EDITORIALE di Marco Martini Nel grattacielo della sede della Deutsche Bank di Francoforte le funzioni di sorveglianza, solitamente affidate a custodi e commessi, sono svolte da due soli operatori: due per tutto il grattacielo, non per ogni piano. Nelle scuole italiane "lavorano" invece centocinquantamila bidelli, figure professionali atipiche in un duplice senso: perché in nessun altro Paese europeo sono previste e perché le loro mansioni sono definite in negativo. Contratti e regolamenti infatti precisano che cosa i bidelli non sono tenuti a fare, ad esempio la manutenzione delle apparecchiature o l'assistenza didattica, ma non in che cosa consistono i loro compiti di generica "sorveglianza". Centocinquantamila bidelli costano agli enti locali italiani, da cui dipendono, non meno di quattromila miliardi l'anno, cioè circa il dieci per cento della spesa del personale scolastico. Perché questa anomalia? Forse che presidi e direttori didattici non sono consapevoli che le funzioni vagamente attribuite a essi non potrebbero essere svolte da un numero di persone molto inferiore? Ma né presidi né direttori didattici hanno alcun reale potere di decidere sull'organico stabilito dalla legge, né sulle mansioni previste dai contratti tra sindacato ed enti locali. Forse che gli utenti del servizio scolastico non avvertono l'esigenza di una migliore qualità dell'istruzione pubblica e non sono in grado di comprendere che gran parte del denaro sprecato per tenere in vita tali atipiche figure potrebbe essere meglio speso? Ma le famiglie hanno il solo diritto di esprimere le loro lamentele, tramite i loro legali rappresentanti nei consigli di classe, di istituto, di distretto e provinciali, privi di reale potere su tale materia e, in generale, su qualsiasi materia. Inoltre non tutte, per effetto del "velo" fiscale, percepiscono il peso, sui loro bilanci, del costo degli sprechi della scuola pubblica e gratuita. Forse che il Ministero della Pubblica Istruzione non conosce i risultati delle numerose ricerche comparative che, da molti anni, rilevano per l'Italia una eccessiva spesa per il personale scolastico e un rapporto personale/allievi abnormemente elevato in rapporto a quanto si verifica nei sistemi scolastici degli altri Paesi? Forse che i programmatori del Ministero della Pubblica Istruzione e del Tesoro non avvertono che almeno una parte dei quattromila miliardi potrebbe essere meglio impiegata in attività di orientamento, di assistenza o di tutoring degli studenti? La materia però non è di competenza dei Ministeri ma degli enti locali da cui il personale ausiliario delle scuole dipende: e quanti sindaci, assessori all'istruzione o consiglieri comunali sarebbero disposti a ingaggiare un'impopolare battaglia politica e sindacale per ridurre spese comunali, che, essendo obbligatorie, sono finanziate con fondi del bilancio statale? Del resto i Comuni non sono responsabili né della qualità del servizio scolastico né del bilancio statale. Forse che i sindacati della scuola non avvertono l'esigenza di contenere e di riqualificare la spesa per la pubblica istruzione? Ma essi interpretano il loro compito di tutela dei lavoratori nel senso rigido di difesa dei "posti di lavoro" nel numero stabilito dalle "piante organiche" e nelle mansioni stabilite dai contratti. In queste condizioni è presumibile che lo spreco continuerà ancora per mollo tempo. Esso