in. 1 Sull'uso privato dello stato pag. 7: di Gian Giacomo Migone Bianca Guidetti Serra, Le scheda- ture Fiat. Cronaca di un processo e altre cronache, prefazione di Stefano Rodotà, Rosenberg e Sellier, Torino 1984, pp. 160, Lit. 9.800. Understatement è una parola in- glese che, forse non a caso, non trova il suo corrispettivo nella lingua ita- liana. Quando un avvenimento, un giudizio, un concetto viene riferito sotto tono, senza enfasi retorica, ma addirittura in maniera riduttiva, si dà luogo ad un understatement. Pa- radossalmente, quando viene usato per descrivere fatti particolarmente gravi o drammatici, Tunderstate- ment può servire a dare maggiore ri- lievo alla cruda realtà. E questo il modo in cui Bianca Guidetti Serra (che da molti anni si distingue per il suo impegno civile e professionale nelle aule dei tribunali penali) ancora una volta ha fatto sentire la sua voce attraverso un vo- lume intitolato Le schedature Fiat. Che i suoi bisbigli promettessero di risultare fastidiosi è dimostrato dal fatto che il suo libro in un primo tempo fosse stato addirittura stam- pato dalla casa editrice Einaudi, ma mai distribuito, e anche dal silenzio con cui è stata accolta dalla stampa l'edizione preparata dalla Rosenberg e che Stefano Rodotà non ha esitato a introdurre. La vicenda ricostruita dalla Gui- detti venne alla luce quasi casual- mente. Il 24 settembre 1970 tale Ca- terino Ceresa intenta causa alla Fiat di fronte alla pretura del lavoro di Torino perché sostiene di aver pre- stato per anni la sua opera con una qualifica diversa da quella corrispon- dente alle sue effettive mansioni e di essere stato licenziato in tronco sen- za giusta causa. Mentre il Ceresa era stato assunto come fattorino, egli so- stiene di aver trascorso il suo tempo a informare l'azienda con "ampie relazioni scritte, previe opportune e discrezionali indagini... in ordine alle qualità morali, ai trascorsi pena- li, alla rispettabilità delle persone con le quali la società stessa era o do- veva entrare in relazione". Ceresa perde la causa, ma l'ordi- nanza del pretore Angelo Converso mette in moto un procedimento contro quei funzionari della Fiat che, alle dipendenze dell'ex colon- nello Mario Cellerino, dirigono l'uf- ficio affari generali, appositamente addetto a investigare sui singoli per conto della Fiat sulla base di notizie che, secondo Converso, "non pote- vano pervenire se non da Organi e Uffici del Servizio di Polizia di Sicu- rezza e dall'Arma dei Carabinieri". Poco meno di un mese più tardi, in piena estate, il pretore a cui è sta- to affidato il nuovo procedimento, Raffaele Guariniello, accompagnato da alcuni pubblici ufficiali partico- larmente fidati, si presenta nei locali della Fiat e sequestra uno straordina- rio materiale, tra cui 354.077 schede personali, che documenta una ven- tennale attività di informazione, con l'evidente scopo di valutare gli avve- nimenti politici e ideologici (oltre che la 'vita privata) dei suoi interlo- cutori, prima di deliberarne l'assun- zione o la successiva destinazione. Opportunamente, la Guidetti la- scia parlare i documenti, riportando molti giudizi contenuti nelle sche- de. Così apprendiamo che C.A. nel 1951 veniva giudicato "prepotente e impulsivo... spesso viene notato in compagnia di elementi sospetti tan- to dal lato morale quanto da quello politico". Se poi vi fosse qualche dubbio sulla direzione verso cui era- no indirizzati quei sospetti, basta una scheda, come quella dedicata a S.A., nel 1956, a dissiparli: "E iscrit- to alla Fiom. Attivista propagandi- sta, schedato come tale viene saltua- riamente vigilato dai competenti or- gani di polizia. Politicamente peri- coloso in caso di sommosse". Le schede dedicate alle donne sono nell'area torinese (e non solo torine- se). Nella Fiat funzionavano gli uffi- ci del colonnello Cellerino (significa- tivamente, prima di essere assunto alla Fiat, aveva rappresentato l'aero- nautica nel garantire la sicurezza della produzione militare), ma essi non potevano funzionare senza la totale disponibilità di carabinieri e pubblica sicurezza nel mettere a di- sposizione dell'azienda i propri stru- menti di informazione (dagli sche- dari alle conversazioni di sottouffi- ciali con compiacenti portinaie, par- roci, bottegai e vicini di casa). Così si apprende che, con l'autorizzazione dimostrata di direttori generali e ca- pi del personale (gli imputati Bono, Garino e Cuttica, ad esempio), il ca- deo Sios di Milano. Anche se il processo è stato allon- tanato dalla sua sede naturale di To- rino, la vicenda si conclude con una sentenza di condanna sia di corrut- tori che di corrotti, successivamente confermata dalla corte d'appello, anche se i termini di prescrizione sal- vano gli imputati dalle pene di de- tenzione inflitte. La Guidetti cita ampiamente le due sentenze che mettono in rilievo incostituzionalità delle discriminazioni politiche in- flitte a singoli cittadini; l'uso delit- tuoso di pubblici funzionari; l'atti- vità corruttrice dell'azienda, sotto la responsabilità dimostrata di alcuni dei suoi massimi dirigenti. Perché, allora, merita ancora oggi la nostra simpaticamente generose di annota- zioni sulla loro vita privata, accanto a quelle di indole politica, come nel caso di C.C. (1954): "Comunista moderata. Detiene [sic] la bandiera del Pei in casa e in tutte le cerimo- nie, manifestazioni sia di partito che per il lutto di qualche compagno es- sa ha l'incarico di portarla. Pare che l'amante della C. stessa attualmente si trovi in carcere. Nella casa non di rado era notato e per di più di sera". Un'analisi linguistica e dei conte- nuti di queste schede, piene di maiuscole e di affermazioni apodit- tiche, potrebbe servire a un'interes- sante ricostruzione dei valori e della cultura di una certa gerarchia azien- dale. Forse ancora più interessante è la ricostruzione dei modi con cui venne realizzata questa operazione di spionaggio per almeno un ven- tennio, così come emerge dalle pagi- ne della Guidetti e dai documenti processuali. Infatti, l'attività spioni- stica si imperniava sull'asservimen- to, da parte della Fiat, delle autorità statali preposte alla sicurezza po del Sid di Torino, il maggiore dei carabinieri Enrico Stéttermayer, an- che con un occhio di riguardo alla sua "situazione famigliare", "pur- troppo... molto precaria", percepiva dall'azienda un mensile di 150.000 lire che integravano il suo magro sti- pendio statale (siamo alla fine del 1970). Altri funzionari di pubblica sicurezza godeva già di un tratta- mento analogo. Era poi capillare l'uso di regalie natalizie che con "ci- nica taccagneria" (sono parole tratte dalla sentenza dei giudici del tribu- nale di Napoli) venivano elargiti a piccoli e grandi servitori dello stato. Ecco, a titolo di esempio, come veni- vano gratificati alcuni alti funzionari della questura di Torino: "questore: De Nardis comm. dott. Filippo (va- so grande argento con cioccolatini). Vicequestore: Mastronardi dott. Giuliano (portasigarette Guillochè grande)", via via all'"orologio a ci- polla + 1 Kg. cioccolatini" del M.llo Cordisco Roberto e delle tre bottiglie di Bourgogne del M.llo Musetta Marcello, entrambi del nu- attenzione? Non si tratta, tutto som- mato, di una serie di episodi che te- stimoniano una miseria umana da cui nessuna grande istituzione, pri- vata o pubblica, è immune? In realtà le pagine documentatis- sime della Guidetti, abituata alla precisione anche formale richiesta dalle procedure giudiziarie, solleva- no grandi problemi anche di attua- lità. Negli ultimi mesi gli attuali di- rigenti della Fiat (e non solo della Fiat) hanno rivendicato il patrimo- nio storico della loro azienda, non esclusa la lunga fase della gestione vallettiana. Troppo spesso si è rispo- sto limitandosi a mettere in luce i costi umani di quelle politiche, sen- za sottolineate come procedure e atti come quelli documentati dalla Gui- detti, insieme con altri fatti e avve- nimenti analoghi, rivelino un tipo di imprenditorialità assai diversa da quella vantata e che definirei frutto di una vera e propria falsa coscienza di troppi imprendiotri e padroni ita- liani. Essi amano descriversi, nel passato come nel presente, come uo- mini d'azione disposti a rischiare in proprio; attenti ai frutti dell'innova- zione tecnologica; talora duri con i propri dipendenti, ma sempre nell'interesse della produttività del- la propria impresa che costituisce il vero bene comune. Sopratuttto, essi rappresentano il paese "che lavora e che produce" a dispetto della rendi- ta e, talora, della corruzione del settore pubblico. Il libro della Guidetti aiuta invece a comprendere la peculiarità del mo- dello imprenditoriale italiano, che è quello del rapporto con lo stato; an- zi, della capacità di appropriarsi del- lo stato e dei suoi organi, in funzio- ne dell'interesse aziendale, nelle piccole come nelle grandi cose. Su questo piano l'opera, ad esempio, di Valletta era veramente geniale. Che si trattasse di utilizzare e contenere le passioni maccartiste dell'amba- sciatore Luce, o di spiegare al presi- dente Kennedy le modalità più effi- caci per finanziare il partito sociali- sta, all'epoca della costituzione del primo governo di centrosinistra, Valletta sapeva inserite il suo dise- gno aziendale all'interno di una po- litica estera statuale che talora egli conduceva in prima persona. Analogamente, la polizia, i cara- binieri, insomma lo stato che emer- ge dalle pagine della Guidetti, si la- scia organizzare in funzione degli interessi aziendali. Siamo ben oltre la parola d'ordine del presidente della General Motors ("Ciò che è nell'interesse della G.M. è nell'inte- resse degli Stati Uniti."), famigerata anche in uno stato di netto stampo capitalistico. Qui lo stato viene pie- gato e deformato dalla Fiat; i suoi funzionari blanditi o corrotti; le sue esili strutture sostenute ma soggio- gate. Persino la cancelleria degli uf- fici viene donata dalla Fiat, mentre ricordo come, all'inizio degli anni settanta, i sindacati scoprirono con raccapriccio che uno stuolo di impie- gati della Fiat erano distaccati presso la prefettura di Torino. In fondo non vi è da stupirsi. Il modello vallettiano si appropria di una parte dello stato esattamente co- me pretende di organizzare la chiesa all'interno dell'azienda (con i pelle- grinaggi a Lourdes e mons. Tinivella che viene candidato dalla Fiat come arcivescovo di Torino) e di soggioga- re quella parte del sindacato che esso non discrimina (dal Sida alla Uil di Viglianesi). Non solo manca il senso dello stato (liberale e capitalista), ma anche quello della legalità. Le leggi — che pure sono il frutto di rapporti di forza sociali — stanno strette anche a coloro che ne hanno determinato il contenuto. È in que- sto clima che si sviluppa quella cri- minalità economica di cui parlano i giudici del tribunale di Napoli. È anche in questo contesto che appare normale prescindere dal rispetto dei più elementari diritti democratici. Si afferma che il sindacato costituisca una garanzia per il pluralismo politi- co e, quindi, per la libertà all'inter- no della società. E sia. Ma occorre es- sere marxisti per porre il problema della democrazia all'interno delle singole unità produttive? Sono pas- sati alcuni anni, probabilmente sono mutate le forme di controllo politico all'interno della stessa Fiat, ma que- sto problema resta, alla Fiat come al- trove. Bianca Guidetti Serra afferma di avere scritto una semplice cronaca. Eppure, un segno distintivo di un'opera di storia si rileva nel rap- porto che stabilisce con l'epoca in cui viene scritta. Ad esempio, i Ma- gnati e popolani di Salvemini furo- no importanti perché scritti nei tor- bidi anni di fine Ottocento, così co- me non è possibile ignorare che il li- bro dedicato da Venturi alla giovi- nezza di Diderot fu scritto alla vigi- lia della seconda guerra mondiale. Così, Le schedature Fiat di Bianca Guidetti Serra vengono pubblicate nel 1984.