PERSONE & IMPRESE correnti. Se è vero che ciò che è imperfetto non è il "mercato" - che in sé non esiste - ma sono gli uomini, allora bisogna evitare di cadere nell'opposto (astratto) estremismo di condizionare le libertà di iniziativa economica e sociale semplicemente sostituendo uomini imperfetti con altri uomini (probabilmente) altrettanto imperfetti, che però agiscono sotto l'etichetta dell'"ordinamento" statale. Limitare le libertà, nel timore che queste vengano male utilizzate e che si generino ingiustizie e squilibri nella capacità di cogliere le opportunità, per affidare acriticamente a qualcuno (lo Stato, contrapposto al mercato), l'organizzazione di una solidarietà coatta (si veda l'articolo di Deaglio nel numero precedente di Persone & Imprese), è un errore tanto grave quanto quello di pensare che il "mercato-mano invisibile" possa offrire una soluzione automatica all'efficienza e allo sviluppo. Anche lo Stato (fatto di uomini, anch'essi imperfetti) può infatti prevaricare le libertà dei suoi cittadini o prendere le parti soltanto di alcuni gruppi. Il rischio di questa prevaricazione diminuisce solo se le responsabilità di fissare le regole sono più distribuite nella società, invece che presso lo Stato; se le regole sono poche e sono concepite in modo da valorizzare invece che limitare l'iniziativa; se sono rigorosi l'obbligo - e l'impegno - a rispetto delle regole. Il vantaggio - in termini di libertà e di efficienza - di stabilire poche regole semplici che valorizzino al massimo la libertà degli uomini di costruirsi il proprio futuro suggerisce di dar vita a delle istituzioni, mutabili nel tempo (si veda il saggio di Colli) e diverse a seconda dei contesti politico-culturali (si veda il contributo di Brugnoli). Il rispetto di tali regole non può che portare a controlli ex post di efficienza e di equità, ma certamente non ad imbrigliare ex ante le libertà della società civile. Le "regole" che devono essere attuate dalle istituzioni non potranno perciò che essere suggerite dalla costante preoccupazione di mettere in risalto le condizioni "antropologiche" per l'equità (la giustizia) e la libera solidarietà: fiducia, lealtà, responsabilità, altruismo sono possibili solo in presenza di regole che favoriscono, ad esempio, trasparenza, informazioni, sussidiarietà. Deregulation da una parte e antitrust dall'altra sono i binari ineliminabili perché la "concorrenza" sui mercati possa costruire e non distruggere le libertà economiche (e non solo economiche). Può aiutare a far maturare la consapevolezza di questa necessità la stessa etimologia delle parole competizione (cum petere, cercare insieme) e concorrenza (cum currere, correre insieme), che sottolinea come il valore della concorrenza nel mercato stia nell'aspirazione e nell'agire comune alla ricerca del bene, per l'appunto comune: ben diversamente dall'idea e dall'applicazione che si è fatta successivamente della concorrenza, in cui l'uomo si sente autorizzato ad essere homini lupus. Per far funzionare il mercato (o il sistema dei mercati) occorre dunque lasciare che la società civile - e quella economica in particolare - sia più responsabilizzata nel darsi delle regole, contribuendo a dar vita alle istituzioni nei campi che la vedono protagonista. Allo Stato (la Pubblica Amministrazione, che operaie/- il pubblico, cioè per la società civile) compete la responsabilità di creare il contesto istituzionale dei servizi collettivi, dei beni pubblici e delle infrastrutture. Il mercato, istituzione di giustizia. Le istituzioni eque, cioè di giustizia, sono tali dunque - come afferma Zamagni - solo se sui mercati "transitano" anche i valori della fiducia, della lealtà, dell'altruismo (cioè della gratuità); solo se gli uomini che danno vita alle istituzioni vivono una dimensione etica, una concezione di sé, una antropologia, carica di responsabilità. Il mercato è un'istituzione giusta solo se, da un lato, chi la organizza è preoccupato di esprimere regole che favoriscano l'eguaglianza delle opportunità (eliminazione delle barriere e delle discriminazioni) e controllino che non si manifestino prevaricazioni dei più forti "contro" i più deboli; ma, al tempo stesso, un mercato è un'istituzione di giustizia solo se favorisce la libertà di espressione economica delle persone, delle imprese e delle 7