PROTAGONISTI DI SVILUPPO, COSTRUTTORI DI OPERE di Alberto Bramanti uando ci si interroga, come si intende fare in questa sezione monogra-!ella Rivista, sulle prospettive di "tenuta" e i sentieri di crescita della piccola impresa — letta quale manifestazione di uno "spazio della libertà di intrapresa", e quindi di ambito organizzativo privilegiato in cui tale libertà si manifesta e incide sui modi di convivenza della società civile - è imprescindibile ripartire dal soggetto protagonista dell'avventura economica a essa sottesa: la persona. L'intreccio profondo tra la concezione di persona e quella di lavoro, cioè di una sua modalità principe di espressione, è infatti alla base della comprensione del sistema produttivo così come si è andato articolando in diversi secoli di sviluppo. Il lavoro è un "bisogno"1 dell'uomo. Lavorare, quindi, significa liberare e dar forma alla forza costitutiva di tutto il progresso, e perciò anche del progresso economico. La creatività dell'uomo nasce infatti dal prendere sul serio questo impeto originale che gli ha sempre permesso di fare un salto in avanti; nessun condizionamento e nessuna struttura opprimente hanno bloccato la capacità dell'uomo di andare al di là della situazione in cui si trovava: questa è la molla del progresso2. Non vi è esempio più pertinente della consonanza tra la concezione di sé e del proprio lavoro, e il cambiamento dello spazio di mondo in cui si vive e si opera, della "bottega artigiana". L'elemento che ha caratterizzato un'ampia fase storica, e ha profondamente segnato il volto economico-produttivo dell'Europa (dalla società comunale fino alla fine del secolo scorso), è la fortissima componente di creatività e manualità dei lavoratori artigiani nell'esecuzione del proprio lavoro. L'artigiano, si può ben dire, assomma le caratteristiche dell'imprenditore e dell'esecutore, è in grado di operare senza il supporto di strutture di mediazione tra la sua opera, il prodotto e il mercato. Questo rapporto vitale e costitutivo della professionalità stessa viene progressivamente rotto dalla grande stagione che inizia con la rivoluzione industriale e con l'inserimento dei macchinari nei processi produttivi. Il modello che risulterà vincente, il "fordismo", opera un vero e proprio ribaltamento di prospettiva: l'attività umana viene determinata e regolata dal movimento meccanico delle macchine. Non bisogna dimenticarsi, peraltro, che tale passaggio fu tutt'altro che rapido e indolore: le maggiori resistenze a tale concezione capitalistica del lavoro sono certamente rintracciabili nella categoria degli operai specializzati. Infatti essi obbedivano a una concezione del lavoro i cui fondamenti stavano nel possesso del proprio lavoro, nella sua dignità e onorabilità, certificata in prodotti ben fatti e a regola d'arte. Il mestiere non serviva a guadagnare un reddito, ma il reddito era il riconoscimento che la società concedeva al mestiere ben fatto. Commenta mirabilmente Péguy a questo proposito: «La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita dal profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che L artigiano assomma le caratteristiche dell'imprenditore e dell'esecutore, in lui creatività e manualità coesistono. La rivoluzione industriale e il modello "fordista" di produzione rompono l'unità preesistente fra persona, prodotto e mercato. 11