n. l'INDICF ■■dei libri del mesebh La novità di Aristofane di Lucio Bertelli Carlo Ferdinando Russo, Aristofane autore di teatro, Sansoni, Firenze 1984, pp. 416, Lit. 20.000. Con l'aggiunta di tre brevi capitoli, già apparsi in altre sedi, e di raccordi bibliografici con la critica più recente, si ripresenta in nuova veste l'Aristofane di C.F. Russo, a distanza di quattordici anni dalla prima edizione. Allora il libro suscitò più scalpore che consensi e per il recensore sarebbe anche troppo facile nascondersi dietro i verdetti già passati in giudicato: ma sarebbe anche ingeneroso, nonché un po' tartufesco, nei confronti dell'opera, che, se reca le tracce del tempo, deve essere pur-tuttavia giudicata in corrispondenza al periodo in cui apparve. E un fatto che l'analisi dell'opera teatrale di Aristofane condotta da Russo non incontrò il favore entusiastico della critica, specie di quella anglo-ameri-cana (McDowell, Dover, Pickard-Cambridge, Segai, Dearden, ma anche Irigoin e van Looy) — che contestò la validità di alcune delle ipotesi fondamentali proposte nel libro. Ma è altrettanto vero che in una certa misura queste reazioni testimoniavano la qualità essenziale dell'opera: la sua novità nel modo di affrontare il teatro aristofaneo. Si può dire che fino agli anni '60 l'atteggiamento prevalente nella critica delle commedie di Aristofane era orientato verso gli aspetti del contenuto (ideologico, etico, politico, sociale etc.) fino ai limiti estremi dell'Atene di Aristofane di V. Ehrenberg, che considerava la fantasia comica di Aristofane una specie di archivio di tutti i tipi sociologici ateniesi. Le opere generali di rilievo, sia in Italia sia altrove, continuavano a battere il terreno già arato dai vari Croiset, Wilamo-witz, Murray, Schmid, tutti benemeriti nell'interpretazione storica della commedia aristofanea, ma col comune vizio d'origine di valutare quelle opere teatrali alla stregua di composizioni letterarie, di libretti d'opera. L'aspetto drammaturgico o teatrale o era totalmente ignorato o veniva relegato episodicamente nell'area di ricerche specialistiche e settoriali (metrica, impianto scenico, regole di recitazione ecc.), tranne che in lodevoli eccezioni, come le notevoli Beo-bachtungen zu Aristophanes (Roma 1962) di Edizioni Frànkel. In un certo senso l'opera complessiva di Russo centrata sull'analisi delle "proprietà teatrali" delle superstiti commedie aristofanee non solo veniva a riempire un vuoto, ma si presentava come il compimento postumo — molto postumo — di un antico lascito che risaliva nientemeno che a Nietzsche, il quale lamentava la nostra ignoranza dei "poeti tragici" — ma lo stesso discorso si può estendere a buon diritto anche alla commedia — letti sempre come "poeti di un testo, come librettisti" (Il dramma musicale greco). Al di là delle ipotesi più o meno fondate che fanno da cornice all'esame delle singole commedie (quella sui due teatri ateniesi, il lenaico e il dionisiaco, e la ricostruzione della carriera teatrale di Aristofane), ipotesi che sono state in seguito o respinte o variamente rettificate, l'ossatura e il merito più consistente dell'opera consistono nella rilettura delle undici commedie superstiti con l'attenzione rivolta alla sceneggiatura, alla partizione dei ruoli tra gli attori, all'azione scenica, ai rapporti tra azione e scenografia. In questa sede non è possibile passare in rassegna le notevoli intuizio- ni sull'apparato scenico di cui abbonda l'analisi delle singole commedie, ma almeno sia concesso ricordare l'abile ricostruzione dei procedimenti di scena e fuori scena negli Acarnesi, del complicato meccanismo delle sostituzioni di parti delle Nuvole seconde, della revisione dell'ultima ora delle Rane a causa dell' improvvisa morte di Sofocle. Per mettere in chiaro l'approccio di Russo al teatro aristofaneo sarà sufficiente richiamarsi ad una pagina illuminante (73), nella quale egli obietta alla funzione — fino allora predominante — del critico "che deve tendere a ricercare i valori eterni e non quelli temporali" e, pertanto, si dispone davanti all'opera teatrale come fosse un'opera letteraria, la necessità di capire "storicamente" l'espressione teatrale "integrata e regolata da un'arte scenica e da una civiltà teatrale", nella quale gli elementi dello spettacolo — le "proprietà sceniche materiali" — appaiono essere la chiave interpretativa essenziale. Russo premetteva all'analisi delle commedie un'indagine storico-filologica, che doveva corroborare l'ipotesi avanzata da C. Anti (Teatri arcaici da Minosse a Pericle, Padova 1947) sulla presenza ad Atene in età aristofanea di due teatri funzionanti, quello provvisorio del Leneo e quello stabile di Dioniso Eleutero alle pendici dell'Acropoli, il primo dedicato agli agoni lenaici, il secon- do a quelli dionisiaci. Su questo argomento c'è poco da aggiungere alle critiche già avanzate in passato: la prova archeologica non è venuta in soccorso dell'ipotesi filologica, la quale del resto era già di per sé fragile e contestabile. Purtroppo la mancanza di una prova sicura per il teatro lenaico indebolisce uno dei criteri fondamentali di ricostruzione scenica adottati da Russo, quello cioè del diverso impianto scenico, parallelo alla diversità tematica, delle commedie lenaiche rispetto a quelle dionisiache. Ma pur con tutte le riserve nei riguardi dell'ipotesi dell'esistenza dei due teatri, resta pur sempre almeno parzialmente va- lida la constatazione del Russo che le commedie lenaiche nella loro maggioranza sia per tematica sia per azione drammatica si differenziavano da quelle dionisiache, meno ancorate alla realtà cittadina e più disponibili ad apparati scenici complessi (scenari extra-cittadini, come negli Uccelli e nella Pace, macchina del volo etc.). In affermazioni di questo genere va tuttavia sempre tenuto conto che delle commedie aristofanee noi conosciamo il testo integrale di un quarto soltanto e ignoriamo come fossero distribuite e organizzate le altre trenta circa. Sul tema "tirocinio teatrale" di Aristofane il Russo passava al vaglio con molta acribia sia le testimonianze delle commedie (le varie parabasi degli Acarnesi, Cavalieri, Vespe, Nuvole seconde) sia le liste epigrafiche dei vincitori degli agoni comici: egli distingueva un primo periodo, o esordio "segreto", che andava dal 427 al 424, in cui Aristofane non si presenta come "didascalo" (regista) delle proprie opere, ma le affida ad altri (Callistrato, Filonide), e un secondo periodo, per così dire "ufficiale", in cui il poeta concorre anche in funzione di allestitore dello spettacolo. Il fatto nuovo di questa ricostruzione della carriera consiste nel numero superiore di commedie che Russo attribuisce alla fase di tirocinio rispetto all'opinione comune. Sul problema è tornato recentemente G. Mastromarco,continuando e rettificando le conclusioni di Russo: 1'"esordio segreto" di Aristofane, secondo Mastromarco, andrebbe oltre il limite del 427 proposto da Russo, in quanto il poeta in un primo tempo avrebbe collaborato alla stesura di commedie altrui e soltanto dal 427 avrebbe cominciato una carriera teatrale in proprio, anche se si avvaleva dell'opera di altri per la regia; l'esordio ufficiale anche in questo campo restano tuttavia sempre i Cavalieri del 424, ma in questa nuova prospettiva della carriera teatrale di Aristofane la sua notorietà come "autore di teatro" a quell'epoca doveva essere già solidamente affermata, fin dai Banchettanti del 427 (regista Callistrato), in quanto la presenza di un regista diverso dall'autore del testo non toglieva a questo la "proprietà" e la responsabilità dell'opera di fronte al pubblico: la prova più evidente è il processo intentato al comico da Cleone dopo i Babilonesi del 426, presentati con la regia del solito Callistrato. Nonostante i rischi inevitabili in un'opera fortemente innovativa nell'impianto generale, il libro di Russo resta anche a distanza di più di un decennio un'esperienza indispensabile per chi voglia penetrare nei segreti della composizione teatrale antica e accostarsi ad essa spogliandosi della mentalità libresca che ha pesato a lungo sull'immagine di Aristofane. stimmi Che cosa c'é dietro Chi sono «I MECENATI» ...ci auguriamo che l'iniziativa «I Mecenati» possa rappresentare, almeno una traccia significativa del contributo che già da più parti muove allo sviluppo di una nuova cultura, alla ricerca di quell'humus nuovo che attinge profondità e riconoscimento alla fonte delle proprie radici culturali. In vista di un'autentica apertura alle nuove leve, cui si offre l'esemplare supporto di riconosciuti artisti, noi riteniamo che l'essere culturalmente forti, ancorati alla propria tradizione storico-artistica, costituisca in ogni tempo l'unica garanzia, per poter essere certi di interpretare con chiara sensibilità e conspevolezza la validità di ogni nuovo apporto culturale. Anche oggi, infatti, il privato cittadino, nella mutata veste di uomo moderno, può continuare a sentirsi non solo il destinatario, ma anche il soggetto ispiratore e protagonista dei messaggi del suo tempo. Non è a caso infatti, che i grandi Mecenati del passato hanno difeso e tramandato tanta parte della preziosa eredità artistica del nostro paese e sono stati storicamente ricordati per la loro generosa e sensibile iniziativa. Essere tutori della nuova arte, questo riteniamo auspicabile e possibile anche oggi, all'alba della terza era industriale. Viviamo infatti un'età di rivoluzione tecnologica, ricca di prospettive e di promesse, ma che tuttavia dimostra, nei suoi limiti, di non poter prescindere dal poliedrico esplicarsi delle capacità espressive e continuamente innovative dello spirito creativo umano. I Mecenati, dal prologo 6 aprile 1984 LA NOSTRA VIA ALLA SPONSORIZZAZIONE Potrete richiedere una copia omaggio dello speciale «I Mecenati» e la programmazione spettacoli 1985-1986 scrivendo a: Benny & Ros - Via Albini, 14 - 40137 Bologna - Tel. 051/30.98.93