QUALI PERICOLI PER LA PICCOLA IMPRESA DALLA CONCENTRAZIONE DISTRIBUTIVA? di Giovanni Zanetti A un'analisi diacronica che parta dalla seconda metà degli anni '70 per giungere ai giorni nostri, la struttura dei sistemi industriali si presenta in continuo cambiamento; nelle diverse fasi riconoscibili, la media e la piccola dimensione conoscono alterne fortune divenendo, a tratti, il primo motore di congiunture positive (periodo del "piccolo è bello") o viceversa soggetti partecipi passivi di dinamiche da altri promosse. Anche al momento attuale, nei confronti di questi protagonisti della scena economica si colgono segni di contraddizione: ci si domanda se in un contesto caratterizzato dalle tendenze verso l'allargamento e la globalizzazione dei mercati e dall'ampliamento indiscutibile della sua dimensione, possano esservi ancora spazi vitali per una loro esistenza attiva, capace di esprimere autonome strategie. Il tentativo di fornire una risposta chiede di ripercorrere il manifestarsi delle forze portanti che hanno condotto alla situazione attuale nella quale le imprese minori devono interrogarsi sull'eventuale necessità e sul senso di una loro ridefinizione. Riorganizzazione del tessuto produttivo e progresso tecnico: opportunità colte e occasioni perdute Il superamento della crisi profonda attraversata dall'industria italiana negli anni '75 e '76 (ma l'affermazione può valere per buona parte dell'industria occidentale) ha avuto il suo momento qualificante nell'acquisizione di flessibilità dei processi produttivi quale diretta reazione alle rigidità di costo e di offerta sulle quali si era fondata, in anni lontani, la formula vincente delle econo- mie di scala. Caratterizzato dall'uniformità dei prodotti posti sul mercato e dalla massiccia presenza di costi fissi, tale modo di produrre mostrava ormai indubbie fragilità: esso era facilmente bloccabile da qualunque azione dimostrativa in grado di fermare l'attività di una qualsiasi delle fasi nelle quali era articolata la produzione in linea continua; inoltre, per i contenuti ancora presenti in termini di costi salariali e per il costo del denaro, elevato in termini relativi, i prodotti ottenuti non erano più competitivi rispetto a quelli offerti da Paesi di prima o seconda industrializzazione, emergenti nel processo di nuova divisione internazionale del lavoro. Come è ben stato messo in evidenza (G. M. Gros-Pietro, 1978) la reazione al manifestarsi di queste carenze si è concretata nel passaggio dall'organizzazione in linea continua dei processi produttivi all'organizzazione definita "a rete": dalla successione delle fasi costituenti l'ossatura dell'attività di fabbrica delle grandi imprese alcune di esse sono state enucleate, per divenire oggetto di attività di singole unità acquisenti la posizione di fornitrici di componenti un tempo ottenuti internamente alla macrodimensione. I nuovi operatori recavano in sé il duplice carattere dell'elevata specializzazione e al tempo stesso quello della versatilità della propria offerta; a rendere superabile l'apparente contraddizione fu il particolare tipo di progresso tecnico che, integrando elettronica e meccanica fine, consentiva di meccanizzare i processi produttivi e, al tempo stesso, di differenziare potenzialmente la produzione presentabile sui mercati. Questi fenomeni, ormai noti, sono richiamati in questa sede per sottolineare come dal processo di deverticalizzazione sono derivate Esistono ancora spazi vitali per le piccole e medie imprese? Flessibilità e organizzazione "a rete". 47