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d'ogni settore — di integrare ade-
guatamente il cambiamento e resti-
tuirne una visione efficace, come in
passato era così spesso accaduto». E
allora?
Prendo molto sul serio la dichiara-
zione di metodo di Faldini-Fofi: «il
tentativo di ricostruire la storia del
nostro cinema raccogliendo e "mon-
tando" — come per il film d'inchie-
sta si fa alla moviola — i ricordi e le
riflessioni di coloro che l'hanno fatto
e lo fanno». Non siamo soltanto di
fronte a un esempio da noi abba-
stanza raro di storia orale, che è già
un merito non secondario. I tre tomi
di questa storia sono "avventurosi"
nella loro struttura drammatica,
"docudrama" in forma di "doculi-
bro", documentazione articolata,
montata, come un film, tessere di
un mosaico che non tende all'omo-
geneità, alla continuità e coerenza di
altre storie scritte nella forma tradi-
zionale del libro. Qui il frammento,
che è inoltre trascrizione di una vo-
ce, ambisce a restare tale, è scelta di
stile, si avvicina all'ideale di McLu-
han della comunicazione propria
dell'era elettronica, scrittura decen-
trata che produce dialoghi a distan-
za, ipotizza risposte a possibili inter-
rogativi, riflesso di una storia decen-
trata, di un contributo plurimo, di
una struttura artigianale-industriale
in crisi permanente, storia mai finita
e quindi mai definibile.
Il montaggio che caratterizza il li-
bro, montaggio che produce distin-
zioni, montaggio alternato che al-
lontana la tentazione dell'amalga-
ma, montaggio "che si vede" come
in molto cinema moderno, anche
STORIA/MEMORIA
Alberto Pirelli
Taccuini
1922-1943
Un grande italiano
protagonista dell'economia
internazionale
a contraddittorio con Mussolini
nei momenti cruciali del ventennio
Gli altri successi
di «Storia/memoria»:
Altiero Spinelli
Come ho tentato
di diventare saggio
lo, Ulisse
Premio Internazionale
Viareggio-Versilia 1984
Premio Acqui Storia
«Testimone del tempo»
Dino Grandi
25 luglio.
Quarant'anni dopo
a cura di Renzo De Felice
Premio Selezione
Bancarella 1984
Egidio Ortona
Anni d'America
La ricostruzione: 1944-1951
Premio Fiuggi 1984
per la saggistica storica
Leo Valiani
Tutte le strade
conducono a Roma
Premio Viareggio
Presidente 1984
il Mulino
documentario, è dunque la chiave
stilistica che ci introduce anche
all'ideologia che lo contraddistin-
gue. Si potrebbe infatti pensare che,
rinunciando a dire la propria, gli au-
tori si difendano dal prendere posi-
zione lasciando la parola agli altri, a
tutti gli altri. «Il tragico della vita è
che tutti hanno le loto ragioni» dice
la citazione di Renoir che si ripete in
apertura di tutti e tre i volumi. Assai
diverso era l'atteggiamento di Fofi
in un suo precedente libro, il
pamphlet 11 cinema italiano: servi e
padroni (Feltrinelli, 1971), dove le
ragioni dell'autore, o della contin-
genza storica che egli voleva riflette-
re, si opponevano violentemente a
nema al di là dei film e anche del ci-
nema, intesi al livello sia orizzontale
che verticale (criteri di valore, perio-
dizzazioni, privilegio del film-scher-
mo): rilettura obliqua, che guarda a
quello che c'è prima e dopo il film,
dal lavoro sul set alle reazioni del
pubblico, "cucina", processo di pro-
duzione altrettanto rivelatore della
lettura stilistica, della politica degli
autori e di quella della mise en
scène. Questa umiltà è il segno della
consapevolezza prodotta da un'au-
tocritica forse, ma anche e soprattut-
to dal fatto di porsi allo stesso livello
del cinema, rifiutando il privilegio,
e i limiti, dello sguardo "alto"
dell' intellettuale, e dall'urgenza
b) di Paolo Bertetto
"Il tragico nella vita è che tutti
hanno le loro ragioni" dice l'epigra-
fe di Jean Renoir che (come già nei
due volumi de L'avventurosa storia
del cinema italiano ) Franca Faldini
e Goffredo Fofi hanno voluto porre
in calce a II cinema italiano d'oggi.
E il libro è un enorme catalogo
delle ragioni e dei ricordi di ognuno,
una ricostruzione in vitro di un ciclo
produttivo ai cui artefici, è data la
facoltà di raccontare. I diciannove
capitoli (più un epilogo non poco
sconcertante: il futuro del cinema
Enrico Eubini
Donald Jay Grout
Musica e pubblico dal
Rinascimento al Barocco
Einaudi, Torino 1984, pp. 162,
Lit. 8.500
Trattasi, più di quanto non faccia intuire il
titolo, di una sorta di "riflessione storiografi-
ca" sulla nascita del melodramma: evento
mai abbastanza indagato dalla musicologia,
sempre ancora avvolto da un certo, seducen-
te, alone di mistero. Eubini, che a
quelTevento mostra giustamente di rivendi-
care un ruolo di assoluto primo piano nella
storia della cultura occidentale, lavora a rico-
struire il clima culturale che ne permise e ac-
compagnò la genesi: la disputa dei teorici
(Vicentino, Zarlino, Galilei), le metamorfosi
del gusto, le trasformazioni del linguaggio
poetico e di quello musicale. E poi, come
suggerisce il titolo: la nascita di un nuovo
pubblico e di una diversa prassi esecutiva: un
capitolo che rappresenta un beli'esempio di
come la musicologia possa avvalersi dei con-
tributi della sociologia musicale senza cedere
alla tentazione di elevarli a princìpi assoluti o
al vezzo di ridurli a dilettevoli accessori della
riflessione. Scritto con la chiarezza e la linea-
rità che i lettori di Eubini hanno ormai impa-
rato ad apprezzare, il libro si dimostra tanto
valido per lo studioso quanto accessibile al
normale lettore.
(a.br.)
Storia della musica in
occidente_
Feltrinelli, Milano 1984, ed. orig.
I960, 19803, trad. dall'inglese di
Alessandro Melchiorre, pp. 863,
Lit. 80.000
Tipico esempio di storiografia divulgativa
all' americana: il mondo spiegato con trecento
parole e col tono di un buon maestro di pro-
vincia. Tutto chiarissimo e squisito, a costo di
banalizzazioni terrificanti. Alcuni passi, spe-
cie là dove si arrischia una storia delle idee,
meriterebbero la citazione. Rispetto alle con-
suetudini nostrane, la storia della musica vi
appare come vagamente sbilanciata all'indie-
tro: inusuale attenzione per Medioevo e Rina-
scimento, tendenza a ridimensionare il pri-
mato della musica sette-ottocentesca, allegre
accelerate quando si arriva al Novecento (per
poi frenare bruscamente subito dopo We-
bern: la musica contemporanea è liquidata in
undici pagine). Alle liete banalizzazioni pri-
ma menzionate fanno da curioso contraltare
accurate analisi musicali che non risparmiano
al lettore la terminologia degli addetti ai la-
vori: strana formula che rischia di scontentare
un po ' tutti. Scritto da un americano per gli
americani (che gli hanno tributato un enorme
successo) sembra un libro sostanzialmente
fuori posto nella cultura italiana ed europea.
Il risvolto lo definisce "un lavoro perfetto":
secondo me non vale la Breve storia della mu-
sicala Mila.
(a.br.)
quelle degli altri. E può sorprendete
che proprio Fofi, sia pure con la me-
diazione di Franca Faldini (o forse
prima con quella di Totò che lo ha
reso più ironico e, chissà, scettico
quanto a ipotesi di rivoluzionamen-
to del nostro cinema), si sia prefisso
un progetto di storia orale che sem-
brava più consono a chi, negli anni
'70, aveva riletto il nostro cinema in
chiave cinefila, abbattendo le barrie-
re tradizionali fra cinema alto e cine-
ma basso.
Ma i tre libri non sono affatto il
recupero tardivo e casomai colpevole
di un lavoro fatto da altri, anche se
ad esso debbono qualcosa. Portano
semmai il segno di una passione
contenuta e pazientemente elabora-
ta, di una sincera e attiva partecipa-
zione all'evoluzione e alle sorti del
nostro cinema, esempio di "organi-
cità" da parte di un intellettuale che
non può non suscitare la nostra sim-
patia. Fofi e Faldini, annullandosi
fra le voci altrui, anche quelle e forse
soprattutto quelle che hanno "tragi-
camente" ragione, propongono cri-
ticamente una rilettura del nostro ci-
di dare la parola a un cinema che la
critica ha troppo spesso adattato ai
propri piccoli imperativi.
Oggi l'avventura, valida ancora fi-
no al 1969 come ipotesi di progres-
sione "all'italiana", non è più di
fronte a noi, se non nelle forme
dell'evoluzione elettronica, le novità
del fare da essa prodotte, e anche
qui con molte incertezze, molte con-
fusioni, molte paure. Forse proprio
perché Faldini e Fofi ci raccontano
nel terzo volume la fine dell'avven-
tura la parola si fa più distesa, e oc-
cupa più spazio. Proprio perché il
fare si è impoverito, il dire prende il
sopravvento: il racconto si fa meno
stringato, tende al bilancio, spesso
funereo, e si comincia a ipotizzare
un futuro, con molta generosità. Si
registra tutto ciò che è successo, an-
che le esperienze marginali, nella se-
greta speranza che da tutto questo
poco possa emergere una traccia viva
di ciò che ci aspetta, quasi un dispe-
rato tentativo di non lasciarsi affasci-
nate dal passato più del necessario,
per state sempre e comunque dalla
parte dei cineasti.
espressa abbastanza liberamente,
ma non ha più il fascino singolare
dei due volumi de L'avventurosa
storia del cinema italiano, in cui il
gusto della scoperta e la possibilità
di accedere ai segreti della pragmati-
ca del cinema avvincevano il lettore
come in un romanzo. Qui il roman-
zo rischia di diventare un feuilleton
perché è cambiata la struttura dei
personaggi, e l'assunto di verità che
illuminava i due primi libri ha la-
sciato il posto ad un sapore più am-
biguo. Perché Franca Faldini e Gof-
fredo Fofi, fedeli all'epigrafe di Re-
noir metodicamente ripetuta, si so-
no in un certo senso talmente calati
nelle ragioni di tutti, da aver perdu-
to il senso della distanza, necessaria
in un'operazione storiografica, ed
hanno finito per prendere per buona
ogni affermazione, attribuendo una
sorta di indiretta legittimazione ad
ogni discorso. Così, da un lato,
l'operazione informativa, per troppa
ricchezza di elementi, può risultare
alla fine imprecisa, come se all'inter-
prete e allo storico si fosse sostituito
il giornalista o, talvolta, il cronista
mondano (come nelle pagine su
Squitieri e Claudia Cardinale). E,
dall'altro, l'analisi della crisi di oggi
può apparire parziale, perché non ri-
leva con sufficiente chiarezza l'infi-
nita miseria dell'immaginazione del
cinema italiano recente, la sua inca-
pacità di capire il presente e di in-
ventare nuove forme di intratteni-
mento e di conoscenza. Inoltre Fran-
ca Faldini e Goffredo Fofi hanno di-
viso e riordinato il materiale raccolto
secondo schemi di interpretazione
sostanzialmente ideologici. E se da
un lato nel libro c'è posto per tutti
— con qualche piccola esclusione
che riflette le ben note idiosincrasie
di Fofi — e i generi popolari e gli
spazi marginali sono largamente do-
cumentati, dall'altro la partizione
del volume, i criteri selettivi e gli
stessi titoli e sottotitoli dei capitoli
risentono talvolta di un linguaggio
che appare piuttosto datato (una
formula come "Dall'interno del si-
stema" ha un indubbio effetto ana-
cronistico). E, insieme, manca nel li-
bro (tranne in pochissimi casi) un di-
scorso sulla messa in scena, sul lavo-
ro di regia, e, dunque, insieme sulla
scrittura filmica e sui problemi con-
creti del tournage, sull'organizza-
zione della ripresa e dello spazio,
sulla costruzione dell'inquadratura:
cioè su quanto costituisce l'invenzio-
ne collettiva propria del cinema.
Così II cinema italiano d'oggi è un
buon libro sul mondo del cinema e
sui suoi protagonisti, un insostitui-
bile esempio di storia orale, che ri-
chiede, tuttavia, di essere integrato
dalla storia scritta.
italiano si chiama Silvio Soldini?) ri-
percorrono con apparente equani-
mità la storia degli ultimi quindici
anni del cinema italiano, mescolan-
do abilmente scritti, interviste e te-
stimonianze inedite di quanti hanno
lavorato nel cinema, dai registi ai
produttori, dagli attori agli sceneg-
giatori, dai direttori della fotografia
ai distributori. Il risultato è una sot-
ta di rivelazione collettiva dei mec-
canismi del cinema italiano, uno
sguardo dietro le quinte che illustra
l'enorme complessità dell'itinerario
necessario alla realizzazione del
film, e, spesso, la fragilità delle sue
motivazioni culturali e spettacolari.
I processi produttivi, come gli sche-
mi interpretativi, le lamentazioni (e
le scuse non richieste) come i temi
culturali si ripetono con poche va-
rianti, fornendo un materiale di
grande utilità, spesso di piacevole
lettura, fondamentale come suppor-
to informativo, ma, forse, insuffi-
ciente per chi volesse capire più a
fondo. Il libro ha certo la vivacità
della testimonianza diretta, l'inte-
resse per la conoscenza dall'interno.
LINO MìCCICHÈ L'incubo ameri-
cano. Il cinema di Robert Alt-
man, Marsilio Editori, Venezia
1984, pp. 155 Lit. 15.000
Negli anni '70, fra i principali
protagonisti della "Nuova Holly-
wood", Robert Altman occupa un
posto particolare: è soprattutto con
lui (isolato dal cinema americano,
lui che l'America sa rappresentare in
modo così profondo) che il Sogno
Americano si ribalta drammatica-
mente in incubo. Micciché percorre,
con estremo rigore, le varie fasi di
questo rovesciamento. Sono i fanta-
smi dell'inconscio individuale,
dell'immaginario collettivo e di
quello cinematografico ad attraver-
sare la sua opera, un'opera di una
compattezza rara, che trova il suo