COSTRUIRE IL MERCA TO Una implicazione di policy. la maggior obbedienza fiscale è frutto di migliori beni pubblici, non di più aspra lotta all'evasione. 50 di questo livello desiderato, se del tutto, viene raggiunto in pratica, dipende dai poteri coercitivi dello Stato e dall'avversione al rischio al contribuente. La decisione di evadere è dunque determinata sulla base di un più generale giudizio sul sistema fiscale, che tiene conto del rapporto di scambio implicito con lo Stato e del livello percepito di equità del sistema fiscale; i poteri coercitivi dello Stato rappresentano solo una, e non necessariamente la più importante, delle possibili determinanti della scelta di evasione. Il modello è di nuovo caratterizzato, e per la ragione indicata sopra, da molteplici equilibri, caratterizzati da livelli differenziati di evasione, a parità di poteri coercitivi dello Stato, spiegando così i risultati empirici prima ricordati sulla diversa diffusione del fenomeno evasivo per gruppi sociali e comunità nazionali. In molti di questi equilibri gli individui evadono di meno di quanto previsto dal modello tradizionale, di nuovo in linea con l'evidenza empirica e sperimentale; ed in questi equilibri, proprio perché i poteri coercitivi dello Stato sono ininfluenti al margine per la scelta di evasione, un rafforzamento della coercizione da parte dello Stato risulterebbe del tutto inefficace per il ristabilimento di un grado maggiore di obbedienza fiscale. Al contrario, in questi stessi equilibri, si può dimostrare che un miglioramento nell'efficienza dell'apparato statale come produttore di beni pubblici, così come un ristabilimento di condizioni di maggior equità nell'imposizione fiscale, condurrebbe ad un grado maggiore di obbedienza fiscale. Conclusioni In questo articolo si è brevemente discusso l'approccio economico tradizionale all'evasione fiscale e all'offerta volontaria di beni pubblici, se ne sono dimostrati i limiti esplicativi e si è proposto e giustificato un approccio alternativo, basato sull'ipotesi che gli individui siano vincolati nel loro operare economico da regole sociali e codici morali. Si è mostrato, sia pure a grandi linee, che quest'approccio è in grado di risolvere sul piano esplicativo molti dei problemi ir- risolti dall'approccio convenzionale e che, nello stesso tempo, è in grado di produrre implicazioni per la policy che sono grandemente diverse da quelle tradizionali. In conclusione, vale solo la pena di sottolineare che l'approccio discusso in questo articolo - basato su una endogeneizzazione delle regole morali ottenuto attraverso l'uso di un principio kantiano indebolito da regole di reciprocità - deve essere considerato soltanto come un primo tentativo di introdurre aspetti etici nell'analisi dei comportamenti economici. Il "suo" successo relativo dovrebbe però far riflettere sulle potenzialità aperte da una ancora maggiore fertilizzazione tra teoria economica e riflessione etica. Note * Una versione precedente di questo articolo è stata pubblicata sulla rivista «Il Mulino» nel marzo 1995. 1 Per una discussione più approfondita dei temi discussi in questo articolo vedi M. Bordignon, Beni pubblici e scelte private, 11 Mulino, Bologna, 1994. 2 Si vedano per esempio i confronti internazionali discussi in W. Gaertner e A. Wentg (eds.), The Econornics of Shadow Economy, Springer Verlag, New York, 1985 e in F. Cowell, Cheating the Government, Mit Press, Cambridge (Mass.), 1990. 3 Cfr. per esempio F. Cowell, Cheating the Government, cit. 4 Dalla pubblicazione del libro di M. Olson, La logica dell'azione collettiva, Feltrinelli, Milano, 1970, questi fenomeni sono universalmente noti come i fenomeni dell"'azione collettiva". 5 Se si ipotizza che gli agenti economici abbiano strutture di preferenze più complesse, per es. altruistiche, anche la distribuzione del reddito può essere considerata un "bene pubblico". Per uno sviluppo di questo argomento si veda L. Thurow, The Income Distribution as a Pure Public Good, in «Quarterly Journal of Economics», voi. 85, 1971, pp. 321-36. 6 J.C. Baldry, Tax Evasion is not a Gamble, in «Economics Letters», voi. 22, 1986, pp. 333-335. 7 G. Marwell, R. Ames, Economists Free-ride. Does Anyone Else?, in «Journal of Public Economics», n. 15, 1981, pp. 295-310. 8 Gli autori interpretano questo risultato come una conseguenza dell'insegnamento dell'economia sulla percezione da parte degli studenti della moralità del free-riding. Altri hanno invece suggerito che il risultato dipende dal fatto che gli studenti di economia sono meglio equipaggiati per comprendere la natura strategica del gioco. Si osservi però che