N. 3 pag. 4 Il Libro del Mese finzione Jorge Luis Borges, Tutte le opere, a cura di Domenico Por- zio, Volume primo, Arnoldo Mondadori Editore, "I meridia- ni", Milano 1984, pp. CXX-1301, Lit. 35.000. L'uscita di questo primo volume di Tutte le opere di Borges, a cura di Domenico Porzio, nella prestigiosa collana I Meridiani, è stata contras- segnata da una singolare anche se procurata fortuna: quella di coinci- dere con il recente viaggio dello scrittore argentino a Roma e con i fe- steggiamenti di cui è stato oggetto in questa città. L'iniziativa editoria- le italiana precede poi con discreto coraggio altre probabili inziative del genere in Europa, e supera per com- pletezza le stesse Obras completas stampate da Emecé in Argentina nel 1974, poiché si prevede che il secon- do volume italiano verrà a coprire ben presto l'intera produzione lette- raria di Borges: da tale data fino ai fatidici "giorni nostri". Compreso cioè Atlas (Atlante), pagine di viag- gio con fotografie di Maria Kodama, che è per ora l'ultima fatica di Bor- ges. Naturalmente, va inteso che la di- zione "opere complete", sia per l'edizione argentina sia ora per l'ita- liana, significa soltanto tutto ciò che l'autore ha approvato e corretto con rigorosa e sacrosanta scelta: ma molti sanno che le pagine definitivamente respinte (compresi interi libri) sono numerose e non sempre trascurabili. Nel presente volume, che taglia a metà, fino al I960, l'opera non mol- to copiosa ma pure consistente di Borges c'è già tutto e, in un ceno senso, ancor più che tutto di lui: delle tre opere iniziali in versi (quasi iniziali, ma non per questo meno "mature", e cospicue) alle Finzioni e a L'Aleph (come dire, i suoi capola- vori) e a quel L'artefice, che sanzio- na nella mescolanza di poesie e pro- se più che un modo di fare letteratu- ra una vera e propria poetica, dove verso e narrazione si confondono de- liberatamente. Nella premessa "Al lettore", del 1974, che qui compare in apertura di libro, ciò è enunciato con relativa precisione: "La prosa convive con il verso; forse per l'im- maginazione entrambi sono eguali". Non si farebbe fatica, visto che Bor- ges è stato sempre il più pedante e assiduo critico di se stesso (tanti sono i suoi prologhi e controprologhi, tante le sue dichiarazioni e intervi- ste) a trovare altrove, ancor meglio formulato, il medesimo concetto. Anche in tal caso, oltre che nell'aggiornato e forse estremizzato idealismo che lo connota, lo scrittore argentino si dimostra buon allievo di Benedetto Croce, da lui più volte ci- tato e acutamente intuito (e sta qui, mi pare, la sua maggiore simpatia o affinità italiana). Buon allievo nel non distinguere tra verso e prosa; buon allievo nel ricercare l'essenzia- lità del dettato; buon allievo nel fi- nalizzare la poesia alla sua forma classica. (Il richiamo a Goethe, per Croce come per alcuni risultati bor- gesiani, è abbastanza pertinente). Ma un'altra dichiarazione ci viene in soccorso: quella del 1969, che appa- re nel "Prologo" di Fervore di Bue- nos Aires (p. 7): "A quel tempo, cercavo i tramonti, i sobborghi e l'infelicità; ora, i mattini, il centro e la serenità". Dove "centro" non sta necessariamente in contrapposto con "sobborghi", bensì completa il sen- timento di serenità con una sottoli- neatura che rinvia a quella "ricerca del centro" che segna il passaggio dal romanticismo al classicismo, in- tesi, a torto o a ragione, come inter- ni ricorsi vichiani di alcuni scrittori. Dunque, Borges esordisce nella letteratura come poeta e con tre libri di Dario Puccini scrittore, già nel '24, la porta alle antologie e all'apprezzamento di critici allora illustri, non solo argen- tini: quali Enrique Dìz-Canedo, una sorta di Pancrazi spagnolo, e il mes- sicano Alfonso Reyes, quasi un omo- logo di Croce (entrambi da lui ricor- ossessiva della propria ansia metafi- sica. (Tanto valeva forse aprire con questo libro il secondo volume, al di là della quantità "fisica" della mate- ria scritta). Ma l'evento di gran lunga più af- fascinante a cui assiste il lettore in I suoi libri uno per uno di Fausta Antonucci La presenza di Borges nel panorama edi- toriale italiano data dal 1955 quando, pochi anni dopo il grande successo francese di Fic- ciones (tradotto nel 1951), Einaudi pubblica a sua volta nei " Gettoni " di Vittorini la prima versione italiana dell'opera, a cura di Franco Lucentini, e con il titolo La Biblioteca di Ba- bele (1944). Mancano, e continueranno a mancare anche nelle successive ristampe, tre racconti, "El fin", "El sur", "La secta del Fe'nix ", aggiunti nella nuova edizione Emecé del 1956; i primi due saranno poi pubblicati nella Antologia personale. Dopo un interval- lo di quattro anni, interrotto solo dalla pub- blicazione di tre racconti, tratti dalla raccolta El Aleph, nella rivista Tempi moderni (marzo 1957), ecco tutto L'Aleph nella traduzione e con una nota introduttiva di Francesco Tento- ri Montalto (Feltrinelli, 1959). Nel 1961, sot- to la spinta del conferimento a Borges del premio internazionale Formentor, inizia un grande fervore di nuove traduzioni che dura ininterrotto fino al 1965. Mentre Einaudi ri- pubblica nei "Coralli" Finzioni (stavolta La Biblioteca di Babele è solo il sottotitolo), Ma- rio Pasi per II Saggiatore traduce Storia uni- versale dell'infamia (1935), raccolta di saggi e racconti poi ripubblicati solo nel 1981, e Fel- trinelli ripubblica L'Aleph nella Universale Economica (dove oggi ha raggiunto la 10" edizione). Nel 1962, Il Saggiatore propone un'altra raccolta di saggi, Storia dell'eternità (1936), traduzione di Livio Bacchi Wilcock; e l'edito- re Silva di Milano la Antologia personale (1961) nella traduzione di Francesco Tentori Montalto (2a ed. 1965), con la quale fanno finalmente ingresso nel panorama delle tra- duzioni anche alcune poesie. Per quest'ope- ra, a differenza di tutte le altre fin qui pub- blicate, lo scarto di tempo rispetto alla data dell'edizione originale è minimo, e di poco superiore sarà per L'Artefice (I960), miscella- nea di poesie e prose brevi (trad. F. Tentori Montalto, Milano, Rizzoli, 1963). Sempre del 1963 è Altre inquisizioni (1952), raccolta di saggi letterari (introd. e trad. di F. Tentori Montalto, Milano, Feltrinelli). Vuoto di quattro anni e nel 1967 Longa- nesi pubblica con una nuova traduzione (di Maria Vasta Dazzi) L'Antologia personale, mentre Einaudi ripubblica Finzioni nella NUE con un saggio di Maurice Blanchot. Il primo libro integralmente "poetico " di Bor- ges, finalmente con testo a fronte, compare nel 1969: Carme presunto e altre poesie, (tit. or. Poemas 1923-1958), intr. e trad. di Um- berto Cianciòlo, Torino, Einaudi. La stessa traduzione verrà pubblicata da Mondadori nel 1972 (2a ed. 1980) e nel 1975 ancora da Einaudi nella "Collezione di poesia" (3a ed. 1981). 1970: Evaristo Carriego (1930), intr. e trad. di Vanna Brocca, Milano, Palazzi (pub- blicato poi su licenza da Einaudi, nel 1972, 5a ed. 1983). 1971: Elogio dell'ombra (1969), poesie e prose brevi, trad. e intr. di F. Tentori Montalto, testo a fronte, in appendi- ce un "Abbozzo di autobiografia " a cura di Norman Thomas Di Giovanni (Einaudi, poi ripubblicato nei "Nuovi Coralli", 1977, 3" ed. 1983). Lo stesso anno II manoscritto di Brodie (1970), la prima raccolta di racconti lunghi uscita da quando Borges soffre di completa cecità, è pubblicato da Rizzoli nella traduzione di Livio Bacchi Wilcock (e ripub- di versi: Fervore di Buenos Aires (1923), Luna di fronte (1925) e Qua- derno San Martin (1929), che solo queste "opere complete" ci permet- tono ora di leggere nella loro inte- grità e senza la troppo rigida guida dell'autore (quella, ad esempio, che presiede la antologia Poesie, edita da Rizzoli nel 1980, con introduzio- ne e note di Roberto Paoli e tradu- zione di Livio Bacchi Wilcock, dove solo figuravano sette poesie di Fervo- re, due di Luna e una di Quaderno). I tre libri che Borges, nel 1930, ave- va così descritti: "Alla fine del 1921 tornai in patria, evento che è nella mia vita una grande avventura spiri- tuale, per la sua scoperta gioiosa di anime e paesaggi", rappresentano appena l'anticamera nostalgica e sentimentale della sua opera: una riappropriazione di luoghi (per lo più, periferia urbana) e di persone (per lo pù, figure leggendarie), che si carica di senso (simbologia dell'in- timo, della "frontiera", ecc.) nella prospettiva del Borges successivo. In ogni caso, quei tre libri aprirono allo dati) e l'importantissimo Ramon Gómez de la Sema, il padre di tutte le avanguardie ispaniche, che ne parlò sulla Revista de Occidente di Ortega y Gasset, proprio nel '24. Ma come Borges ha profondamente ri- veduto e ripulito i suoi versi d'ogni residuo di ultraismo (cioè di moven- ze avanguardistiche) e di guappismo (o di tanghismo), così ha cancellato dalla memoria quel primo santifice- tur del buon Ramon, accanto al qua- le tuttavia apparve in fotografia alla inaugurazione della rivista Sur (1931), caldeggiata anche da Waldo Frank, da Drieu la Rochelle e dallo stesso Ortega. Bruciante è lo stacco dalla scrittu- ra in versi iniziale rispetto a quella tardiva de L'artefice, che chiude il primo volume: qui effettivamente ci troviamo già nel mondo dei simboli riflessi e statici ("poesia intellettua- le", l'ha definita Borges) — specchi, biblioteca, scacchi, fiume, ecc. — che connotano la seconda e ultima fase del poetare borgesiano: quasi una riflessione ripetitiva e persino questa fase e in questo primo volu- me è senza dubbio il lento formarsi di quel prodotto composito, talora persino ibrido, e sicuramente singo- larissimo che è il racconto o meglio la finzione secondo Borges e in Bor- ges. Nulla sembra restare escluso: né l'estrosa recensione e divagazione narrativa che compone la pretesa biografia di Evaristo Carriego, scrit- tore pittoresco-ironico-sentimentale che sta alle origini del tango e della milonga (una specie di Gozzano dei sobborghi bonaerensi); né la Discus- sione critico-erudita-immaginativa su alcuni autori o argomenti predi- letti; né le due "storie", la Storia universale dell'infamia e la Storia dell' eternità, che come tali si au- toannullano già fin dal titolo, visto che è arduo fare storia di due entità senza evoluzione (per Borges la sto- ria non esiste se non come cronolo- gia), ma che pur rientrano nello stes- so crogiolo narrativo-inventivo. Ed ecco, infine, sbocciare le "piezas" di Finzioni, di Artifici e poi L'Aleph, unico libro privo di prologo, perché Borges ha ormai scoperto il suo mo- do di affrontare "il genere fantasti- co". E qui è tutto come si diceva. Un tutto che approda in una ricca e cor- diale analisi nella lunga introduzio- ne di Porzio: a cui è giusto dare atto di aver realizzato la non facile, e cer- to utile e buona, opera di divulga- zione di uno scrittore difficile ed ec- centrico (eccentrico in più sensi) quale è Borges. Le perplessità co- minciano, è d'uopo affermarlo, quando si paragona il volume borge- siano con altri dei Meridiani affidati a specialisti (Joyce a Melchiori, o Swift a Masolino d'Amico) e provvi- sti di un opportuno corredo di nu- merose note e aiuto di vari annotato- ri: gli stessi che si è pensato di af- fiancare, per esempio, al Raboni tra- duttore di Proust. E non mi si dica che Borges non ha bisogno di note: lo ha dimostrato Paoli, nel già citato volume delle Poesie, e lo esige una cena curiosità implicita al tipo di scrittore che è Borges: tutti ci siamo sempre chiesti da quali fonti nasca- no le sue suggestioni libresche e col- te (e persino ceni suoi trucchi) e quali connessioni (Paoli li ha définiti "percorsi") si stabiliscano tra una scrittura e un'altra scrittura. Ho l'impressione che di noi ispanisti si pensi come ad esseri più o meno inutili ("lo spagnolo è a portata di tutti") o come noiosi eruditi con tanfo di libri del secolo di Cervantes e di Quevedo. Ma bastava un sem- plice occhio aggiunto per capire che una edizione dove si mettono insie- me ben sette traduttori diversi, con diversi criteri nel tradurre e annota- re, non poteva che provocare incon- gruenze ed anche errori. Così, il Martin Fieno di Hernàndez è tradot- to senza originale in nota a p. 226, e a p. 313 è trascritto in originale, con traduzione in nota (dò solo due esempi su venti); così, le poesie di Carriego sono tutte tradotte e prive di originale in nota: così il Quijote è riportato talora in originale, altre volte è tradotto; così in Evaristo Car- riego si ha la spiegazione di "compa- drito" e di "orillero", e in Storia dell'infamia il "compadrito" è già diventato, senza alcuna spiegazione, un guappo, e "orillero" viene tra- dotto con "popolare" (che è un erro- re). E qui mi fermo bruscamente, perché non sembri partito preso d'ispanista qualcosa che invece ap- partiene di diritto a tutti i lettori. Del resto, Porzio, espertissimo navi- gatore di testi letterari, sa molto me- glio di me che il "vasto pubblico", se è ciò che si vuol raggiungere, pro- prio perché "vasto" è anche com- plesso e vario, e desidera da una edi- zione nuova qualcosa di più di una somma di tante edizioni vecchie, sia pure, prese una a una, di discreta o anche di egregia fattura.