ASPETTI INEDITI DELLA PUBBLICITÀ
E' giunta notizia da Londra che la Federazione delle Industrie Britanniche, accogliendo un suggerimento governativo, ha invitato i suoi membri a limitare la pubblicità di prodotti scarsamente disponibili sul mercato e di merci di lusso, al duplice scopo di alleggerire la pressione inflazionistica scaturente dalla domanda dei primi e di aumentare le disponibilità per l'esportazione delle seconde.
La notizia induce a riflettere sugli effetti economici della pubblicità e a porsi la domanda: s:no essi vantaggiosi o svantaggiosi?
La pubblicità provoca, in misura più o meno grande, un aumento della domanda dei prodotti su cui insiste. Ciò può avvenire semplicemente mediante uno spostamento dei consumi (che, nel volt me totale, rimangono immutati) da merci e marche non reclamizzate a merci e marche reclamizzate; oppure mediante un vero e proprio aumento della « propensione ai consumi », che si traduce in un aumento del loro volume totale.
Evidentemente, gli effetti e quindi la convenienza della pubblicità saranno diversi nel primo caso dal secondo; non solo, ma un aumento della domanda (parziale o totale) dovrà essere giudicato diversamente a seconda se si riferisce a beni di produzione o, caso più frequente, di consumo. Gli effetti della pubblicità saranno diversi infine a seconda della congiuntura. Il caso inglese riferito all'inizio è un esempio di convenienza negativa della pubblicità; ma la storia economica del periodo prebellico è ricca di casi in cui, al contrario, un aumento della domanda sarebbe stato auspicabile. Nei periodi di depressione — fanno notare i keynesia-ni — la pubblicità è di grande giovamento perchè è una delle poche forme di investimento che possano utilmente provocare un aumento della domanda senza un parallelo gonfiamento del volume delle merci disponibili.
La pubblicità può rientrare così in un piano statale per una « politica della congiuntura ». Lo Stato ha due mezzi per influire sul volume della pubblicità: farne direttamente (come è avvenuto frequentemente in Gran Bretagna e in America durante la scorsa guerra); o manovrare l'imposizione fiscale sulle spese private di pubblicità (è ciò che il governo britannico si preponeva di fare se gli industriali non avessero spontaneamente raccolto il suo suggerimento).
L'utilità della manovra della pubblicità per una cosiddetta « politica della congiuntura » è però sem-
olini predetti di prima necessità: l'olio delle raffinerie di Haifa, la potassa tratta dagli impianti sorti presso il Mar Nero, ecc.
E poiché passerà un certo periodo di tempo prima che la marina mercantile di Israele sia in grado di trasportare i prodotti acquistati, i noleggiatori italiani potrebbero imbarcare e scaricare nei porti di Haifa, Tel Aviv e Giaffa. Inoltre gli armatori italiani potrebbero ottenere ordini dal governo palestinese per la costruzione di piroscafi e di mercantili, come spesso li ricevono da altri paesi marinari che apprezzano 1 nostri cantieri navali.
Anche all'industria aeronautica l'Italia potrebbe partecipare ccn i suoi tecnici, i suoi specialisti e i suoi progettisti, 'Collaborando a scuole d'aviazione e compagnie aeree.
Gli ebrei che vivono in Palestina e quelli che vi andranno sono abituati, ,a differenza degli arabi, all'alto tenore di vita proprio dell'Occidente.
Essi non si limiteranno a coltivare la terra, a bonificare il Neghev, a costruire case e trattori, ma avranno esigenze culturali non minori di quelle che li distinguevano nella Diàspora. E anche a
pre indiretta e in fondo di efficacia così limitata da non giustificare, da sola, le spese che la réclame moderna comporta. Spese che, per quanto scarse siano le statistiche sull'argomento, non esitiamo a definire enormi.
Nel 1946, in Gran Bretagna, il National Institute o/ Economic and Social Research, appoggiato dalla Advertising Assoc.aticn, ha condotto un'indagine in questo campo i cui risultati sono molto significativi (1). Nel 1935 'anno prescelto dall'indagine perchè data dell'ultimo censimento britannico della produzione) il costo complessivo della pubblicità privata in Gran Bretagna è stato di 89 milioni di sterline, vale a dire il 2,2 per cento del reddito nazionale, od anche — paragone interessante — i tre quarti del reddito di tutti gli istituti scolastici inglesi. Negli Stati Uniti, notoriamente il regno della réclame (2), nello stesso anno le spese di pubblicità hanno rappresentato una percentuale ancora maggiore del reddito nazionale: il 3 %, corrispondente ad un miliardo e 700 milioni di dollari.
Hanno dunque ragione i collettivisti che scorgono nella pubblicità null'altro che « uno spreco dell'economia capitalista » ? Non bisogna rispondere precipitosamente a questo interrogativo. Bisogna piuttosto distinguere tra buona e cattiva pubblicità.
Per l'imprenditore può essere « buona » qualunque forma di pubblicità che gli permetta di aumentare il suo utile, cioè che gli consenta una espansione delle vendite più che compensatrice dei maggiori costi di vendita provocati dalla réclame. L'imprenditore disonesto può raggiungere questo obbiettivo magari ricorrendo a forme di pubblicità ingannatrici. Diremo invece veramente buona, buona per la collettività, la pubblicità che facilita il funzionamento del mercato di concorrenza, informando gli operatori, in forme sia pure suggestive, ma sempre veritiere, dei prezzi e delle qualità dei prodotti, delle loro caratteristiche, dei perfezionamenti apportati, della produzione di nuove merci atte a soddisfare nuovi gusti o a soddisfare meglio i gusti vecchi. Una pubblicità essenzialmente « informati-
fi) Vedi The Cost of Advertising in The Economist del 23 novembre 1946.
(2) Io America si íe addirittura pubblicità «Ila pubblicità Molte riviste :e giornali emericani hanno recentemente pubblicato un annuncio pubb icitarlo privato intitolato «Non vedete pubblicità sulla Pra vdi ! », in cui si dice che rèe. ame e democrazia non possono essere disgiunte.
queste esigenze d'arte e di cultura l'Italia potrà provvedere con il suo patrimonio secolare, il suo buon gusto, la sua potenza spirituale.
Lo Stato d'Israele sarà la chiave che aprirà al semibarbaro Medio Oriente la porta di un modo moderno ed europeo di vivere e di pensare. Data la sua vicinanza all'Italia (appena 2000 km.), il mondo ebraico con la sua nascente economia potrà offrire ai produttori e commercianti italiani cospicue possibilità dirette e indirette. Infatti il consolidamento politico e militare di Israele assicurerà un equilibrio utile a penetrazioni commerciali nel mcndo arabo e nello stesso tempo farà da contrappeso alle pressioni del nazionalismo arabo nelle colonie italiane.
In definitiva, dunque, le prospettive per i commercianti e fornitcri italiani nel nuovo Stato d'Israele scino buone. Occorre che sin d'ora si inizino contatti e rapporti, approfittando anche delle simpatie di cui gode l'Italia in Israel.
La Palestina ha un grande avvenire e ad esso l'economia italiana può vantaggiosamente cooperare.
SICOR
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