L'INDICF ■HI dei libri del meseìhh Interventi La coda della cometa di Remo Ceserani Sebastiano Vassalli, La notte della cometa. Il romanzo di Dino Campana, Einaudi, Torino 1984, pp. 239, Lit. 18.000. Il libro di Vassalli la notte della cometa, romanzo-biografìa di Dino Campana, ha suscitato reazioni entusiastiche e giudizi drasticamente negativi. Intervengo per esprimere la mia opinione, cercando di mantenere argomenti e giudizi il più possibile aderenti ai risultati di una analisi del testo. Trovo, nelle intenzioni appassionate dell'autore e in alcuni aspetti del libro, le ragioni degli entusiasmi suscitati. Ma trovo anche, nei risultati complessivi della narrazione, della scrittura, della stessa presentazione editoriale, la giustificazione delle perplessità di molti, e anche mie. Devo dar atto, anzitutto, a Sebastiano Vassalli di aver compiuto un'impresa straordinaria: consapevole forse solo in parte del compito molto arduo che affronta chi scrive biografie, ma fornito di tenacia e posseduto da una volontà di conoscenza quasi ossessiva del suo soggetto, Vassalli si è trasformato per quattordici anni in vagabondo visitatore di luoghi (albergucci, osterie, postriboli, municipi di paese, collegi, manicomi, questure, carceri, archivi, segreterie universitarie), in solutore di misteri e rivelatore di incertezze, contraddizioni, reticenze, silenzi, bugie, in detective dilettante alla ricerca di indizi lasciati nel suo passaggio terreno da Dino Campana. Ha raccolto dati e fatti e soprattutto ha demolito numerose leggende: "Ora la ricerca è finita e la vita di Dino è lì; tutta, in una valigia piena zeppa d'appunti e di fotocopie e appoggiata al termosifone di questa camera d'albergo, forse la stessa camera d'albergo del suo ultimo Natale a Marradi (...). Tutta la vita di un uomo che fu considerato dai contemporanei un prodotto anomalo della natura, uno che non aveva compreso nulla di quel che e il vivere comune : ed era solo un poeta". Ma proprio per l'intensa, ossessiva volontà di conoscenza che l'ha mosso, per l'effetto che sembra esserne sortito, di perturbante identificazione (come in certi racconti fantastici di Henry James) fra il biografo e il poeta biografato, proprio per questo colpisce, nel libro di Vassalli, la frequentissima presenza di articoli e modi indeterminati, avverbi di dubbio, espressioni modalizzanti, dubitative, interrogative. Si incontrano, numerosissimi, già nella prima pagina: In "una" di queste camere il poeta Dino Campana e la scrittrice Sibilla Aleramo trascorsero la notte di Natale dell'anno 1916: "forse" in questa stessa dove io mi trovo, "forse" in un'altra. "Chissà". L'albergo (...) "molto probabilmente" è coetaneo della ferrovia Firenze-Faenza" . E, nella stessa pagina, è un fitto intrecciarsi di "poco", "qualche", "inpratica", "senzaparticolari connotazioni", ecc. E nelle pagine che seguono: "Forse, anzi probabilmente, non prova piacere nel sesso: ma chissà"; "Forse un giorno gli capita d'imbattersi in un cavaliere solitario seguito da due levrieri e di riconoscere Gabriele D'Annunzio: ma quell'incontro - se avviene - non lascia traccia o memoria"; "Chissà! Forse assomiglia a qualcuno dei tanti sovversivi e anarchici che allora si ricercavano in ogni parte d'Europa; forse, più verosimilmente, aveva avuto rapporti con anarchici e si voleva spaventarlo per indurlo a collaborare, e diventare confidente. A tanti anni di distanza, tutte le ipotesi sono buone"; "Forse si chiamava Orlando Regolini anziché Regolo Orlandelli, forse non era di Mantova, ma di Rovigo; chissà". Molti discorsi, quasi tutti i capitoletti del libro restano interrotti, seguiti da puntini di sospensione. Può darsi che il tema vero del libro, la rivelazione finale del lungo vagabondaggio, sia proprio l'impossibilità di ricostruire una vita come quella di Campana, o quella di qualsiasi poeta, o addirittura di qualsiasi uomo: "Le mie ricerche su Dino Campana mi hanno insegnato quanto sia difficile ricostruire la vita di un uomo che non è stato storicizzato in vita. Ogni ricordo si perde nel volgere di pochi anni, al massimo di qualche decennio; le guerre e l'incuria dei vivi distruggono registri, archivi, documenti. Una panca, un tappeto possono durare per secoli; il ricordo di un uomo no. Come sta scritto nel Libro: un infinito vuoto. Un infinito niente. Tutto è vuoto niente". È inevitabile - sembra pensare Vassalli - che il biografo si faccia romanziere, non ha altra possibilità. Può anche darsi - aggiungo io - che uno scrittore di grande talento come Guy Davenport decida di ricostruire alcune giornate di Tatlin a Mosca o San Pietroburgo, o un soggiorno di Kafka con Max e Otto Brod a Riva del Garda, e la loro gita a Brescia per assistere a una esibizione acrobatica di aeroplani, tessendo abilmente insieme testimonianze diaristiche, cro- nache di giornali, dati storici, dati presumibili, mettendo tutto a fuoco con lo stesso nitore minuzioso e realistico, e un gusto da Neue Sachlich-keit\ ma un altro scrittore, come Vassalli, avrà pur diritto di scegliere proprio la tattica opposta, mettendo apertamente accanto le une alle altre le pagine di documentazione (lettere, cartelle cliniche, rapporti di polizia, trasfigurazioni liriche di Campana) con pagine di sua invenzione. Il procedimento, tuttavia, è rischioso e in contraddizione, mi pare, con l'iniziale desiderio tenace di conoscere e penetrare il mistero. Questa contraddizione di fondo determina le ambiguità del narratore nel libro, il suo modo incerto di porsi di fronte alla materia e raccontarla, e si avverte anche chiaramente nel testo. Uno degli awii di paragrafo più curiosi e significativi è costituito da questo bellissimo oximoron: "immaginiamo i fatti". "Siccome — pensa Vassalli — l'umana vicenda di Dino Campana può essere ricostruita soltanto tenendo conto dell'elemento romanzesco o addirittura romanzato che in essa è implicito", egli decide che cercherà "di procedere oltre la stessa evidenza". E così egli immagina, si affida alla tecnica medianica, o a quella della scrittura automatica, e diventa Dino Campana, o suo padre, o sua madre, o uno degli zii, e parla per loro, dialoga con i medici, sindaci e pretori, scrive lettere sotto loro dettatura, si sfoga a nome di Dino contro i suoi persecutori, contro i familiari, la gente del paese, i monelli e i compagni che lo irridono, i professori che lo maltrattano, i poliziotti che lo mettono dentro e lo interrogano, i medici che lo sottopongono a elettrochoc. Mol- to spesso egli cita gli scritti di Campana, ma altrettanto spesso scrive come se fosse Campana. Ne vengono pagine che, nonostante l'impegno profuso, sono inevitabilmente echi delle pagine campaniane, senza la sua esaltazione lirica e accensione visionaria, e soprattutto senza i suoi non rari tocchi d'ironia. L'attrazione per l'incanto un poco tetro dei monti e paesi selvaggi dell'Appennino, la grande esaltazione notturna per le stelle o l'apparizione della cometa di Halley, o la frenesia collettiva della gente di Firenze in attesa della fine del mondo ispirano pagine manieristiche, ottenute montando insieme ricordi delle poesie di Campana, ritagli della "Nazione" e rievocazioni di pagine classiche ottocentesche, da Hugo a Carducci - con un inevitabile effetto di Kitsch. E questo va messo in rapporto con la presentazione grafica del libro (le spaziature, i bianchi, i simboli grafici della cometa) e con l'illustrazione di copertina, prevedibile particolare della Notte stellata di Van Gogh, altro grande pazzo visionario, già divulgata da una popolare, dolcissima canzonetta di Don McLean. Al posto dell'ironia e dell'allegro ribellismo di Campana abbiamo, poi, nelle pagine di scrittura medianica, il sarcasmo duro contro familiari, professori, medici, compagni e colleghi letterati di una povera Italia provinciale, e una generale riduzione di tutti, protagonisti e comprimari, a macchiette. Tutto sommato, tenendo conto dei tanti dati e fatti riscoperti e messi in luce, sarebbe un risultato accettabile, se non fosse che Vassalli, di fronte ai tanti vuoti di informazione archivistica e ai silenzi un po' capricciosi dei fantasmi, ricorre a un altro espediente: quello di. inventare per analogia, immaginare comportamenti sulla base di modelli ricorrenti nel periodo e negli ambienti simili a quelli in cui visse Campana. E qui che nascono le pagine meno convincenti del libro. I modelli a cui Vassalli riesce a pensare e a richiamarsi sono tutti così scontati da riuscire generalizzanti e banalizzanti, e sono i più comuni e diffusi stereotipi della società e cultura italiane tra fine Ottocento e primo Novecento. Mentre, per esempio, Guy Davenport costruisce, attorno a Kafka e ai due Brod in villeggiatura sul lago di Garda, immagini straordinariamente precise e dettagliate, oltre che allusive e ironiche, Vassalli, per riempire i vuoti attorno a Campana, evoca scene tutte scontate: il padre maestro pedante e pieno di pregiudizi che fa lezione ai suoi ragazzi sulla macchina uomo; la madre che fa l'Emma Bovary senza il coraggio dell'adulterio; D'Annunzio cavaliere solitario seguito da due levrieri; Mussolini che soffre la fame nel collegio Torricelli di Faenza; Carducci che brontola burbero alcuni antichi versi di ribellione giambica; il professor Mazzoni con la cravatta a papillon e un riverente timore dei sovversivi; Sibilla Aleramo che tesse trame vampire-sche e assume atteggiamenti dannunziani, malamente fraintesi dalle sue recenti ammiratrici femministe, ecc. Lui che, parlando in proprio o per conto di Campana, dà giudizi spietati sul sistema scolastico ("la repressione sessuale, scopo ultimo di ogni insegnamento e d'ogni attività educativa") e traccia una descrizione macchiettistica dei signori professori dei Licei classici d'Italia all'inizio del secolo ("uomini e donne costretti dalle circostanze a guadagnarsi il pane recitando il proprio personaggio"), rivela poi di possedere una cultura desolantemente liceale. Alla psichiatria ottocentesca riesce a opporre solo un po' di indignazione, qualche informazione per sentito dire sulla Spirochaeta pallida, un po' di Basaglia. Per rappresentare la voce che si diffonde a un certo punto in Marradi e dintorni sulla pazzia del figlio del maestro non riesce a trovar di meglio che scomodare addirittura la Furia Aletto dall'Eneide. La cosa meno convincente di tutte, infine, è la concezione che il libro esprime della poesia e del poeta. Non si sa se Vassalli in questi casi parli in proprio o per conto di Campana. Se per i creatori della leggenda Campana era stato utile appoggiarsi al binomio pazzia-poesia, per Vassalli il binomio che conta è poesia-stella cometa. C'è una differenza sostanziale, egli sostiene, fra i letterati comuni e i poeti "autentici". Questi sono gli unicorni, i mostri. Essi, i poeti "autentici", sono a loro volta diversi dai "grandi poeti", sul tipo di D'Annunzio. Questi sono funzionari, "impiegati del loro Tempo, del loro Principe, del loro Editore". Diventano poeti come altri diventano direttori della Cassa di Risparmio. (Non gli viene in mente che T.S. Eliot lavorò per l'appunto sia in una banca sia presso un editore e che Wallace Stevens fu direttore delle assicurazioni di Hartford). I poeti autentici sono "fuori del tempo e dei suoi traffici"; sono "un ponte sull'infinito, un messaggio lasciato a chi non c'è da chi non torna più indietro". Sono rarissimi, come le comete, e compaiono nel cielo d'improvviso: sono Gesù Cristo e Giovanna D'Arco, Vilion e Campanella, Nerval e Nietzsche. E Dino Campana. E intanto l'ultima ondata delle mode culturali sta riempiendo le librerie e le bigiotterie di libri sugli unicorni, posters di unicorni, carta da lettera con su disegnati unicorni, soprammobili Kitsch a forma di unicorni. Toccherà presto alle comete. La vita di Montaigne e il mondo degli "Essais" di Gianfranco Corsini "La società di lettori che la filosofia popolare di Montaigne ha trovato dopo la sua morte, in tre secoli e mezzo, rappresenta una aristocrazia intellettuale di tutti gli strati sociali e di tutte le attività e professioni possibili". Così presentava Hugo Friedrich il suo straordinario Montaigne nel 1949. Era l'opera di uno degli ultimi e più autorevoli rappresentanti di quella scuola di studiosi tedeschi alla quale appartenevano anche Spitzer e Auer-bach. Da tempo introvabile nella traduzione francese il libro di Friedrich è stato adesso ristampato dall'editore Gallimard nella "Col-lection Tel" (Parigi 1984) e diventa nuovamente accessibile a coloro che non si contentano soltanto di "vivere " con Montaigne, ma che cercano aiuto nella interpretazione degli Essais. Gli studi su Montaigne non ci hanno dato grandi sorprese nell'ultimo cinquantennio e, soprattutto in Francia, la grande stagione delle ricerche si è quasi arenata alla vigilia della seconda guerra mondiale. La "grande biografia " più volte promessa non è ancora arrivata e conserva, perciò, tutta la sua autorevolezza quella esemplare dell'americano Donald M. Frame stampata originariamente nel 1965. Anch'essa, a lungo introvabile, torna adesso a disposizione dei lettori in una ristampa della North Point Press (San Francisco 1984) e inesplicabilmente non ha avuto molta fortuna in Europa, se non fra qualche specialista. Non sono molto citati nemmeno gli altri libri di Frame a cui si deve anche una pregevole traduzione degli Essais. Come ci ricorda lui stesso "l'ultimo perio- do di straordinarie ricerche su Montaigne risale agli anni tra il 1840 e la prima guerra mondiale con gli studi di Brunet, Payen, Dezei-meris, Malvezin e Bonnefon, fino a Strowski e Villey " ai quali dobbiamo continuare a riferirci per avere una migliore visione "dell'uomo, dei suoi tempi e del suo libro ". La biografia di Frame li utilizza nella ricostruzione di un 'esistenza e di un 'opera che ha il merito, fra l'altro, di unire una grande leggibilità ad una impeccabile filologia. Un editore italiano accorto dovrebbe averla presa da tempo in seria considerazione. Di altra natura invece è lo studio di Friedrich che, partendo da una descrizione preliminare degli Essais si apre a ventaglio su una serie di temi che vanno dalla ricostruzione della tradizione e della cultura di Montaigne fino alla sua concezione dell'uomo e di se stesso, alla sua idea della morte ed alla sua "coscienza letteraria ". Ma il suo fine principale è quello di studiare proprio quella che Friedrich definisce "la filosofia popolare " di Montaigne la quale agisce, secondo lui, in profondità sulla élite dei conoscitori "al di là delle frontiere di tutte le specializzazioni". Il ritorno in circolazione del libro di Friedrich e dunque un avvenimento importante e potrebbe fornire un prezioso complemento (o antidoto ?) al recente e discusso studio di Starobinski che con i traduttori italiani ha avuto più fortuna dei suoi illustri predecessori.