti che con scioperi e mobilitazioni. Scartando il modello — non italiano — dell'appoggio ad un partito "amico" resta il modello nord-americano di una grande lobby, in grado di premiare, nello scenario politico, gli uomini che appoggiano gli ideali e gli interessi del mondo sindacale.
Sicuramente un modello impervio, dal momento che ormai, mentre ancora il sindacato non si orienta nella "grande" politica, la "piccola" politica del voto di scambio, della clientela, ha invaso una parte della sua base, nei luoghi di lavoro, negli enti pubblici, nelle USL, nei comuni.
E tuttavia resta la domanda: a che serve l'autonomia se non viene spesa per influenzare le scelte politiche, la formazione delle rappresentanze? È a questo punto che si inserisce il tema dell'unità sindacale. Solo un sindacato unitario (non unico!) è in grado di presentarsi come grande soggetto sociale, come istituzione a base volontaria, nel gioco politico.
E, d'altra parte, il fallimento del comunismo toglie legittimità all'obiezione secondo cui in Italia, Francia, Spagna e
Solo un sindacato unitario è in grado di presentarsi come grande soggetto sociale nel gioco politico.
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