PREVIDENZA: SOLIDARIETÀ E GIUSTIZIA
di Ugo Arrigo e Pier Luigi Porta
Un esame della situazione esistente nel sistema previdenziale del nostro Paese deve, come è ben noto, muovere anzitutto dalla considerazione che tale sistema non opera con modalità tipiche di una forma di risparmio. Questo sarebbe infatti il caso di un sistema previdenziale a capitalizzazione, nel quale le quote contributive dei lavoratori venissero accantonate in vista di un reddito futuro.
Il sistema opera invece secondo il criterio della ripartizione, che consiste nella utilizzazione, a fini di erogazione delle prestazioni pensionistiche di un determinato anno, dei contributi versati in quell'anno medesimo: il sistema rispecchia quindi la natura di un procedimento di prelievo e di contestuale spesa dei proventi per le particolari finalità previdenziali. Le analogie naturalmente sono sempre per qualche aspetto utili e per qualche altro fuorviami. Occorre qualche precisazione: anche un sistema previdenziale a capitalizzazione non è in tutto assimilabile a una forma qualsiasi di risparmio, per esempio perché in generale esso nasce da un interesse assicurativo che rientra in modo piuttosto preciso nella sfera del diritto pubblico; si tratta di una forma di risparmio obbligatorio, diverso dunque da quell'altra forma, interamente volontaria, che ordinariamente chiamiamo appunto "risparmio". Per quanto riguarda il principio di ripartizione, l'analogia con il meccanismo delle imposte e delle spese pubbliche sembra invece perfettamente valida: se infatti immaginiamo che il sistema eroghi i contributi versati, si tratta appunto di esazione di tributi e spesa del provento. Le ragioni storiche che hanno determinato il prevalere del principio di ripartizione sono naturalmente molteplici; non ultimo il fatto che il meccanismo
posto così in essere consente di assommare alle finalità squisitamente assicurativo-previdenziali anche altre finalità, per esempio di carattere redistributivo o assistenziale. Se poi, ancora in analogia con il sistema fiscale, il meccanismo ripartitivo non operasse sotto il vincolo del pareggio, bensì in disavanzo, esso diventerebbe fonte di formazione di nuovo debito pubblico. Caratteristica forse più rilevante del sistema italiano è quella di essere non solo un sistema basato sul criterio di ripartizione, ma di essere - quel che solo un sistema a ripartizione può essere - a base retributiva1. Esso, in altre parole, ubbidisce alla finalità di garantire al pensionato un livello di reddito non troppo dissimile da quello goduto al termine della sua vita lavorativa con poca o nessuna relazione con le quote contributive versate. Il sistema previdenziale, si dice in gergo, mira ad assicurare ai titolari di pensione un congruo tasso di copertura. Diventa evidente come un sistema così congegnato possa facilmente tradursi in una sorta di "generatore" di debito pubblico, in grado anche di divenire piuttosto potente. Se immaginiamo, ad esempio, che un tasso di copertura "congruo" sia, come ha ritenuto il legislatore italiano, dell'80% e che il rapporto tra pensionati e lavoratori sia di uno a uno, ricaviamo agevolmente che i lavoratori dovrebbero subire un prelievo dell'80% del salario per garantire il pareggio alla gestione previdenziale2. In situazioni di questo genere il sistema previdenziale diventa sia in linea teorica che di fatto un meccanismo di formazione del debito pubblico. In buona sostanza, di fronte alla palese insopportabilità dei costi del sistema, tali costi vengono passati sulle generazioni future, che per definizione non parlano, non votano, non decidono3.
C è una analogia precisa fra sistemi pensionistici a ripartizione e il sistema delle imposte e della spesa pubblica.
Il sistema a ripartizione italiano, a base retributiva con scarsa relazione con i contributi versati, si traduce in un potente generatore di debito pubblico.
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