N. 4 Pag- 5 Il Libro del Mese Caso Moro: congetture e confutazioni Mimmo Scarano, Maurizio De luca, II mandarino è marcio. Terrorismo e cospirazione nel caso Moro, Editori Riuniti, Roma 1985, pp. 274, Lit. 16.500 Il titolo del libro deriva da uno dei molti misteri del caso: il comunicato in codice "Il mandarino è marcio" significante "Il cane morirà domani" (cioè che Moro sarebbe stato ucciso l'indomani), comunicato fatto pervenire dalle Br a un parroco della Val di Susa perché ne informasse la moglie dello statista, intercettato dal Sismi attraverso una conversazione radio-telefonica tra un giornalista e la redazione del Gr 2. Il fatto non avrà alcuna spiegazione ed è uno dei pochi che già non si sapessero raccolto in questo libro, che ha un'impostazione analoga a quella di Operazione Moro, della quale ho qui già trattato. Va aggiunto che gli autori hanno lavorato in buona parte su atti processuali che non comprendono quelli del processo di secondo grado e le anticipazioni di Adriana Faranda e Valerio Morucci diffuse prima del processo. Nonostante questo limite e la mancanza di elementi nuovi, si tratta di un testo di utile lettura per chi voglia disporre in forma organizzata e argomentata del materiale di fatto della vicenda. Sul raccogliere fatti e essere cauti nell'interpretazione gli autori insistono, ma naturalmente vi è una traccia interpretativa, ed è analoga a quella di Operazione Moro: lo statista preparava la piena legittimazione del Pei, che avrebbe continuato a gestire da presidente della repubblica, carica alla quale aveva buone probabilità di essere eletto alla scadenza del mandato di Leone (dicembre '78: poi vi furono le dimissioni che aprirono la via a Pettini). Questo disegno politico suscitava la preoccupazione degli Stati Uniti e in particolare di Kissinger; Moro sarebbe stato pressantemente invitato a non perseguirlo; la sua insistenza nel metterlo in pratica sarebbe stata la ragione del complotto contro di lui. Sulle sue componenti lascio la parola a Scarano e De Luca: "La strage di via Fani, il sequestro di Aldo Moro e infine l'assassinio sono stati 'gestiti' a più mani. Sotto il drappo con la stella a cinque punte, accanto alla folta e più forte componente terrorista, si sono nascosti i maneggi e gli interventi di altre due componenti egualmente aggressive: quella di una delinquenza organizzata tipo camorra o mafia e quella ancora più occulta di spezzoni dei vecchi servizi segreti. Ognuna può avere agito di volta in volta da controllo sulle altre componenti e da orientamento operativo, quindi anche in contrasto dialettico tra di loro, ognuna disponendo di propri canali di comunicazione 'esterni'" (pag. 268). Non condivido la prima parte di questa tesi (il complotto che parte da Washington). Mi pare una variante della "prospettiva cilena" che giustifica la prudenza con la quale il Pei ha gestito l'ondata di sinistra degli anni '70: il golpe come risposta a un governo progressista. A me pare poco credibile che la Cia possa promuovere un golpe in un Paese occidentale. E che lo surroghi facendo ammazzare non un nemico o un "utile idiota" (come si diceva un tempo) strumentalizzato dai comunisti, ma uno dei personaggi di primo piano, fedele, come il suo parti- to, alla collocazione internazionale dell'Italia, mi pare ipotesi del tutto infondata. Moro stava facendo quel che poi ha fatto Andreotti ed entrambi lo potevano fare perché la loro fedeltà all'Occidente è tanto garantita, che si possono permettere mosse e accortezze ad altri negate. di Giorgio Galli forte componente" (il partito armato), qui sono nate le protezioni delle quali può aver fruito da parte dei servizi e l'ipotizzata collaborazione con la delinquenza organizzata, alla quale avrebbe appartenuto il tiratore scelto di via Fani (forse Giustino Di Vuono: da qui anche il serrato di- ne con mafia e camorra) per demoralizzare l'opinione pubblica di sinistra, allora la risposta della stessa sinistra in termini politici risulterebbe possibile e praticabile. La sinistra italiana — con componente maggioritaria il Pei in fase di occidentalizzazione — non potreb- cento pertiche in cui siamo ormai inoltrati da tempo. E sempre più forte l'impressione che le inchieste giudiziarie non approderanno a nulla se non saranno accompagnate dalla ricerca di una verità storica e politica. Perché si possano formulare delle congetture, occorre una chiarificazione degli effetti di quindici anni di terrorismo, non solo sul funzionamento del sistema politico italiano (Giorgio Galli), ma anche sulla collocazione internazionale del paese, sui rapporti di forza tra classi e categorie sociali, sulla legislazione e i meccanismi repressivi dello stato (Stefano Rodotà), sulla partecipazione democratica e, quindi, sulle possibilità di mobilitazione sociale. In sintesi, è il caso di chiedersi se il terrorismo non abbia, sia pure temporaneamente, messo in pericolo l'assetto dei poteri tradizionalmente dominanti in Italia o non si sia rivelato un fattore, importante se non decisivo, di un processo di stabilizzazione che ha corretto gli effetti minacciosi di una fase precedente. Qual'è, infine, il ruolo di Moro e l'effetto della sua eliminazione rispetto a questi problemi? Non saranno certo le dichiarazioni di Moretti, Morucci e della Faranda, o di qualche altro mediocre manovale del terrorismo (magari opportunamente sollecitate da "Il Popolo" e puntualmente registrate da Giorgio Bocca) a gettare luce su questi interrogativi. Le testimonianze di detenuti non sono libere e i metodi di manipolazione dell'informazione sono oggi più progrediti: si è passati dal silenzio imposto dai potenti all'inflazione di notizie, magari prefabbricate, e che possono anche essere cavalcate e dirette in maniera interessata. Questa linea di ricerca, fortemente condizionata dalla storia del terrorismo di cui tende a sottolineare l'autonomia, rischia di risultare fuorviante (anche se è talvolta sugge- rita dalla nobile esigenza di fare i conti con quella che Rossana Rossanda ha chiamato, con un 'espressione fortunata, il proprio album di famiglia). Nessuna ipotesi deve essere scartata per i possibili riflessi su rapporti di forza odierni o su eventualità politiche future. Solo allargando la visuale al di là dell'orizzonte di singoli interessi politici e preoccupazioni ideologiche odierne maturerà una prospettiva capace di misurare il peso relativo del terrorismo che continua a colpirci e di un caso, quello di Moro, che ne costituisce il momento culminante. Perché possa emergere una verità giudiziaria, occorre una verità storica e politica, senza la quale non è nemmeno possibile fare progetti perii futuro. b firn* Per tenere a metà del guado il Pei logorandolo Moro era persona che potere visibile e invisibile negli Stati Uniu non avevano ragione di ritenere inidoneo. Diversa la posizione della "little Italy" degli Usa, legata forse a frange emarginate di settori dei "servizi" legati alle trame dei tempi i Kennedy e poi del Watergate. Qui la possibile diffidenza nei confronti di Moro era espressione della decisione di impedire ogni forma di legittimazione del Pei come partito di governo e nello stesso tempo di stroncare l'ondata di sinistra che aveva avuto espressioni esasperate nell'estremismo studentesco e sindacale che in taluni momenti aveva reso ingovernabili scuole e aziende, ma che si era anche tradotto in comportamenti elettorali che mettevano in discussione la trentennale egemonia moderata in Italia. Le tre componenti delle quali parlano Scarano e De Luca sono possibili, ma si sono sviluppate nella società italiana. Qui è nata "la folta e più battito al recente processo d'appello sul numero dei brigatisti: nove oppure undici?). La differenza delle due tesi è molto marcata, sotto il profilo delle conseguenze e delle prospettive politiche. Se Moro fosse stato ucciso per un complotto preparato dalla Cia sin dal '74 e minuziosamente organizzato per oltre un triennio, ne deriverebbe per l'Italia un concetto di "sovranità limitata" per mantenere la quale il nostro grande alleato ricorrerebbe a tutti i mezzi. Se portare il Pei nella maggioranza è sufficiente per far assassinare il nostro più prestigioso uomo politico conservatore, come pensare a una ipotetica legittimazione della sinistra a governare? Se invece si pensa che, essendo troppo rischioso un golpe, i gruppi italiani ostili a questa legittimazione debbano ricorrere a complessi marchingegni (tollerare un partito armato che uccide decine di personalità in genere moderate; proteggerlo con deviazioni dei servizi di sicurezza; inquinarlo attraverso la collaborazio- be opporsi e imporsi ai potentissimi Stati Uniti. Ma è sufficientemente forte per sconfiggere i gruppi minoritari che per mantenere zoppa la nostra democrazia rappresentativa debbono prima ricorrere alle stragi, poi subire l'insediamento sociale del partito armato, infine accettare la delinquenza organizzata come soggetto politico. Gli autori insistono sul loro impegno a non "affidarsi a congetture" "a riferire soltanto fatti". Aggiungono che "la presenza di ex agenti dei servizi, se provata e definitivamente aprirebbe una strada di indagine ulteriore" (pag. 271). Naturalmente la matrice italiana e non americana di tutte le operazioni di finta destabilizzazione che sono in realtà di stabilizzazione del potere di chi lo detiene, è una congettura. Ma bisogna usarla nel senso di un celebre libro di Popper (Congetture e confutazioni) se vogliamo trarre da migliaia di fatti che rischiano di trasformarsi in un labirinto dal quale non si esce, una valutazione complessiva concer- nente il nostro sistema politico. Ori, avevo appena concluso la lettura del libro che quelle che vengono definite "nuove Br" riemerse dopo la sconfitta dell'82 (ammessa dalla loro risoluzione strategica n. 20 resa nota contestualmente) hanno ucciso Ezio Tarantelli, mentre subito dopo "Paese Sera" (31 marzo) ritiene di aver dato la prova della "presenza di ex (?) agenti dei servizi" nell'operazione Moro: la testina rotante della macchina Br che emetteva i comunicati brigatisti in possesso di un rapinatore e nello stesso tempo informatore, organizzatore della rapina dei 35 miliardi alla Securbank, poi ucciso nello scorso autunno (Antonio Chiecchiatelli). Il fatto: la rapina viene organizzata (e inizialmente presentata come opera delle Br) in concomitanza con la grande manifestazione di Roma contro il decreto sulla scala mobile (24 marzo 1984). Alcuni componenti della banda vengono arrestati a fine marzo 1985, in concomitanza con l'assassinio di Tarantelli, motivato dalle Br col ruolo avuto dall'economista nei progetti di raffreddamento della stessa scala mobile. Contemporaneamente ricompaiono "messaggi" (testina rotante Ibm, armi e proiettili usati nell'operazione Moro; e simili) già apparsi in un borsello la cui storia può essere letta nel libro (pagg. 264-265), che era stato rinvenuto il 14 aprile 1979 in un taxi e che fu fatto pervenire al col. Cornacchia, autorevole ufficiale dei carabinieri a Roma e iscritto nella lista P2, che è presumibile abbia partecipato alle indagini assai mal condotte dei 55 giorni di Moro. Perché messaggi analoghi per il caso Moro in concomitanza con una rapina e un omicidio collegati a una questione (scala mobile) di grande importanza politica per la sinistra italiana come era importanza la maggioranza del marzo '78? Possiamo pensare a semplici coincidenze, che sarebbero sensazionali. E accertarle mi farebbe piacere, visto che in questo periodo sto proprio studiando il pensiero di Jung relativo al fenomeno delle "coincidenze significative". Ma se non si tratta di coincidenze, la presenza di analogie tra il marzo '78 (Moro da un lato, le possibilità e le difficoltà della sinistra dall'altro) e il marzo '85 (Tarantelli da un lato, le possibilità e le difficoltà della sinistra dall'altro) suggeriscono piuttosto la tesi della matrice americana o quella della matrice italiana? A me pare che a questo punto la gran mole di materiale a disposizione in questo e negli altri libri segnalati sull'argomento, richieda un'organica valutazione da parte della nostra cultura politica, che dovrebbe andare oltre il lavoro, certamente meritorio, di chi tale materiale ha raccolto. Per evitare interpretazioni, esplicite o implicite, che rischiano di far pensare al lettore di trovarsi di fronte a una "spy story", invece che a una situazione che va collegata al funzionamento complessivo del nostro sistema politico, per decenni prima di Moro e ora sette anni dopo Moro. □