Quali strumenti urbanistici per le Comunità Montane?
Alfredo Salvo
È la domanda che, tra le altre, ha fatto sorgere le maggiori perplessità, i più confusi equivoci all'avvio del nuovo ente montano: quale tipo di strumento urbanistico sta dietro l'ormai famoso articolo 7 della legge 1102? (').
A quale livello di pianificazione si deve collocare l'attività comunitaria?
Come interpretare le norme espresse dalla legislazione urbanistica ai fini della gestione programmata delle Comunità Montane?
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Nel testo dell'articolo si fa, genericamente, riferimento a « piani urbanistici »; nel titolo si parla di « piani di sviluppo urbanistico ».
Il termine « sviluppo » è quello che caratterizza tutta la legge.
Già nei propositi, si esprime l'intenzione di « concorrere... alla eliminazione degli squili-brii »... tra le zone montane e il resto del territorio nazionale, alla difesa del suolo e alla protezione della natura... (realizzando) gli interventi suddetti attraverso piani zonali di sviluppo...»(2).
È importante notare subito l'originalità della dizione. Nella legge urbanistica del 1942, dalla quale deriva l'attuale ordinamento, si esprime la volontà che le norme tendano ali'« assetto e all'incremento edilizio nei centri abitati e allo sviluppo urbanistico in genere » e si mira a « favorire il disurbanamento e di frenare la tendenza all'urbanesimo » (3). Cioè, l'evoluzione dell'organizzazione collettiva è vista unicamente sotto l'aspetto edilizio, viene confusa — con tragiche conseguenze — l'attività edilizia con lo sviluppo urbanistico. E infatti, nella sua applicazione, è stata la licenza edilizia ad assumere gradualmente l'importanza che dovevano avere altre linee programmatiche, come vedremo. Poi, la disciplina è articolata in modo da prendere iniziative unicamente di tipo vincolistico e rigidamente numeriche; az-
zonamenti, limiti di densità e di altezza, prescrizioni di inedificabilità, hanno intessuto una rete di norme, in una certa misura « passive », entro le quali l'intervento, privato o pubblico, deve cercare e trovare la sua giusta collocazione: è fatto obbligo all'ente pubblico di prevedere standards per le pubbliche attrezzature, è fatto obbligo ai privati di attenersi alle prescrizioni inerenti ad ogni singola zona... la stessa evoluzione urbana è vista come « espansione », in termini cioè quantitativi, e non come « sviluppo » qualitativo.
Il termine « sviluppo » è quindi di nuova accezione, nella terminologia legislativa urbanistica italiana.
È sufficiente però dare uno sguardo alle esperienze straniere per notare come si tratti di un tentativo di equiparare i nostri indirizzi alla maturazione avvenuta negli altri Paesi. Tranne pochi esempi le legislazioni urbanistiche europee sono state tutte aggiornate negli anni '60.
Già nel 1961 in Polonia si varava la legge sulla pianificazione territoriale con lo scopo di « assicurare l'ordinato, corretto sviluppo dei singoli territori... » (4). Era già un passo avanti rispetto al nostro obiettivo del « disurbanamento ».
Il concetto veniva poi definitivamente ribadito dalla legislazione inglese che, nel 1962 (5), definisce ciò che dal 1947 veniva affinandosi in quell'ordinamento: la pianificazione del territorio anziché rifarsi ai vecchi « planning schemes », deve
(1)	Legge 3 dicembre 1971, n. 1102, art. 7: Piani di sviluppo urbanistico. — La Comunità Montana, in armonia con le linee di programmazione e con le norme urbanistiche stabilite dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano, per la regione Trentino-Alto Adige, può redigere piani urbanistici, di cui si dovrà tener conto nella redazione dei piani generali di bonifica, dei piani regolatori e dei programmi di fabbricazione che i Comuni sono tenuti ad adottare.
(2)	Legge n. 1102. art. 2.
(3)	Legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 1.
C) Polonia, Legge sulla pianificazione territoriale. 13 gennaio 1961.
(5) Town and Country Planning Act, 1962.
CRONACHE ECONOMICHE	(j,