N. 3 pag. 36 <11 d'ogni settore — di integrare ade- guatamente il cambiamento e resti- tuirne una visione efficace, come in passato era così spesso accaduto». E allora? Prendo molto sul serio la dichiara- zione di metodo di Faldini-Fofi: «il tentativo di ricostruire la storia del nostro cinema raccogliendo e "mon- tando" — come per il film d'inchie- sta si fa alla moviola — i ricordi e le riflessioni di coloro che l'hanno fatto e lo fanno». Non siamo soltanto di fronte a un esempio da noi abba- stanza raro di storia orale, che è già un merito non secondario. I tre tomi di questa storia sono "avventurosi" nella loro struttura drammatica, "docudrama" in forma di "doculi- bro", documentazione articolata, montata, come un film, tessere di un mosaico che non tende all'omo- geneità, alla continuità e coerenza di altre storie scritte nella forma tradi- zionale del libro. Qui il frammento, che è inoltre trascrizione di una vo- ce, ambisce a restare tale, è scelta di stile, si avvicina all'ideale di McLu- han della comunicazione propria dell'era elettronica, scrittura decen- trata che produce dialoghi a distan- za, ipotizza risposte a possibili inter- rogativi, riflesso di una storia decen- trata, di un contributo plurimo, di una struttura artigianale-industriale in crisi permanente, storia mai finita e quindi mai definibile. Il montaggio che caratterizza il li- bro, montaggio che produce distin- zioni, montaggio alternato che al- lontana la tentazione dell'amalga- ma, montaggio "che si vede" come in molto cinema moderno, anche STORIA/MEMORIA Alberto Pirelli Taccuini 1922-1943 Un grande italiano protagonista dell'economia internazionale a contraddittorio con Mussolini nei momenti cruciali del ventennio Gli altri successi di «Storia/memoria»: Altiero Spinelli Come ho tentato di diventare saggio lo, Ulisse Premio Internazionale Viareggio-Versilia 1984 Premio Acqui Storia «Testimone del tempo» Dino Grandi 25 luglio. Quarant'anni dopo a cura di Renzo De Felice Premio Selezione Bancarella 1984 Egidio Ortona Anni d'America La ricostruzione: 1944-1951 Premio Fiuggi 1984 per la saggistica storica Leo Valiani Tutte le strade conducono a Roma Premio Viareggio Presidente 1984 il Mulino documentario, è dunque la chiave stilistica che ci introduce anche all'ideologia che lo contraddistin- gue. Si potrebbe infatti pensare che, rinunciando a dire la propria, gli au- tori si difendano dal prendere posi- zione lasciando la parola agli altri, a tutti gli altri. «Il tragico della vita è che tutti hanno le loto ragioni» dice la citazione di Renoir che si ripete in apertura di tutti e tre i volumi. Assai diverso era l'atteggiamento di Fofi in un suo precedente libro, il pamphlet 11 cinema italiano: servi e padroni (Feltrinelli, 1971), dove le ragioni dell'autore, o della contin- genza storica che egli voleva riflette- re, si opponevano violentemente a nema al di là dei film e anche del ci- nema, intesi al livello sia orizzontale che verticale (criteri di valore, perio- dizzazioni, privilegio del film-scher- mo): rilettura obliqua, che guarda a quello che c'è prima e dopo il film, dal lavoro sul set alle reazioni del pubblico, "cucina", processo di pro- duzione altrettanto rivelatore della lettura stilistica, della politica degli autori e di quella della mise en scène. Questa umiltà è il segno della consapevolezza prodotta da un'au- tocritica forse, ma anche e soprattut- to dal fatto di porsi allo stesso livello del cinema, rifiutando il privilegio, e i limiti, dello sguardo "alto" dell' intellettuale, e dall'urgenza b) di Paolo Bertetto "Il tragico nella vita è che tutti hanno le loro ragioni" dice l'epigra- fe di Jean Renoir che (come già nei due volumi de L'avventurosa storia del cinema italiano ) Franca Faldini e Goffredo Fofi hanno voluto porre in calce a II cinema italiano d'oggi. E il libro è un enorme catalogo delle ragioni e dei ricordi di ognuno, una ricostruzione in vitro di un ciclo produttivo ai cui artefici, è data la facoltà di raccontare. I diciannove capitoli (più un epilogo non poco sconcertante: il futuro del cinema Enrico Eubini Donald Jay Grout Musica e pubblico dal Rinascimento al Barocco Einaudi, Torino 1984, pp. 162, Lit. 8.500 Trattasi, più di quanto non faccia intuire il titolo, di una sorta di "riflessione storiografi- ca" sulla nascita del melodramma: evento mai abbastanza indagato dalla musicologia, sempre ancora avvolto da un certo, seducen- te, alone di mistero. Eubini, che a quelTevento mostra giustamente di rivendi- care un ruolo di assoluto primo piano nella storia della cultura occidentale, lavora a rico- struire il clima culturale che ne permise e ac- compagnò la genesi: la disputa dei teorici (Vicentino, Zarlino, Galilei), le metamorfosi del gusto, le trasformazioni del linguaggio poetico e di quello musicale. E poi, come suggerisce il titolo: la nascita di un nuovo pubblico e di una diversa prassi esecutiva: un capitolo che rappresenta un beli'esempio di come la musicologia possa avvalersi dei con- tributi della sociologia musicale senza cedere alla tentazione di elevarli a princìpi assoluti o al vezzo di ridurli a dilettevoli accessori della riflessione. Scritto con la chiarezza e la linea- rità che i lettori di Eubini hanno ormai impa- rato ad apprezzare, il libro si dimostra tanto valido per lo studioso quanto accessibile al normale lettore. (a.br.) Storia della musica in occidente_ Feltrinelli, Milano 1984, ed. orig. I960, 19803, trad. dall'inglese di Alessandro Melchiorre, pp. 863, Lit. 80.000 Tipico esempio di storiografia divulgativa all' americana: il mondo spiegato con trecento parole e col tono di un buon maestro di pro- vincia. Tutto chiarissimo e squisito, a costo di banalizzazioni terrificanti. Alcuni passi, spe- cie là dove si arrischia una storia delle idee, meriterebbero la citazione. Rispetto alle con- suetudini nostrane, la storia della musica vi appare come vagamente sbilanciata all'indie- tro: inusuale attenzione per Medioevo e Rina- scimento, tendenza a ridimensionare il pri- mato della musica sette-ottocentesca, allegre accelerate quando si arriva al Novecento (per poi frenare bruscamente subito dopo We- bern: la musica contemporanea è liquidata in undici pagine). Alle liete banalizzazioni pri- ma menzionate fanno da curioso contraltare accurate analisi musicali che non risparmiano al lettore la terminologia degli addetti ai la- vori: strana formula che rischia di scontentare un po ' tutti. Scritto da un americano per gli americani (che gli hanno tributato un enorme successo) sembra un libro sostanzialmente fuori posto nella cultura italiana ed europea. Il risvolto lo definisce "un lavoro perfetto": secondo me non vale la Breve storia della mu- sicala Mila. (a.br.) quelle degli altri. E può sorprendete che proprio Fofi, sia pure con la me- diazione di Franca Faldini (o forse prima con quella di Totò che lo ha reso più ironico e, chissà, scettico quanto a ipotesi di rivoluzionamen- to del nostro cinema), si sia prefisso un progetto di storia orale che sem- brava più consono a chi, negli anni '70, aveva riletto il nostro cinema in chiave cinefila, abbattendo le barrie- re tradizionali fra cinema alto e cine- ma basso. Ma i tre libri non sono affatto il recupero tardivo e casomai colpevole di un lavoro fatto da altri, anche se ad esso debbono qualcosa. Portano semmai il segno di una passione contenuta e pazientemente elabora- ta, di una sincera e attiva partecipa- zione all'evoluzione e alle sorti del nostro cinema, esempio di "organi- cità" da parte di un intellettuale che non può non suscitare la nostra sim- patia. Fofi e Faldini, annullandosi fra le voci altrui, anche quelle e forse soprattutto quelle che hanno "tragi- camente" ragione, propongono cri- ticamente una rilettura del nostro ci- di dare la parola a un cinema che la critica ha troppo spesso adattato ai propri piccoli imperativi. Oggi l'avventura, valida ancora fi- no al 1969 come ipotesi di progres- sione "all'italiana", non è più di fronte a noi, se non nelle forme dell'evoluzione elettronica, le novità del fare da essa prodotte, e anche qui con molte incertezze, molte con- fusioni, molte paure. Forse proprio perché Faldini e Fofi ci raccontano nel terzo volume la fine dell'avven- tura la parola si fa più distesa, e oc- cupa più spazio. Proprio perché il fare si è impoverito, il dire prende il sopravvento: il racconto si fa meno stringato, tende al bilancio, spesso funereo, e si comincia a ipotizzare un futuro, con molta generosità. Si registra tutto ciò che è successo, an- che le esperienze marginali, nella se- greta speranza che da tutto questo poco possa emergere una traccia viva di ciò che ci aspetta, quasi un dispe- rato tentativo di non lasciarsi affasci- nate dal passato più del necessario, per state sempre e comunque dalla parte dei cineasti. espressa abbastanza liberamente, ma non ha più il fascino singolare dei due volumi de L'avventurosa storia del cinema italiano, in cui il gusto della scoperta e la possibilità di accedere ai segreti della pragmati- ca del cinema avvincevano il lettore come in un romanzo. Qui il roman- zo rischia di diventare un feuilleton perché è cambiata la struttura dei personaggi, e l'assunto di verità che illuminava i due primi libri ha la- sciato il posto ad un sapore più am- biguo. Perché Franca Faldini e Gof- fredo Fofi, fedeli all'epigrafe di Re- noir metodicamente ripetuta, si so- no in un certo senso talmente calati nelle ragioni di tutti, da aver perdu- to il senso della distanza, necessaria in un'operazione storiografica, ed hanno finito per prendere per buona ogni affermazione, attribuendo una sorta di indiretta legittimazione ad ogni discorso. Così, da un lato, l'operazione informativa, per troppa ricchezza di elementi, può risultare alla fine imprecisa, come se all'inter- prete e allo storico si fosse sostituito il giornalista o, talvolta, il cronista mondano (come nelle pagine su Squitieri e Claudia Cardinale). E, dall'altro, l'analisi della crisi di oggi può apparire parziale, perché non ri- leva con sufficiente chiarezza l'infi- nita miseria dell'immaginazione del cinema italiano recente, la sua inca- pacità di capire il presente e di in- ventare nuove forme di intratteni- mento e di conoscenza. Inoltre Fran- ca Faldini e Goffredo Fofi hanno di- viso e riordinato il materiale raccolto secondo schemi di interpretazione sostanzialmente ideologici. E se da un lato nel libro c'è posto per tutti — con qualche piccola esclusione che riflette le ben note idiosincrasie di Fofi — e i generi popolari e gli spazi marginali sono largamente do- cumentati, dall'altro la partizione del volume, i criteri selettivi e gli stessi titoli e sottotitoli dei capitoli risentono talvolta di un linguaggio che appare piuttosto datato (una formula come "Dall'interno del si- stema" ha un indubbio effetto ana- cronistico). E, insieme, manca nel li- bro (tranne in pochissimi casi) un di- scorso sulla messa in scena, sul lavo- ro di regia, e, dunque, insieme sulla scrittura filmica e sui problemi con- creti del tournage, sull'organizza- zione della ripresa e dello spazio, sulla costruzione dell'inquadratura: cioè su quanto costituisce l'invenzio- ne collettiva propria del cinema. Così II cinema italiano d'oggi è un buon libro sul mondo del cinema e sui suoi protagonisti, un insostitui- bile esempio di storia orale, che ri- chiede, tuttavia, di essere integrato dalla storia scritta. italiano si chiama Silvio Soldini?) ri- percorrono con apparente equani- mità la storia degli ultimi quindici anni del cinema italiano, mescolan- do abilmente scritti, interviste e te- stimonianze inedite di quanti hanno lavorato nel cinema, dai registi ai produttori, dagli attori agli sceneg- giatori, dai direttori della fotografia ai distributori. Il risultato è una sot- ta di rivelazione collettiva dei mec- canismi del cinema italiano, uno sguardo dietro le quinte che illustra l'enorme complessità dell'itinerario necessario alla realizzazione del film, e, spesso, la fragilità delle sue motivazioni culturali e spettacolari. I processi produttivi, come gli sche- mi interpretativi, le lamentazioni (e le scuse non richieste) come i temi culturali si ripetono con poche va- rianti, fornendo un materiale di grande utilità, spesso di piacevole lettura, fondamentale come suppor- to informativo, ma, forse, insuffi- ciente per chi volesse capire più a fondo. Il libro ha certo la vivacità della testimonianza diretta, l'inte- resse per la conoscenza dall'interno. LINO MìCCICHÈ L'incubo ameri- cano. Il cinema di Robert Alt- man, Marsilio Editori, Venezia 1984, pp. 155 Lit. 15.000 Negli anni '70, fra i principali protagonisti della "Nuova Holly- wood", Robert Altman occupa un posto particolare: è soprattutto con lui (isolato dal cinema americano, lui che l'America sa rappresentare in modo così profondo) che il Sogno Americano si ribalta drammatica- mente in incubo. Micciché percorre, con estremo rigore, le varie fasi di questo rovesciamento. Sono i fanta- smi dell'inconscio individuale, dell'immaginario collettivo e di quello cinematografico ad attraver- sare la sua opera, un'opera di una compattezza rara, che trova il suo