N. 3 pag. 23 Il Salvagente Uno scandalo che dura da diecimila anni John Garraty, La disoccupa- zione nella storia, Armando Edi- tore, Roma 1979. pp. 328, Lit. 10.000 "Uno scandalo che dura da dieci- mila anni" è il sottotitolo di La Sto- ria di Elsa Morante. Un aspetto di questo scandalo — la mancanza di lavoro, anzi "il modo in cui la condi- zione dei senza lavoro è stata perce- pita e trattata in società diverse dagli albori della storia ai giorni nostri" — è il tema del libro dij. Garraty, La disoccupazione nella storia, edito nel 1978 da Harper e Row e imme- diatamente pubblicato in italiano da Armando Armando (edizione del 1979). Data la rilevanza dell'argomento e l'indubbio interesse del libro, per altro di facile lettura e destinato ad un pubblico anche di non speciali- sti, è curioso che si sia avuta una eco così scarsa dell'edizione italiana nel nostro paese. Tanto più che il testo originale in inglese lo si trova citatis- simo nella letteratura internazionale sul tema. La larga panoramica storica della disoccupazione "prima e dopo la co- niazione del termine stesso" che Garraty conduce è di utile lettura per chi è interessato alla comprensio- ne del fenomeno oggi, giacché per- mette di distinguere le indubbie no- vità che caratterizzano la disoccupa- zione attuale (e che assorbono la maggior parte del dibattito sull'ar- gomento soprattutto tra i sociologi) da quegli aspetti che sempre si ac- compagnano al fenomeno nei mo- menti e nelle fasi di sua espansione. E evidente che nelle diverse epoche storiche e nelle diverse società l'in- terpretazione che si dà della disoccu- pazione riflette le ideologie, i valori e le teorie dominanti, ma è stupefa- cente la similitudine tra giudizi, commenti, luoghi comuni e finan- che ricette, più o meno insensate, che si sentono ora e quelli di epoche anche piuttosto lontane. Tanto per fare un esempio, nella Francia rivo- luzionaria l'Assemblea Nazionale istituì nel 1790 un Comitato per l'estinzione della mendicità (mem- bro, forse non casualmente, il medi- co Guillotin). "Questo comitato procedette all'enunciazione di alcu- ni principi altisonanti sulle cause della disoccupazione... [Essa] era vi- sta come conseguenza di una spro- porzione tra il numero delle persone e la quantità di lavoro da compie- re... Lo sviluppo industriale avrebbe dovuto facilitare il problema... La produzione agricola doveva, naturalmente, essere stimolata. Bi- sognava pensare alla riforma fiscale, alla rimozione delle limitazioni po- ste alla mobilità dei lavoratori da un luogo all'altro, all'abrogazione delle norme legislative sulle attività eco- nomiche" (pag. 80, corsivo aggiun- to). Insomma deregulation, ritorno all'agricoltura, e individuazione del- le cause nell'eccesso di popolazione. L'inventore della ghigliottina avreb- be potuto fare con successo un inter- vento di simile tono in un convegno attuale sulla disoccupazione in Ita- lia. "Garantire un lavoro ai disoccu- pati, ragionava il Comitato, signifi- cherebbe dare loro "l'idea perniciosa che nessun obbligo avessero di tro- varlo da soli" (ibidem). E questa è l'eco di un'idea assolutamente do- minante durante l'Illuminismo. Gli scrittori illuministi sono quelli che trattano con maggior disprezzo per la canaille il fenomeno della disoc- cupazione e che propongono per i poveri (come si chiamavano allora i disoccupati) le soluzioni più atroci. Ma vediamo un po' più in detta- glio come è andato evolvendosi que- sto scandalo che dura da diecimila anni. Nei primi capitoli, interessanti ma basati su un'analisi molto meno approfondita e seria di quella che ca- di Enrico Pugliese Se i senza lavoro sono sempre esi- stiti, la disoccupazione è un fenome- no dell'età moderna. J.A. Schumpe- ter ci fa sapere che "lo schema strut- tura della società medioevale esclu- deva la disoccupazione" (citato in Garraty, pag. 28). Ciò che Garraty illustra felicemente, e che trova con- avvenuti anche in altri paesi, si crea la grande massa dei paupers, dei senza lavoro, che caratterizza l'epo- ca, giustappunto, del pauperismo. Ciò che distingue questo processo da fenomeni analoghi avvenuti in pre- cedenza è il suo carattere unilineare e definitivo. Questi paupers di sicu- ■ Biog « rafie Bompiani JAMES DE ROTHSCHILD l'uomo eh* creò ' A • wMsMfmBM f H LMcMIHart LAWRENCE D'ARABIA GRUPPO EDITORIALE FABBRI, BOMPIANI, SONZOGNO, ETAS li ratterizza i capitoli centrali, Garraty ci racconta la condizione dei senza lavoro nell'Età antica e i provvedi- menti che venivano presi nei loto confronti (per inciso, il sottotitolo del libro è: Pensiero economico e azione pubblica ). Nella Roma im- periale troviamo già un esempio di come si affronta il rapporto tra tec- nologia disponibile e risorse lavorati- ve. "Svetonio riferisce che l'impera- tore Vespasiano... rifiutasse di ser- virsi di un congegno meccanico per smuovere pesanti colonne di pietra in quanto 'ciò avrebbe tolto ai pove- ri il lavoro, fonte del loro sostenta- mento' (pag. 25)". E anche nel Van- gelo Garraty trova i segni del merca- to del lavoro, della disoccupazione e dell'intervento in materia. "Avendo trovato altri che stavano sfaccendati — è Matteo citato, da Garraty, a pag. 26 — dice loro: 'perché state qui il giorno oziosi?'. Gli rispondo- no: 'perché nessuno ci ha presi a giornata'. E dice loro: 'andate anche voi nella mia vigna'". Ottimo esem- pio di job creationl Ma si sa che non è così semplice. ferma negli studi sulla rivoluzione industriale e più in generale sulla transizione dal Feudalesimo al Capi- talismo, è la successione di tappe at- traverso le quali si evolve la condi- zione dei senza lavoro e la disoccu- pazione si delinea come fenomeno sempre più chiaro e specifico. Il mo- mento in cui viene coniato il termi- ne è una tappa significativa. Prendendo le distanze da Schum- peter, il quale sostiene che l'esisten- za di vagabondi, mendicanti e ban- diti (i disoccupati dell'epoca pre- moderna e di buona parte dell'Età moderna) "deriva dal fatto che degli individui si liberarono dal loro am- biente o ne vennero estromessi", Garraty nota come anche nel Me- dioevo questi fenomeni di estromis- sione erano molto frequenti e colle- gati all'incertezza dell'agricoltura, base della società medioevale. E però nell'Età moderna che questa estromissione ha luogo in maniera massiccia, definitiva e strutturale. Insomma, con le enclosures in In- ghilterra e i corrispondenti fenome- ni di spossessamento dei contadini ro non torneranno più alla terra: un processo che potrà durare anche di- verse generazioni li porterà alla con- dizione di proletari. Ma in questa fase il concetto di di- soccupazione non è ancora distinto da quello di povertà. E in epoca suc- cessiva, quando il modo di produ- zione capitalistico si sarà pienamen- te affermato, che avviene la scoperta della disoccupazione Come bene mette in evidenza Garraty, le acqui- sizioni collegate a questa scoperta sono due. Da una parte il fatto che si tratta di un fenomeno endemico della società capitalistica industriale (A problem of industry, come scri- verà in seguito Lord Beveridge), dall'altra il fatto che si tratta di una condizione involontaria. E proprio intorno a questo aspetto che nella seconda metà dell'800 si ha uno scontro notevole. L'idea prevalente in quell'epoca è ancora quella degli economisti classici, secondo i quali la condizione di inattività, di idel- ness, è considerata responsabilità dell'individuo. La disoccupazione involontaria per i classici è "inimma- ginabile o per lo meno eccezionale, giacché nel sistema classico tutta la mano d'opera avrebbe trovato lavo- ro, quali che fossero le sue dimensio- ni" (pag. 93). Fa fatica quindi in questo contesto culturale ad affer- marsi il punto di vista di Hobson, la "cui carriera accademica fu rovinata" per aver posto il problema della in- volontarietà della disoccupazione (pag. 155). Ma nel frattempo si con- solida la classe operaia, emerge il marxismo (al cui contributo tuttavia Garraty dà un rilievo troppo mode- sto) e soprattutto nell'Inghilterra hanno luogo le grandi inchieste so- ciali che mettono in luce la rilevanza del problema. Emerge alla fine del secolo un dibattito non più solo sul- la volontarietà o meno della disoccu- pazione, ma anche sull'alternativa tra prevenzionismo e assistenza. Su questi aspetti si sofferma con dovizia di particolari Garraty, illustrando l'evoluzione del pensiero e i contri- buti di Beveridge, e i suoi punti di divergenza e convergenza con le in- terpretazioni di Beatrice Webb e Sidney, i più decisi e competenti "prevenzionisti, convinti che non esistesse popolazione per la quale non fosse possibile trovare né occu- pazione né salario" (pag. 180), na- turalmente attraverso forme di inter- vento. A questo dibattito e alle condizio- ni sociali nelle quali scaturisce è de- dicata una delle parti più interessan- ti del libro. Ma altrettanto significa- tive sono le pagine dedicate al com- mento delle teorie pre-keynesiane [di Pigou, in particolare, che con forza spiega che "la disoccupazione poteva essere eliminata riducendo i salari" (pag. 174) — Sembra Goria! —] e, naturalmente, al pensiero di Keynes — sul ruolo delle politiche occupazionali come stimolo all'atti- vità economica — e al dibattito con- seguente. Un grande valore docu- mentativo hanno anche i capitoli re- lativi alla Grande Crisi e agli studi sulla disoccupazione condotti in quell'epoca (studi che tra l'altro sa- rebbe utile cominciare a replicare, sia pure nelle mutate condizioni del- la disoccupazione e dell'intervento dello stato in materia). Ciò che soddisfa di meno nel libro è invece l'analisi della disoccupazio- ne nei tempi recentissimi, quelli cioè del pieno generalizzarsi — e della crisi — del welfare state, del rinnovato estendersi della cosiddetta economia informale, della disoccu- pazione delle generazioni nuove che si affacciano nel mercato del lavoro in un'epoca nella quale la stagnazio- ne (anzi, per quel che riguarda l'in- dustria in senso stretto, la riduzione) della domanda di lavoro nel settore privato sembra essere chiara e defini- tiva. Su questo c'è poco, anzi gli ul- timi capitoli relativi agli anni '60 e '70, e sostanzialmente alla situazio- ne americana, sono poco interessan- ti, pieni di numeri e in ultima anali- si anche provinciali (nel senso di es- sere troppo condizionati dall'ottica americana). Anche la nota del curatore, Fran- co Voltaggio, in appendice è — co- me si usava dire — da non leggere. E tuttavia al curatore va il merito di aver ottimamente strutturato in pa- ragrafi, che ben mettono in eviden- za le tematiche centrali, un testo suddiviso nella versione originale so- lo in capitoli. □